Riciclaggio di denaro sporco: oltre 90 banche coinvolte
Da Deutsche Bank a JPMorgan. Un giro di denaro da 2mila miliardi in 170 Paesi finiti nel traffico di droga e armi. Nell’inchiesta FinCEN files
A quattro anni dallo scandalo sui paradisi offshore Panama Papers, “FinCEN files“, la nuova inchiesta di Buzzfeed News e International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ) scopre le carte del sistema bancario globale, che alimenta, anziché fermare, il riciclaggio di denaro sporco. Da Deutsche Banck a JPMorgan Chase, sono almeno 90 gli istituti bancari internazionali con flussi di denaro sospetti, per oltre 2.000 miliardi di dollari, tra il 1999 e il 2017, in 170 Paesi nel mondo. Come per i Panama Papers, tutto è partito dalle rivelazioni di un whistleblower. “Soffiate” che hanno permesso di mettere le mani sui dati di più di 200mila transazioni, collegate a 2.100 rapporti di attività sospette, i cosiddetti “Suspicious Activity Report” (SARs). Report strettamente confidenziali presentati dalle stesse banche all’unità di intelligence del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, la Financial Crimes Enforcement Network, nota appunto come FinCEN.
FinCEN è, infatti, l’agenzia statunitense incaricata di combattere il riciclaggio di denaro e il finanziamento al terrorismo. Raccoglie milioni di Suspicious Activity Report – almeno due nel 2019 – e li mette a disposizione delle forze dell’ordine americane e delle agenzie di intelligence finanziarie internazionali. Secondo BuzzFeed News, parte dei documenti proviene dalle indagini del Congresso degli Stati Uniti sulle interferenze russe nelle elezioni presidenziali del 2016. Mentre altri report sono stati preparati a seguito di richieste a FinCEN da parte delle forze dell’ordine.
Nel mirino 10 tra le più note banche in Usa ed Europa
Accusate di spostare somme ingentissime per cartelli della droga, regimi corrotti, trafficanti e altri criminali internazionali dieci tra le più note banche in Usa e in Europa. In testa la Deutsche Bank con 1,3 trilioni (1.300 miliardi) di dollari tracciati. Seguita da JPMorgan Chase con 514 miliardi, Bank of America con 384 miliardi di dollari. In coda Standard Chartered con 166 miliardi, Bank of New York Mellon con 64 miliardi, Barclays con 21 miliardi, HBSC con 4,4 miliardi di dollari.
La complessa attività investigativa, durata 16 mesi e diffusa on line lo scorso 20 settembre, vede tutt’ora in attività 400 giornalisti investigativi e data journalists. A fronte di 108 media partner sparsi in 88 Paesi, in Italia da L‘Espresso. FinCEN files mostra come, pur essendo multate per la loro “cattiva condotta”, banche come Deutsche Bank, JPMorgan Chase, HSBC, Standard Chartered e Bank of New York Mellon, abbiano aggirato le norme antiriciclaggio, continuando a spostare denaro legato alla criminalità e a traffici illeciti. Movimenti che coinvolgono Stati e istituti finanziari di tutto il mondo, anche l’Italia, come ognuno di noi può verificare dal database messo a disposizione dall’ICIJ. Come hanno ricostruito i giornalisti di ICIJ, i file FinCEN rappresentano meno dello 0,02% delle oltre 12 milioni di segnalazioni di attività sospette che gli istituti finanziari hanno presentato solo tra il 1999 e il 2017.
Se le operazioni finanziarie sospette vengono segnalate ma non fermate
Ma come sono state ricostruite le connessioni tra le transazioni economiche e i boss mondiali del riciclaggio? Partiamo dal fatto che le banche hanno un grande potere, sulla carta: quello di poter intervenire e fermare le operazioni finanziarie sospette. Ma, come svelano le varie piste di indagine, se alle segnalazioni non segue un’azione repressiva vera e propria, la banca, che segnala al FinCEN una transazione che potrebbe facilitare un’attività illecita, non fa altro che immunizzare sé stessa e i suoi dirigenti da un procedimento penale. L’avviso di attività sospetta, infatti, attribuisce di fatto alla banca denunciante un lasciapassare gratuito per continuare a spostare il denaro e a riscuotere proventi. Ecco quindi che, come scrivono i team investigativi di Buzzfeed news e ICIJ, le leggi che dovevano fermare la criminalità finanziaria hanno invece permesso che fiorisse.
