Joe Biden, clima e disuguaglianze nel rilancio delle infrastrutture

Il presidente Joe Biden spinge per un’ulteriore manovra. Più ambiziosa, costosa e fortemente contestata

Federica Casarsa
Joe Biden punta su un vasto piano di ammodernamento delle infrastrutture negli Stati Uniti, ma gli impegni climatici e sulle disuguaglianze saranno cruciali © Team New Orleans/Flickr
Federica Casarsa
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La Casa Bianca e il Congresso degli Stati Uniti sono al lavoro su un piano d’investimenti che potrebbe cambiare il volto dell’America.  Da mesi alla Camera e al Senato repubblicani e democratici stanno negoziando destino, contorni e contenuti di due leggi: un programma bipartisan sulle infrastrutture da 1.200 miliardi di dollari e una manovra incentrata sul rafforzamento delle protezioni sociali. Per quest’ultima il budget proposto dai democratici di Joe Biden è di 3.500 miliardi di dollari

Gli obiettivi dei democratici americani

Insieme, i due interventi puntano a tre obiettivi strettamente interconnessi e centrali per l’agenda politica del presidente Joe Biden: 

  • creare posti di lavoro e rilanciare la competitività dell’economia americana, soprattutto in chiave anticinese;
  • potenziare l’azione sul clima;
  • promuovere l’inclusione sociale.

La linea politica è stata tracciata lo scorso marzo da Biden con la presentazione dell’American Jobs Plan, un piano di investimenti pubblici da 2mila miliardi di dollari articolato proprio secondo questo schema: rinnovare le infrastrutture per creare posti di lavoro, impostare la transizione ecologica e fornire maggiori garanzie sociali a tutti i cittadini americani.

L’American Jobs Plan e la politica americana polarizzata

L’ambizione del Presidente si inserisce però in un contesto politico fortemente polarizzato. Il partito democratico e il partito repubblicano – le due principali formazioni rappresentate al Congresso – sono interpreti di due visioni diametralmente opposte del Paese. E quindi più inclini a fare ostruzionismo che a negoziare. In linea di principio – e con molte sfumature e complessità – il partito repubblicano è anti-spesa pubblica e anti-tasse. Nonché tendenzialmente ostile all’intervento del governo federale nell’economia e nella vita dei cittadini. Di conseguenza, piuttosto maldisposto nei confronti dell’agenda del presidente.

In questo clima, nonostante i democratici siedano alla Casa Bianca e abbiano la maggioranza sia al Senato, sia alla Camera, la proposta di Biden ha percorso gli impervi ingranaggi della politica di Capitol Hill ed è stata “spacchettata” in due parti. Un piano focalizzato sulle infrastrutture fisiche come strade e ponti, più modesto in termini di spesa e quindi più digeribile ai repubblicani. E un poderoso piano sociale, in cui potrebbero confluire anche la maggiore parte degli interventi sul clima. 

Sul primo è stato concluso un accordo bipartisan, insolito, visto il contesto. Approvato dal Senato il 10 agosto, sarà votato alla Camera il 27 settembre. Il secondo è in fase di scrittura e dovrebbe essere presentato presto al Senato (la prima deadline interna era il 15 settembre).

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© New York Times – Fonte dei dati: Committee for a Responsible Federal Budget; The White House

550 miliardi di dollari di nuovi investimenti per le infrastrutture

Con 69 voti a favore e 30 contrari, il piano sulle infrastrutture è stato approvato al termine di un serrato negoziato condotto da 5 democratici e 5 repubblicani. L’obiettivo è mobilitare complessivamente 1.200 miliardi di dollari, di cui 550 in nuovi investimenti e nel rinnovo di programmi federali che dovrebbero scadere a settembre. La spesa sarà distribuita in otto anni. Secondo calcoli dell’ufficio di bilancio del Congresso gli interventi faranno aumentare il deficit dello Stato di 256 miliardi di dollari nei prossimi 10 anni. 

Essendo il frutto di un compromesso, il piano è fortemente ridimensionato rispetto agli obiettivi dell’agenda di Biden, soprattutto sul clima. Si tratta comunque di una spesa significativa. Si pensi che in occasione della crisi del 2008 il Congresso acconsentì a un piano di salvataggio dell’economia da 800 miliardi di dollari. 

Analizzarne i contenuti consente quindi di farsi un’idea di quali sono le sfide ambientali più pressanti e le criticità sociali più radicate dell’America di oggi. Più complicato è capire quanto si riuscirà a risolvere.

