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Riciclaggio, i governi europei bocciano la blacklist della Commissione

I Paesi membri dell’Ue hanno respinto la lista nera anti-riciclaggio presentata dalla Commissione di Bruxelles. Che aveva incluso Arabia Saudita e Tunisia

© Pijon/Pixabay

Tutti, nessuno escluso. I 28 Paesi membri dell’Unione europea hanno bocciato all’unanimità la blacklist predisposta dalla Commissione per la lotta al riciclaggio. Nel corso di una riunione a Bruxelles, i rappresentanti dei governi hanno rifiutato dunque su tutta la linea l’approccio dell’organismo esecutivo comunitario. Nella sua lista nera aveva incluso, tra gli altri, anche  l’Arabia Saudita e la Tunisia.

Pressioni sull’Europa da Washington e Riad

Che i ministri dell’Interno dei Ventotto avrebbero rigettato la proposta era nell’aria. Ma un risultato così netto rappresenta un duro colpo per la Commissione guidata da Jean-Claude Juncker. A non convincere è stata soprattutto la metodologia utilizzata per stilare l’elenco. Ma ad influire sono state anche le forti pressioni arrivate da Riad e da Washington.

Blacklist: la Commissione Ue inserisce l’Arabia SauditaLa lista nera era stata presentata lo scorso 13 febbraio. Includeva «le nazioni terze le cui norme di lotta al riciclaggio di denaro e in materia di finanziamenti al terrorismo sono considerate insufficienti». In un comunicato, Bruxelles aveva specificato che l’elenco era frutto di un’analisi su 54 giurisdizioni che era stata pubblicata il 13 novembre 2018.

riciclaggio unione europea
Nella lista nera presentata dalla Commissione europea figurano, tra le altre giurisdizioni, Arabia Saudita e Tunisia © HM Revenue & Customs/Wikimedia Commons

«Abbiamo le norme di lotta al riciclaggio più rigorose al mondo, ma dobbiamo assicurarci che il denaro sporco proveniente da altri Paesi non penetri nel nostro sistema finanziario», aveva spiegato Věra Jourová, commissaria Ue alla Giustizia. Tali capitali, aveva denunciato Jourová, rappresentano «la linfa vitale della criminalità organizzata e del terrorismo. Invito i Paesi inseriti nell’elenco a colmare rapidamente le carenze riscontrate. La Commissione offre loro tutta la collaborazione necessaria a tal fine, nel nostro reciproco interesse».

Transparency International: «A frenare sono questioni diplomatiche»

Oltre all’Arabia Saudita e alla Tunisia, ad essere state aggiunte alle 16 nazioni già presenti nella lista nera erano state altre sei giurisdizioni. Tra di esse, Panama, Porto Rico e Guam. Nell’elenco figuravano poi Afghanistan, Bahamas, Botswana, Corea del Nord, Etiopia, Ghana, Iran, Iraq, Libia, Nigeria, Pakistan, Sri Lanka, Siria, Trinidad e Tobago e Yemen.

Il no del Consiglio europeo non ha suscitato stupore nel mondo delle ong. Laure Brillaud, dirigente di Transparency International ha spiegato al giornale francese Marianne che «le difficoltà spesso si riscontrano proprio in tale sede.

Commissione ed Europarlamento sono di solito sensibili alla lotta al riciclaggio. Il problema è quando si arriva agli Stati membri, ai governi.

Non appena ci sono di mezzo questioni diplomatiche, le cose si complicano».

Approvata invece la lista nera dei paradisi fiscali

Meno ostacoli sono stati trovati invece nell’approvare la lista nera dei paradisi fiscali. Il 12 marzo, i ministri delle Finanze hanno inserito nell’elenco 10 giurisdizioni in più rispetto alla blacklist precedente. Essa, infatti, comprendeva soltanto Samoa americane, Samoa, Guam, Trinidad e Tobago e Isole Vergini americane. Ora figurano anche Aruba, Barbados, Belize, le Bermuda, Dominica, Fiji, Isole Marshall, Oman, Emirati Arabi e Vanuatu.

La “lista grigia”, invece, presenta 34 nazioni. Infine, altre 25 giurisdizioni che prima erano state inserite nella greylist ora sono state dichiarate in regola. Va detto che per le nazioni nella lista nera non sono previste misure coercitive di alcun tipo. Il sistema funziona infatti sulla base della strategia “name and shame”. Ovvero pubblicare i nomi per esercitare pressioni al fine di portare ad un cambiamento.

Secondo il commissario europeo per gli Affari economici, Pierre Moscovici, «la lista ha rappresentato un autentico successo. Ha spinto il mondo intero verso la trasparenza e l’equità fiscale. Decine di Paesi si sono allineati alle norme internazionali».

Alcune ong ritengono però che la selezione sia troppo poco stringente. Al suo interno, ad esempio, non vengono incluse né la Svizzera né il Delaware. Le associazioni ricordano inoltre come gli scandali LuxLeaks, Panama Papers e Paradise Papers indichino che il cammino è ancora molto lungo.