Non sono razzista ma… sono un calciatore
Il caso dell’insulto di Acerbi a Juan Jesus ci ricorda che il razzismo nasce e prospera nei privilegi. Anche in quelli dei giornalisti
Il razzismo non nasce dalla paura, ma dal privilegio e dalla volontà di mantenerlo il più a lungo possibile. Non serve scomodare Frantz Fanon e le lotte anticoloniali, dove si dimostra che il razzismo è una necessità del capitalismo estrattivo. E nemmeno Angela Davis e le femministe afrodiscendenti che con la teoria dell’intersezionalità ci hanno aiutato a capire come i concetti di classe, etnia e genere siano inseparabili. Basta guardare al calcio. E allo squallido e vomitevole arrampicarsi sugli specchi di questo mondo, e dei suoi giornalisti, per difendere il privilegiato Francesco Acerbi. Il calciatore dell’Inter che domenica sera ha insultato con epiteti razzisti il giocatore del Napoli Juan Jesus.
Detto che chiunque è innocente fino a prova contraria, ecco i fatti. Durante la partita Jesus si è avvicinato all’arbitro La Penna sostenendo di essere stato insultato con frasi razziste da Acerbi. Alla fine ha provato a smorzare dicendo che l’avversario si era scusato e la cosa per lui finiva lì. Per lui però, perché il regolamento è molto chiaro. L’interista quindi la mattina dopo si è presentato in Nazionale, dove il c.t. Spalletti seguendo il protocollo l’ha rimandato a casa. Ma di ritorno ha cominciato a negare tutto e a sostenere di non avere mai insultato nessuno. A questo punto Jesus si è arrabbiato e ha raccontato tutto. Acerbi gli avrebbe detto: «Vai via nero, sei solo un negro». Insultato va bene, preso per i fondelli no.
Le arrampicate sugli specchi del mondo del calcio
Ieri la Procura della Figc ha chiesto un supplemento di indagine. Sentirà i due protagonisti e altri testimoni. Ai sensi dell’articolo 28 Acerbi rischia non meno di dieci giornate di squalifica. Ma il problema non è la condanna, è tutto il polverone mediatico che si è alzato a difesa dei privilegi del giocatore. A partire dall’allucinante comunicato della Figc in cui è scritto: «È emerso che non vi è stato da parte sua alcun intento diffamatorio, denigratorio o razzista». Gli ha detto “negro”, ma era solo per giocare insomma. Magari domani si veste con la tunica del Ku Klux Klan, ma senza intenti politici, solo perché è comoda.
Ancora più ridicola però è stata la dichiarazione del presidente dell’Associazione Calciatori Umberto Calcagno: «La lotta al razzismo è sacrosanta, ma dobbiamo cercare di non strumentalizzare certi episodi». Il razzismo è un episodio e non va strumentalizzato quindi, ci sono casi in cui si può utilizzare. A partire da quelli, magari, in cui è buono e giusto e fa bene alla salute. Soprattutto quando un giocatore è bianco e l’altro nero, ci viene da pensare. Se sono entrambi bianchi magari no. Assordante è anche il silenzio dell’Inter, che protesta pubblicamente per ogni calcio d’angolo a sfavore, ma sul caso specifico nella sua prima nota ufficiale annuncia che si riserverà di fare due chiacchiere al bar col suo tesserato.
La difesa dei privilegi dei giornalisti
I capolavori però, come sempre, se li riservano i giornalisti. Sulla Gazzetta dello Sport uno stomachevole Giancarlo Dotto si produce in un perfetto esempio di victim blaming. Prima dedica due righe al razzista Acerbi, per giustificarlo: «Se davvero ha detto quelle cose, è stato in quei cinque secondi un pessimo ragazzo». Poverino. E poi ne dedica quarantanove a Juan Jesus per insultarlo. Comincia con una spruzzata di abilismo per dire che Jesus sarebbe conosciuto «per i ripetuti deficit di attenzione». E poi elenca tutte le sue nefandezze. «Tra domenica sera e ieri Jesus ha sbagliato tre volte. La prima quando s’è limitato a confessare all’arbitro il fattaccio, la seconda, quando per stravincere […] La terza ieri sera…». Il quarto sbaglio di Jesus, ne siamo certi, è il colore della sua pelle.
Musica celestiale per le vene gonfie di odio e ammiccanti al razzismo dei giornali di destra. Su Il Giornale Mario Zucchetti ci avvisa che «chiedere pene medievali, la gogna o il marchio di infamia, non aiuta a risolvere il problema e crea solo i presupposti per guerre ideologiche stucchevoli». Peccato che poi quando uno studente di liceo prova a dire che il mondo che gli hanno lasciato in eredità i privilegi di Zucchetti fa schifo, lo stesso Zucchetti invochi subito manganellate degli sbirri, e chissà galera senza processi e detenzioni forzate a Guantanamo.
Il Manifesto del Surrealismo
Ma non è finita qui. Su Libero invece Piero Senaldi si lancia in una supercazzola da fare impallidire Ugo Tognazzi: «Gli alfieri del politicamente corretto, che quando sentono odore di razzismo normalmente provano una strana eccitazione, vorrebbero come contrappasso trasferire il difensore, timorato unicamente di Dio e tatuato anche nel cervello – sarà questo il problema? – in una società nigeriana, con il compito di pulire gli scarpini ai compagni di squadra, tanto sono arrabbiati, tutti neri».
Nemmeno nel Manifesto del Surrealismo di André Breton si trova una prosa lisergica come quella di Senaldi. In pratica detto che Acerbi è uomo, padre e cristiano, come Giorgia, e quindi intoccabile, il buon Senaldi ci spiega che il problema sono gli antirazzisti che si eccitano (sic!). E dall’eccitazione, non si sa come, si arriva a pulire scarpini in uno spogliatoio nigeriano. Dove per giunta sono tutti «arrabbiati neri». Nemmeno Sigmund Freud riuscirebbe a districare la matassa che galleggia nel suo cervello. «Tatuata nel suo cervello», pardon.
E così uno si arrabbia. Ma poi legge questo tweet di un giornalista della Gazzetta, Carlo Laudisa, che su X scrive: «Bene le scuse, doveroso il rosso della Nazionale, ma resta l’amarezza. Ad Acerbi come viene spontanea un’offesa così gretta a Juan Jesus? Il razzismo purtroppo è un nemico silenzioso. Non basta combatterlo a parole. Acerbi si tinga di nero: almeno per un giorno». E si rende conto che questo Laudisa, che è uno dei più noti giornalisti sportivi del Paese, un privilegiato tra i privilegiati, in assoluta buona fede propone a Acerbi di fare il blackface. Una delle pratiche più volgari, schifose e razziste che sia possibile mettere in pratica. E pensa che questo mondo allucinante per fortuna prima o poi finirà. E una risata li seppellirà.