La porzione più consistente degli investimenti interessa le infrastrutture cosiddette “fisiche”: 110 miliardi di dollari per l’ammodernamento di strade, ponti e altri grandi progetti; 42 miliardi per porti e aeroporti; 39 miliardi per innovare e rendere più “verde” il trasporto pubblico; 66 miliardi per le ferrovie; 65 miliardi per il potenziamento della banda larga.

Quando case e autostrade diventano barriere: il caso di Syracuse

Analizzare i risvolti sociali degli interventi infrastrutturali porta dritti al cuore della storia americana. Il governo spenderà 1 miliardo di dollari per modificare le autostrade che dividono le comunità o che ne marginalizzano determinati gruppi etnici e sociali, escludendoli dall’accesso ai servizi. È un fenomeno piuttosto diffuso negli Stati Uniti . Risale agli anni Cinquanta, quando un massiccio potenziamento della rete autostradale (il National System of Interstate and Defense Highways) fu accompagnato da interventi mirati a isolare i quartieri abitati in prevalenza da afroamericani, tendenzialmente più degradati. O a cancellarli del tutto, spezzandone le comunità. 

Emblematico è il caso di Syracuse, nello Stato di New York. A partire dalla fine degli anni Trenta, per effetto di politiche segregazioniste che colpivano l’accesso ai mutui e allontanavano gli investitori privati, i cittadini afroamericani si concentrarono nel quartiere 15th Ward, altamente degradato. Nel 1954 la nuova autostrada I-81 attraversò il quartiere, distruggendone la comunità. Gli abitanti si dispersero nelle zone limitrofe, mentre si verificò un massiccio esodo dei bianchi verso le periferie. Il risultato è evidente ancora oggi: un centro densamente popolato e altamente degradato, abitato in prevalenza da afroamericani, e la periferia bianca e ricca. A Syracuse c’è la più alta concentrazione di cittadini al di sotto della soglia di povertà di tutto il Paese. 

syracuse Robert K. Nelson, LaDale Winling, Richard Marciano, NathanConnolly, et al., “Mapping Inequality,” American Panorama, ed.
La mappa di Syracuse (NY) © Robert K. Nelson, LaDale Winling, Richard Marciano, NathanConnolly, et al., “Mapping Inequality,” American Panorama, ed.

È su casi come questo che l’amministrazione Biden vuole intervenire. Anche se la cifra assegnata dal piano bipartisan è ben ridotta rispetto al progetto presentato a marzo, che prevedeva circa 20 miliardi di dollari. Altri 2 miliardi serviranno a potenziare i servizi di trasporto nelle aree rurali e alcune centinaia di milioni saranno dedicate alle comunità dei nativi americani.

L’azione climatica nel piano di Biden: solo un antipasto

«Quanto a politiche per il clima, si tratta di un antipasto, non certo della portata principale», ha detto il senatore Brian Schatz al New York Times poco dopo la conclusione dell’accordo. In effetti, la spesa dedicata all’azione climatica è ridimensionata rispetto al piano presentato a marzo, sia nella quantità, sia nella sostanza. 

Ne è un esempio il capitolo sul passaggio all’auto elettrica, che riceverà appena 7,5 miliardi di dollari, principalmente per espandere la rete di punti di ricarica. A marzo l’amministrazione Biden aveva proposto un investimento da 174 miliardi di dollari per sostenere lo sviluppo dell’intera catena, dalla produzione di batterie alla vendita di veicoli elettrici, dall’introduzione di incentivi all’acquisto di auto alla creazione di una rete di 500mila punti di ricarica entro il 2030. 

A questo punto sarà determinante ciò che i democratici riusciranno a inserire nel budget da 3.500 miliardi di dollari. Il settore dei trasporti è la principale fonte di emissioni di CO2 negli USA (29% del totale).

Adattarsi al clima che cambia 

Il piano infrastrutturale di Biden rappresenta la prima azione concreta da parte del governo USA per adattare le strutture del Paese alle condizioni climatiche in mutamento. Si parla propriamente di “adattamento”, o “resilienza”.  Lo scopo è equipaggiare meglio le strutture urbane e le abitazioni per fronteggiare calamità naturali e fenomeni atmosferici estremi, come uragani, alluvioni, incendi e ondate di calore. Tutti questi casi hanno colpito il territorio degli Stati Uniti almeno una volta negli ultimi mesi. Gli incendi in California hanno interessato un territorio di più di due milioni di acri dall’inizio dell’anno (una superficie pari a circa una volta e mezza la città metropolitana di Roma). L’uragano Ida ha generato severe inondazioni ed estesi blackout in Louisiana e Mississippi. Per poi abbattersi su New York e causare la morte di diverse persone.

