Il prossimo Mondiale di calcio si giocherà in un Paese poco attento ai diritti umani

Non stiamo parlando del Qatar o dell’Arabia Saudita. E a dirlo non siamo noi, ma Mary Harvey, ex portiere della nazionale Usa

© Luke Zhang/Unsplash

La finale del prossimo Mondiale di calcio maschile si giocherà in un Paese dove l’intera ricchezza è nelle mani del 1% della popolazione. Un Paese segnato da profonde fratture e disuguaglianze razziali. Dove la forza lavoro migrante è esclusa dai minimi diritti umani, come il diritto alla salute. Un Paese che sta facendo giganteschi passi indietro sui diritti civili, in particolare sull’aborto. Un Paese in cui è in vigore la pena di morte. Stiamo forse parlando del Qatar, o dell’Arabia Saudita? Ovviamente no. La finale del prossimo Mondiale di calcio maschile si gioca il 19 luglio 2026 a New York, negli Stati Uniti d’America.

Non è una provocazione. Ma un tentativo di rimettere le cose nella giusta prospettiva. Anche perché a fare questo discorso, in una chiacchierata con un giornalista del Guardian, è Mary Harvey. Donna, americana, già portiere della nazionale dal 1989 al 1996 e poi membro dell’esecutivo della Fifa. E da due anni a capo del “dipartimento diritti umani” dell’organizzazione dei Mondiali di Usa Canada e Messico 2026. «Usciamo dall’ipocrisia di guardare solo in casa d’altri. Ogni nazione ha i suoi problemi con il rispetto dei diritti umani», ha detto Harvey.

Le parole di Mary Harvey

Poi ha spiegato che nel lavoro di ricognizione sui tre Paesi che ospiteranno insieme la Coppa del Mondo 2026, ovvero Stati Uniti, Canada e Messico, è risultato che sono proprio gli States quelli messi peggio. È negli Usa che c’è «il gap maggiore nel rispetto dei diritti umani, in particolare per quel che riguarda la libertà di movimento, le discriminazioni, le tutele sul lavoro e il diritto alla casa», ha detto Harvey. Aggiungendo poi che un ulteriore problema sono le differenti leggi tra i vari Stati. Il Texas e la Florida hanno leggi oscurantiste e liberticide nei confronti della comunità LGBTQ+, mentre la California e il Massachusetts no.

Da qui Mary Harvey torna alla questione principale. «Se all’interno degli Stati Uniti non ci sono leggi accettabili e uniformi nemmeno tra Stato e Stato, come possiamo pretendere che queste leggi siano uniformate a livello globale?». Ecco perché bisogna fare attenzione a fare del facile esotismo, e considerare solo i Paesi lontani da noi come iniqui e ingiusti. Prendiamo un paio di dati economici. Secondo gli ultimi dati della Fed, l’1% più ricco degli americani ha un patrimonio netto combinato pari al 30,4% di tutta la ricchezza delle famiglie negli Stati Uniti. Mentre il 50% più povero della popolazione si divide meno del 1,9 % di tutta la ricchezza. Una distribuzione delle risorse da regno medievale.

La futura guida suprema degli Stati Uniti d’America

Prendiamo i dati sulla segregazione etnica e razziale negli Usa. La notizia che in Alabama è appena stata eseguita la prima condanna a morte attraverso «soffocamento mediante gas di azoto». Una pratica che l’Onu equipara alla tortura. Oppure ricordiamoci che in Texas non solo è proibito abortire, ma alle donne è proibito lasciare lo Stato se qualcuno ha anche solo il sentore che lo stiano facendo per andare ad abortire altrove. E si potrebbe andare avanti così all’infinito.

Ecco perché tutto il lavoro che giustamente è stato fatto sull’opportunità di disputare i Mondiali del 2022 in Qatar e quelli del 2034 in Arabia Saudita deve essere fatto anche nei confronti degli Stati Uniti. Senza dimenticare un ultimo, gigantesco (per restare in tema di stadi), problema. Il 19 luglio 2026 al Giants Stadium New York, il giorno della finale dei Mondiali di calcio maschile, con buone probabilità la guida suprema degli Stati Uniti d’America sarà un personaggio addirittura più inquietante del peggior satrapo mediorientale. Il suo nome è Donald Trump.