Sale la pressione sull’Unione europea per congelare l’accordo con il Ruanda
Il Parlamento europeo ha chiesto la sospensione dell’accordo sulle materie prime critiche tra Unione europea e Ruanda
Spinto dalle richieste delle ong e della società civile, il Parlamento europeo a larga maggioranza (443 voti favorevoli, 4 contrari e 48 astensioni) ha chiesto la sospensione del memorandum di intesa tra Unione europea e Ruanda sulle materie prime critiche. Un accordo entrato in vigore lo scorso anno. E che riguarda tutta una serie di materie prime critiche esportate dal Ruanda come stagno, tungsteno, oro, niobio, potenziali elementi di litio e varie terre rare.
La richiesta di stralciare il memorandum è arrivata nei giorni dopo che il gruppo paramilitare M23 (sostenuto dal Ruanda) ha conquistato la città di Goma, nella zona orientale della Repubblica Democratica del Congo (Rdc). E questo, paradossalmente, è il problema. Perché questo accordo non si sarebbe mai dovuto fare, dato che fin dal principio si configurava come un’intesa ipocrita e scorretta.
Ruanda e Rdc: un conflitto che dura da decenni, con svariati interessi e complicità
Il conflitto tra Ruanda e Rdc va avanti da diversi anni. E in qualche modo riguarda anche il terribile genocidio del 1994, in cui il conflitto tra Hutu e Tutsi provocò la morte di quasi un milione di persone. Un conflitto cui non furono estranee banche e istituti di credito delle ex potenze coloniali europee, come Belgio e Francia. E nemmeno le Nazioni Unite, accusate di avere agevolato la fornitura di armi agli Hutu, i maggiori responsabili del massacro. Semplificando al massimo, il gruppo paramilitare congolese M23 (e i suoi predecessori) è figlio di questo conflitto, essendo composto per la maggior parte da combattenti di etnia Tutsi. Ed essendo sostenuto e sovvenzionato dal Ruanda.
La guerra attuale, denominata conflitto del Kivu, è in corso a più riprese dal 2004. E si è intensificata di nuovo nel 2022 con l’offensiva del M23. L’apice è stato appunto, nei giorni scorsi, la conquista della città di Goma. Questa guerra ha quindi radici remote, che vanno ricercate tanto nel vecchio colonialismo europeo e nel nuovo colonialismo globale, quanto in ancora più antichi conflitti locali, etnici e tribali. Ma la sua declinazione attuale ha senza a che fare con i minerali e metalli critici e con le terre rare, di cui il Ruanda, ma soprattutto la Rdc, sono pieni. E questo è il problema dell’accordo firmato dall’Unione europea.
L’accordo tra Unione europea e Ruanda su minerali, metalli critici e terre rare
L’accordo tra Unione europea e Ruanda è un memorandum d’intesa firmato a febbraio 2024 sulle catene del valore delle materie prime sostenibili. Tramite questo accordo la Ue ha accesso a fonti che includono stagno, tungsteno, oro, niobio e potenziali elementi di litio e di terre rare. Fin qui tutto bene, o quasi. Il Ruanda è infatti il più grande estrattore al mondo del tantalio, un metallo raro che viene utilizzato nelle apparecchiature chimiche. Quindi nel 2024 l’Unione europea ha deciso di dare al Ruanda 900 milioni di euro per sviluppare la sua infrastruttura nell’estrazione di materie prime «nella salute e nella resilienza climatica».
I soldi vengono dal Global Gateway, la risposta da 300 miliardi di euro dell’Unione europea alla Belt and Road cinese. E anche qui la cosa puzza un po’ di neocolonialismo, da parte europea come da parte cinese. Ma non è ancora questo il problema. Come disse al momento della stipula del memorandum il presidente congolese Félix Tshisekedi, si trattava di «una provocazione di pessimo gusto».
Nel memorandum infatti, erano presenti tutta una serie di minerali e metalli critici e di terre rare che non si trovano in Ruanda, come tungsteno, stagno, niobio e litio. E di cui invece è ricca la Repubblica Democratica del Congo. Soprattutto nella zona orientale, terreno del lungo conflitto in corso. Eccolo il problema. Un accordo firmato dall’Europa in nome di «sostenibilità» e «resilienza» prevedeva non solo che il Ruanda le vendesse materie prime non sue, che con tutta evidenza prelevava da una zona di conflitto in cui era impegnato in prima persona.
L’ipocrisia del memorandum europeo, nascosto dietro «sostenibilità» e «resilienza»
«Se si guarda alla composizione geologica del Ruanda, non è possibile che estraggano ciò che esportano», ha dichiarato a Euronews Guillaume de Brier, dell’International Peace Information Service. E lo stesso sito ricorda come un rapporto delle Nazioni Unite del giugno 2024 conclude che l’M23 ha istituito una “amministrazione parallela” che controlla le attività minerarie e il commercio nella Repubblica Democratica del Congo, portando all’esportazione di almeno 150 tonnellate di coltan in Ruanda. Tanto che anche il governo degli Stati Uniti ha sollevato preoccupazioni sul fatto che i gruppi armati sostenuti dal Ruanda stiano beneficiando del commercio illegale di minerali congolesi.
«Quantità significative di minerali congolesi vengono spostate da commercianti, supportati da gruppi armati e servizi di sicurezza, in Ruanda e Uganda, dove vengono poi venduti ad acquirenti internazionali», ha affermato l’ambasciata statunitense nella Rdc. Per tutta risposta, ancora la settimana scorsa un portavoce della Commissione europea ha risposto al Guardian che «uno degli obiettivi principali del protocollo d’intesa con il Ruanda è quello di supportare l’approvvigionamento, la produzione e la lavorazione sostenibili e responsabile delle materie prime. Perché [minerali e metalli critici] sono essenziali per realizzare la transizione verde e digitale sia all’interno dell’Unione europea che in tutto il mondo».
Accordo tra Unione europea e Ruanda, ora tocca alla Commissione
Questa insostenibile posizione della Commissione, spiegano le ong e i gruppi contrari all’accordo, potrebbe non limitarsi solo alla possibilità da parte dell’Unione europea di avvantaggiarsi economicamente. Fingendo di rifornirsi di materie prime «sostenibili» e «resilienti» quando è ovvio che minerali e metalli critici provengono da zone di guerra. Sembra infatti che il presidente ruandese Paul Kagame sia riuscito a ottenere il memorandum anche presentandosi come partner affidabile nella gestione dei flussi migratori. Al peggio non c’è mai fine, evidentemente. Ora però, dopo la presa di Goma sembra che qualcosa sia cambiato. E su pressione delle ong che operano sul territorio e dei gruppi della società civile molti parlamentari hanno cominciato a chiedere lo stralcio del memorandum. La risoluzione del Parlamento è non legislativa, a decidere sarà la Commissione.