Corruzione: Eni assolta, il petrolio no. La lezione dalla vicenda OPL245
Eni assolta in primo grado al processo per la presunta maxi-tangente in Nigeria. Ma è una conferma che sul petrolio non si può costruire alcun futuro
È inutile girarci intorno, l’assoluzione in primo grado di Eni, mercoledì 17 marzo nel caso OPL 245, ci brucia tantissimo. Perché per noi, azionisti critici di Fondazione Finanza Etica, gli ingredienti c’erano tutti. La multinazionale cattiva che vuole estrarre petrolio in Africa. Una cifra astronomica, circa 1 miliardo di dollari, che finisce nelle tasche di un’élite politica ed è sottratta all’istruzione, la sanità e lo sviluppo economico di un Paese povero. L’accusa di corruzione internazionale per quella che sarebbe stata la più grande tangente mai finita davanti a un tribunale.
Un passo indietro
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Dopo tre anni di processo e 74 udienze, i giudici del tribunale di Milano ci hanno portato via i pasticcini proprio quando sarebbe potuta iniziare la festa. Eni, Shell e i tredici imputati sono stati assolti perché «il fatto non sussiste». Per le motivazioni dovremo aspettare l’estate. Nel frattempo, però, possiamo trarre alcune conclusioni, che restano valide a prescidendere dagli esiti del processo.
Fondazione Finanza Etica e le domande scomode a Eni (dal 2008)
Fondazione Finanza Etica si presenta all’assemblea degli azionisti di Eni ogni anno dal 2008, assieme a Re:Common, una delle tre organizzazioni che hanno fatto partire l’inchiesta sul caso nigeriano. Ogni anno sottoponiamo all’impresa decine di domande che il principale azionista, lo Stato italiano (con il 30%), preferisce non fare. Tranne che in rare eccezioni, come ai tempi della presidenza Mucchetti (PD) della commissione industria del senato (2013-2018).
Dal 2008 ad oggi, grazie alla nostra ostinazione sono sfilati in assemblea numerosi casi di presunta corruzione internazionale, di cui quello nigeriano è solo l’ultimo e il più rilevante. Non sempre Eni è stata assolta.
Nel 2010 ha scelto di patteggiare con le autorità americane una sanzione di 365 milioni di dollari. Oltre a una condanna sospensiva di due anni per la corruzione di Snamprogetti – allora sotto il controllo di Eni – nello scandalo di Bonny Island, sempre in Nigeria.
Un’altra richiesta di patteggiamento è stata depositata il 18 marzo scorso nell’inchiesta sul rinnovo di alcune licenze estrattive in Congo. Dopo che i pubblici ministeri hanno derubricato l’ipotesi di reato da corruzione internazionale a induzione indebita.
Come azionisti abbiamo il dovere di interrogare Eni su tutti i casi di presunta corruzione di cui abbiamo notizia: ne va della reputazione della società, ma anche della sua salute finanziaria. Perché i procedimenti si possono accompagnare a pesanti sanzioni, come si è visto chiaramente nel caso di Bonny Island, o a richieste di risarcimento per centinaia di milioni di euro.
Quel legame tra corruzione e petrolio
Eni non è la sola compagnia petrolifera a finire nel mirino delle procure. È a rischio tutta l’industria estrattiva: come rivela uno studio dell’OECD, un caso su cinque di corruzione internazionale si accompagna, nel mondo, all’estrazione di petrolio e gas e alle attività minerarie in generale. Un motivo in più, oltre a quello della protezione del clima, per insistere sull’uscita delle grandi compagnie energetiche dai combustibili fossili. Nel 2020 Eni ha presentato un piano di decarbonizzazione molto ambizioso, che parte però con il freno a mano tirato e prevede un aumento, invece che una diminuzione, della produzione di petrolio e gas fino al 2025. Con una crescita media del 3,5% all’anno.
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Ad ogni barile di petrolio estratto si accompagnano, come si è visto, elevati rischi di corruzione e rischi altrettanto elevati per l’ambiente. Per questo motivo, indipendentemente dalla recente sentenza sul caso nigeriano, il nostro giudizio su Eni rimane immutato. Come quello sul settore nel quale opera e intende continuare a operare.
Sul petrolio non si può costruire alcun futuro, né per l’ambiente né per una società globale più equa. Come giustamente sottolineato da Stefano Feltri sul quotidiano Domani riguardo al caso OPL245, il tribunale di Milano ha escluso la natura corruttiva dei pagamenti di Eni e Shell, ma non si può contestare che buona parte del denaro sia effettivamente finito nelle tasche di politici nigeriani invece che nelle casse pubbliche della Nigeria. Un miliardo di dollari che sarebbe potuto essere destinato a una popolazione che, per il 51%, vive oggi in estrema povertà. E che guadagna meno di 1,90 dollari al giorno. I giudici hanno stabilito che il pagamento è stato legittimo. Noi continueremo a sostenere che non è stato giusto.