Il CETA? Un grimaldello per imporre all’Europa le sabbie bituminose
Di Sisto (Fairwatch): l'export di prodotti energetici canadesi cresce e potrebbe aprire le porte a settori produttivi finora vietati
Più petrolio da sabbie bituminose che prodotti alimentari, più parmesan a basso costo che formaggio nostrano di pregio, più acciaio e alluminio che macchinari o derivati del comparto forestale canadese. In attesa di una ratifica dell’accordo commerciale bilaterale CETA (basterebbe il rifiuto di un solo Paese della Ue per decretarne la bocciatura), Europa e Canada fanno i conti. E valutano i primi due anni di vita del trattato, svolti in regime ridotto e provvisorio. Dopo l’Italia, che si è leccata le ferite per i cattivi risultati dell’export di Parmigiano Reggiano e Grana Padano nel primo semestre 2019, è toccato ai nostri partner d’oltreoceano constatare che gli effetti del trattato per molti settori risultano deludenti.
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Per ora in Canada a battere le mani sono soprattutto gli operatori che esportano petrolio e gas verso l’Europa, e quelli del settore minerario. Una domanda è quindi d’obbligo: a chi serve davvero il CETA? Quali impatti climatici porta con sé. Perché c’è chi intravede nell’attuale uno scenario non solo previsto, ma anche potenzialmente pericoloso sotto il profilo ambientale. Ad esempio Monica Di Sisto, vicepresidente di Fairwatch, dopo aver studiato a lungo i negoziati e le proiezioni economiche, analizza per Valori il balzo nell’export di energetici e minerari canadesi.
Come siamo arrivati a questo trattato che spinge petrolio e miniere?
«Quando il CETA non era ancora definito nei suoi dettagli e noi seguivamo i lavori della commissione Europea e i negoziati del Canada – eravamo intorno al 2015 e negli anni precedenti – emerse questo tema. Perché le associazioni canadesi dei diritti umani e dell’ambiente, come il Council of Canadians, stanno combattendo da anni una strenua battaglia per la non proliferazione dell’estrazione di gas da fracking (la fratturazione idraulica, ndr), ma soprattutto delle esportazioni di petrolio e derivati da sabbie bituminose.
Ci pregarono di aiutarli a far sì che il CETA includesse una clausola ambientale che vietasse, monitorasse o almeno mettesse limiti alle esportazioni di sabbie bituminose. Anche perché, nelle proiezioni che noi avevamo sviluppato, quella sarebbe stata una delle voci di domanda più importante tra quelle provenienti dalle grandi aziende dell’Unione europea di importazione e trasformazione dei carburanti. Bisogna ricordare che in Italia e in Europa questa tecnologia e questa pratica sono bandite. Quindi indagammo questa presunta facilitazione commerciale, provando a capire se potevamo far inserire un comma di esclusione o di penalizzazione».
…ma non ci siete riusciti…
«In quello stesso periodo in Europa veniva discussa una direttiva sulla qualità dei carburanti. La quale avrebbe potuto limitare o, nei nostri auspici, escludere gradualmente dal mercato interno e dalle importazioni verso il mercato interno tutti quei carburanti che fossero derivati da fonti dannose particolarmente per l’ambiente (il “petrolio sporco”, ndr). In secondo luogo avrebbe dovuto porre dei nuovi standard di produzione che riguardassero non solo il tema della riduzione dell’impatto delle emissioni, ma anche la sicurezza nei luoghi di lavoro. Aspetti importanti se si pensa che le raffinerie sono molto diverse nell’Europa occidentale e nell’Europa dell’Est, e così i percorsi di raffinazione, con forti fenomeni di dumping interno e rischi per la salute dei lavoratori.
Comunque, ci fu un lavoro intenso su quella direttiva, che poi fu abortita dalla commissione stessa a seguito delle fortissime pressioni del comparto degli idrocarburi, una vicenda in cui l’Italia ebbe un ruolo negativo abbastanza importante. E quindi un processo che era in piedi da tempo, e andava nella direzione di una piattaforma di sviluppo sostenibile, venne cancellato già per la sola previsione che il CETA era vicino alla firma. E la direttiva avrebbe potuto ridurre l’impatto su questo settore».
Allora si bloccò un processo ambientale virtuoso…
«Qual è quindi la nostra preoccupazione di oggi? In assenza di CETA, è stata bloccata una direttiva sacrosanta per migliorare la qualità dei carburanti, figuriamoci ora che c’è una serie di commissioni specifiche istituite grazie al CETA per rimuovere gli ostacoli al commercio in tutti i settori: prodotti industriali, sicurezza sanitaria e fitosanitaria e così via».
Temete infiltrazioni e condizionamenti delle lobby?
«In Europa al momento è vietato estrarre e lavorare le sabbie bituminose. Ma alcuni gruppi economici d’oltreoceano vorrebbero fare degli investimenti in questa direzione. Per diversificare. Avendo la tecnologia chiaramente possono esportarla. E investire. Con grande favore da parte dei gruppi europei del settore che potrebbero aprire questo nuovo business in casa. Cosa che da soli non erano mai riusciti a ottenere per l’opposizione fortissima delle organizzazioni ambientaliste europee.
Se noi permettiamo che il CETA venga ratificato, e quindi che anche la parte che riguarda la facilitazione degli investimenti entri in vigore, a un certo punto – come già sta accadendo, secondo quanto ci dicono alcune gole profonde – nella commissione che si occupa di processi industriali si affacceranno certi signori.
E chiederanno: quale solida scienza c’è alle spalle della decisione per cui voi rifiutate idrocarburi da sabbie bituminose visto che comprate il nostro carburante? Perché comprate il nostro carburante fatto così e noi non possiamo produrlo da voi? Questo è uno degli scenari possibili».
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«Il buon Trudeau ha in corso un‘infrazione a proposito dei diritti umani, avviata dalla Commissione competente delle Nazioni unite, proprio per avere riattivato la costrizione e lo sfruttamento del pipeline Keystone XL bloccati da Obama per ragioni ambientali e umanitarie, decisione attuata da Trudeau subito la vittoria di Tump alle elezioni.
Keystone XL è un progetto di canalizzazione e distribuzione di petrolio da sabbie bituminose estratte dai territori sacri e protetti dei pellerossa canadesi. E i pellerossa, per far spazio a cantieri e impianti, sono stati segregati, malmenati, deportati e ammazzati. Questo è stato verificato dalle ispezioni e audizioni condotte dalla Commissione sui diritti umani dell’Onu, che ha giudicato fondate le denunce e intimato a Trudeau di impedire che episodi del genere si ripetano e di rivalutare gli impatti del progetto».