L’Ovest brucia, l’Est affoga

Negli ultimi decenni il Paese ha sviluppato un rapporto estremamente controverso con l’acqua. Semplificando al massimo, mentre l’Ovest inaridisce e brucia, l’Est è flagellato da precipitazioni sempre più frequenti e sempre più abbondanti. 

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Variazioni nella media di precipitazioni annue © The New York Times

L’inaridimento degli Stati dell’Ovest dura da vent’anni. Nella seconda settimana di settembre circa il 94% del territorio occidentale degli Stati Uniti era in stato di siccità. La principale fonte di approvvigionamento d’acqua in queste zone è la neve, che in primavera si scioglie, scende dalle montagne e raggiunge i due principali bacini, il Lake Mead e il Lake Powell. Negli ultimi anni le temperature più elevate hanno ridotto la frequenza delle nevicate. Mentre il suolo più arido assorbe più velocemente la neve che scende a valle.

Il 16 agosto è stata annunciata l’emergenza idrica nel fiume Colorado, da cui dipendono 40 milioni di persone per energia e acqua potabile. Naturalmente, i cambiamenti climatici non sono l’unico fattore rilevante: un reportage dell’Economist ha spiegato che per le comunità locali adattarsi alla nuova situazione è complesso anche a causa di una gestione poco lungimirante delle istituzioni, e spesso basata su informazioni errate circa le riserve idriche disponibili. L’inaridimento del suolo è anche uno dei fattori che contribuiscono a scatenare gli incendi.

Tutt’altra situazione a Est. Secondo dati della National Oceanic and Atmospheric Administration analizzati dal New York Times, negli Stati orientali è piovuto di più negli ultimi 30 anni che in tutto il Novecento. Le piogge, oltre a essere più frequenti, sono anche più abbondanti. Tra i fattori che concorrono a determinare questa situazione c’è l’aumento delle temperature medie: l’aria infatti è più umida perché mari e oceani evaporano di più. 

Adattamento: nei piani-Biden troppo poco e troppo tardi

Le misure di adattamento concordate nel pacchetto bipartisan provano a dare risposte a questi problemi. Per esempio, l’U.S. Army Corps of Engineers riceverà 11,6 miliardi di dollari da spendere in progetti di controllo delle inondazioni e dragaggio dei fiumi. Alla National Oceanic and Atmospheric Administration saranno assegnati 50 milioni per studiare sistemi in grado di prevedere gli incendi. 55 miliardi saranno spesi per migliorare la qualità e l’accessibilità all’acqua potabile, rimpiazzando i vecchi acquedotti in piombo.

Gli interventi terranno conto anche della variabile sociale. Per esempio, il criterio per la distribuzione dei fondi sulle inondazioni da parte della Federal Emergency Management Agency considera anche il grado di vulnerabilità a cui sono esposte le comunità, per esempio il tasso di povertà. 

Tuttavia, il dispiegamento di forze è ancora modesto rispetto alle necessità. Secondo l’American Society of Civil Engineers serviranno oltre 430 miliardi di dollari in dieci anni per migliorare il sistema idrico del Paese, inclusa la gestione delle acque che provengono dalle precipitazioni intense. Il gap di investimenti negli attuali sistemi pubblici di prevenzione delle inondazioni è di 8 miliardi all’anno. 

Quanto agli incendi, i fondi federali avranno un effetto limitato se non saranno accompagnati da misure più oculate a livello locale sulle concessioni edilizie e sullo sfruttamento del suolo. Oltre a una manutenzione più accurata del patrimonio forestale.

Di fronte ai cambiamenti climatici non bastano i soldi

A un certo punto anche metterci più soldi non sarà abbastanza. Il clima sta evolvendo con una rapidità e un’intensità tali che ci sono limiti oltre i quali ogni misura di adattamento finirà per risultare inadeguata, se contemporaneamente non si interverrà anche sull’origine del problema, ovvero il riscaldamento globale. 

Le condizioni in cui poche settimane fa New York ha affrontato Ida ne sono una prova. Da quando l’uragano Sandy ha colpito la città nel 2012, la Metropolitan Transportation Authority ha investito 2,6 miliardi di dollari in misure di prevenzione delle inondazioni. Ciononostante, all’arrivo di Ida i tunnel si sono allagati e gran parte della rete è stata fuori servizio. 