Solo nel 2019 gli istituti finanziari americani hanno inviato oltre due milioni di SARs. Secondo le dichiarazioni raccolte da Buzzfeeds News, gli investigatori governativi americani hanno ammesso che il volume delle comunicazioni è tale che è stato impossibile investigare su tutti i casi. Il numero di denunce presentate ogni anno è cresciuto, mentre il personale del FinCEN si è ridotto, di oltre il 10% nell’ultimo decennio, secondo i rapporti ufficiali del Tesoro americano. Nel 2017, il direttore ad interim di FinCEN ha testimoniato davanti al Congresso come l’agenzia abbia avuto problemi per assumere nuovo personale, per «problemi di sicurezza».
Da Deutsche Bank ai filoni di inchiesta principali
Nella mappa globale del riciclaggio di denaro sporco, le piste d’inchiesta partono dagli Usa e arrivano al centro dell’Europa. Dalle ricostruzioni di BuzzFeed News e ICIJ, Deutsche Bank ha ignorato per anni le normative antiriciclaggio e, anzi, ha giocato un ruolo fondamentale nello scandalo di proventi illeciti per 230 miliardi di dollari, che ora inghiotte la sede estone della Danske Bank. Nonostante le decine di operazioni sospette Deutsche Bank ha trattato almeno 2,6 miliardi di dollari senza batter ciglio e senza presentare alcuna denuncia.
Proprio sulla pista estone, emergono le connessioni che riportano alla memoria i meccanismi che l’opinione pubblica ha scoperto grazie ai Panama Papers. I dirigenti della Danske Bank Estonia, invece di prevenire il riciclaggio, gestivano una società anonima che aiutava i clienti ad aprire conti a nome di società a responsabilità limitata. Imprese fantasma note come “limited liability partnerships” (LLP), o “limited partnerships” (LP) nel Regno Unito. Società che non avevano altro scopo se non quello di nascondere l’identità di chi realmente possedeva il denaro (in questo caso è stato L’Espresso ad aver procurato i documenti a ICIJ).
JPMorgan Chase e le norme antiriciclaggio che favoriscono la corruzione in Venezuela e Ucraina
La ragnatela delle transazioni illecite di JPMorgan Chase è legata al trasferimento di denaro sporco per aziende legate al saccheggio di fondi pubblici in Venezuela, Malesia e Ucraina. Proprio in Ucraina emergono alcuni pagamenti sottobanco da parte di funzionari ucraini in disgrazia a Paul J. Manafort Jr., l’ex responsabile della campagna elettorale del presidente americano Donald Trump, già condannato.
Le banche hanno segnalato più di 4,8 miliardi di dollari tra il 2009 e il 2017 in transazioni sospette con legami con il Venezuela. Lo Stato sudamericano è stato definito da Transparency International, «il più grande focolaio di corruzione dell’America Latina». E i movimenti registrati dai FinCEN files lo certificano: quasi il 70% di quei 4,8 miliardi è stato movimentato da un ente governativo venezuelano, come il ministero delle Finanze o la compagnia petrolifera statale.
Dai Panama Papers ai FinCEN file, la rete dei paradisi fiscali in tutto il mondo
Una delle analisi di ICIJ ha rilevato che le banche intercettate nei FinCEN files elaborano regolarmente transazioni verso società registrate nelle “secrecy jurisdictions” (giurisdizioni segrete). E lo fanno senza conoscere il proprietario finale del conto. Almeno il 20% delle segnalazioni analizzate conteneva un cliente con un indirizzo in uno dei principali paradisi finanziari offshore, le Isole Vergini britanniche. Ma molti degli indirizzi erano dislocati nei luoghi più disparati: dal Regno Unito, agli Stati Uniti, fino a Cipro, Hong Kong, Emirati Arabi Uniti, Russia e Svizzera.
Oltre a favorire i “Confidential Clients“, i flussi di denaro sporco permeano ogni settore economico: dallo sport all’intrattenimento, dall’immobiliare alla ristorazione. I FinCEN files rivelano come le reti attraverso le quali i proventi illeciti attraversano il mondo siano diventate arterie vitali dell’economia globale. Una ramificazione di un sistema finanziario illegale, così ampio e così incontrollato che è diventato inestricabile dall’economia legale.