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Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden © Gage Skidmore/Wikimedia Commons

La pioggia è stata più intensa rispetto a quanto erano in grado di sopportare i sistemi anti-inondazione. Inoltre, Amy Chester dell’ONG Rebuild by Design ha spiegato al New York Times che gli investimenti degli ultimi anni si sono concentrati sulle caratteristiche di Sandy, cioè un uragano proveniente dalla costa, mentre la criticità di Ida era data soprattutto dalla quantità di acqua che si è riversata sulle strade.

Solo alcuni gli interventi sulla riduzione delle emissioni

Il piano tocca solo marginalmente i nodi cruciali per ridurre le emissioni di gas a effetto serra. Oltre alle misure sulle auto elettriche, democratici e repubblicani si sono accordati per concedere 73 miliardi alla resilienza e alla modernizzazione delle reti per la distribuzione di energia, con l’obiettivo di renderle più efficienti nel trasferimento dell’energia eolica e solare. Inoltre, ulteriori investimenti verranno dedicati alla ricerca sull’idrogeno. Ha invece deluso le organizzazioni ambientaliste la decisione di salvare i finanziamenti al nucleare e di sostenere le tecnologie per la cattura e lo stoccaggio della CO2 (Carbon Capture & Storage).

Eppure, gli obiettivi di decarbonizzazione fissati da Biden – 50-52% di emissioni in meno rispetto al 2005 entro il 2030 e zero emissioni nette entro il 2050 – sono ambiziosi e drammaticamente imminenti. Per esempio, uno studio dell’Adlinger Center for Energy and the Environment dell’Università di Princeton ha calcolato che per centrare il target al 2050 occorrerà incrementare la capacità di generare energia solare a un ritmo di 0,8 gigawatt a settimana: appena l’anno scorso gli Stati Uniti hanno raggiunto il record di 20 gigawatt di capacità installata. 

Perché nel piano si parla più di adattamento che di mitigazione?

La spiegazione è semplice. Le conseguenze dei fenomeni atmosferici estremi cominciano a essere parte della vita delle persone. Anche negli Stati che votano in maggioranza per il partito repubblicano, dove lo scetticismo su cause e rimedi ai cambiamenti climatici è ancora molto radicato. Oltre a saldarsi a una tradizionale diffidenza nei confronti delle istituzioni – scienza compresa – e degli interventi del governo di Joe Biden. Ne sono un esempio proprio Louisiana, Mississippi, Alabama e Tennessee, appena provati da Ida. 

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La città di New Orleans, negli Stati Uniti, dopo il passaggio dell’uragano Katrina nel 2005 © AP Photo/U.S. Coast Guard/Public domain

Parlare di transizione energetica, però, è tutt’altra cosa. Questi interventi richiedono il cambiamento dei modelli di produzione e degli stili di vita, erodendo gli interessi di importanti settori dell’economia che sono anche fondamentali fonti di impiego in certi Stati, come nel caso dell’Oil&Gas in Louisiana, che sta soffrendo anche a causa della pandemia.

È difficile prevedere se gli effetti dei cambiamenti climatici potranno far cambiare idea agli scettici. Le posizioni degli americani differiscono drasticamente lungo linee politiche. Un sondaggio di YouGov del 7 settembre ha domandato a un campione di cittadini se il clima fosse la causa della siccità nell’Ovest e delle inondazioni sulla costa Est: il 49% ha risposto sì, il 36% no. Gli scettici scendono al 10% tra i democratici e salgono al 68% tra i repubblicani. 

Cosa succederà nelle prossime settimane

Il piano di Biden sarà votato alla Camera il prossimo 27 settembre. Il destino di questo pacchetto è però legato alla manovra sociale da $3.500 miliardi, che sarà sottoposta al voto del Senato nelle prossime settimane. Il piano divide il partito democratico tra progressisti e moderati, che lo ritengono troppo costoso. Il no dei repubblicani è categorico. Il sostegno di tutti i senatori democratici è essenziale per arrivare alla maggioranza richiesta di 51, quindi i progressisti minacciano di non supportare il piano bipartisan se i compagni di partito non sosterranno anche il capitolo sociale. 

O tutto, o niente.


Federica Casarsa è policy officer presso Eurosif. Le considerazioni presenti in questo articolo sono espresse tuttavia a titolo strettamente personale e non riflettono necessariamente la posizione di Eurosif e dei suoi membri.