Violato il settimo limite planetario: l’acidificazione degli oceani
Il Planetary Health Check mostra che anche l’acidificazione degli oceani ha superato la soglia di sicurezza. I limiti planetari violati sono sette su nove
Il clima è solo la punta dell’iceberg di una crisi planetaria molto più ampia. Come è noto, sono tanti gli aspetti ambientali che preoccupano la società civile e la comunità scientifica. Il problema dei rifiuti, ad esempio, che è tra i più evidenti, perché si vede subito. E, non a caso, raccolta differenziata, discariche e inceneritori sono spesso al centro di discussioni, contenziosi e proteste. La plastica in mare è diventata un simbolo, grazie a immagini, video e inchieste di grande impatto.
Il buco dell’ozono, invece, era “di moda” negli anni Ottanta: qualcuno ancora oggi si chiede come mai non se ne parli più. In questo caso, la spiegazione è positiva: il Protocollo di Montreal del 1987 ha permesso di evitare che la situazione sfuggisse di mano. Al contrario, restano meno percepiti altri problemi, come la perdita di biodiversità, il degrado del suolo o l’acidificazione degli oceani.
Come costruire, allora, un indicatore – o una serie di indicatori – che ci racconti in modo semplice lo stato di salute dell’ambiente?
A cosa serve il concetto di limiti planetari
Da alcuni anni un gruppo internazionale di scienziati realizza il Planetary Health Check, un’analisi approfondita che valuta diversi indicatori dello stato di salute del Pianeta. Il metodo, messo a punto dai ricercatori del Potsdam Institute for Climate Impact Research (PIK) e dello Stockholm Resilience Centre, si basa sul concetto dei nove limiti planetari (planetary boundaries): un quadro scientifico che definisce le soglie entro cui il sistema Terra dovrebbe restare per mantenersi in condizioni stabili e favorevoli alla vita e all’economia.
Questi indicatori riguardano aspetti fondamentali come clima, biodiversità, uso del suolo, cicli di azoto e fosforo, acidificazione degli oceani, disponibilità di acqua dolce, inquinamento atmosferico, sostanze chimiche di sintesi e concentrazione di aerosol. Superare queste soglie significa spingere il Pianeta oltre la propria capacità di autoregolarsi.
Vediamo allora più da vicino che cosa ci racconta il rapporto 2025.

Rapporto sui limiti planetari 2025: 7 indicatori su nove sono stati superati
La nuova edizione del Planetary Health Check 2025, pubblicata a settembre, mostra che sette dei nove limiti planetari sono stati superati, uno in più rispetto al 2023. Le nuove conoscenze scientifiche, insieme al peggioramento delle crisi ambientali, hanno portato per la prima volta al superamento del limite dell’acidificazione degli oceani. Nella precedente edizione questo indicatore era ancora appena al di sotto della soglia di pericolo.
Facciamo un passo indietro: nella prima edizione del 2009 i settori oltre il confine di sicurezza erano tre; nel 2015 erano diventati quattro, poi sei nel 2023 e oggi sette su nove. In altre parole, sempre più sistemi vitali della Terra stanno superando punti critici, con conseguenze potenzialmente gravi per gli ecosistemi e per le società umane.
Quali limiti planetari sono stati superati
Cambiamenti climatici, integrità della biosfera, cambiamento del sistema terrestre, uso dell’acqua dolce, flussi biogeochimici, nuove entità e – novità del rapporto 2025 – acidificazione degli oceani: sono questi i limiti planetari oggi violati, e tutti mostrano trend in peggioramento. Solo l’esaurimento dell’ozono e il carico di aerosol restano nella zona di sicurezza.
«Stiamo assistendo a un diffuso declino della salute del nostro Pianeta. Ma questo non è un risultato inevitabile. La riduzione dell’inquinamento da aerosol e la guarigione dello strato di ozono dimostrano che è possibile invertire la rotta dello sviluppo globale. Anche se la diagnosi è disastrosa, la finestra di cura è ancora aperta. Il fallimento non è inevitabile; il fallimento è una scelta. Una scelta che deve e può essere evitata», ha dichiarato Johan Rockström, direttore del Potsdam Institute for Climate Impact Research e ricercatore presso lo Stockholm Resilience Centre.
Entrando più nel dettaglio: tutti conosciamo la crisi climatica, ma non sempre gli altri limiti sono altrettanto noti. L’integrità della biosfera corrisponde alla perdita di biodiversità, che provoca estinzioni accelerate e degrado degli ecosistemi. Il cambiamento del sistema terrestre riguarda la trasformazione dell’uso del suolo – deforestazione, urbanizzazione e agricoltura intensiva – che minaccia non solo l’ambiente ma anche la sicurezza alimentare. L’uso dell’acqua dolce evidenzia la crescente pressione su fiumi, falde e laghi, sempre più sfruttati e inquinati dalle attività umane. I flussi biogeochimici fanno riferimento all’eccesso di azoto e fosforo dovuto ai fertilizzanti, che causa eutrofizzazione e “zone morte” nei mari. Le nuove entità, introdotte nel 2023, comprendono sostanze chimiche di sintesi, plastica e microplastiche, radioattività e altre minacce che raggiungono anche gli ecosistemi più remoti.
Infine, c’è l’acidificazione degli oceani – la cattiva notizia del rapporto 2025 – su cui vale la pena soffermarsi.
Cos’è l’acidificazione degli oceani e quali conseguenze comporta
Gli oceani forniscono servizi ecosistemici fondamentali. Tra le altre cose, agiscono come un grande pozzo di CO2, assorbendo circa il 25-30% dell’eccesso di anidride carbonica prodotta dalle attività umane. Questo effetto “spugna”, però, dipende fortemente dalla temperatura: con l’aumento del riscaldamento globale, la capacità dei mari di assorbire CO2 si riduce progressivamente. Inoltre, a causa di complessi processi geochimici, la CO2 disciolta contribuisce ad aumentare l’acidità dell’acqua marina.
Dall’inizio dell’era industriale, il pH degli oceani è diminuito di circa 0,1 unità, corrispondenti a un incremento del 30-40% dell’acidità. Di conseguenza, gli ecosistemi marini hanno ormai superato la soglia di sicurezza, compromettendo la capacità degli oceani di agire come stabilizzatori del sistema Terra. Secondo gli scienziati che hanno redatto il Planetary Health Check, gli effetti si stanno già manifestando: barriere coralline, fauna marina, stock ittici e molluschi risultano sempre più vulnerabili.
«Questa crescente acidificazione deriva principalmente dalle emissioni dei combustibili fossili e, insieme al riscaldamento degli oceani e alla deossigenazione, colpisce tutto, dalla pesca costiera all’oceano aperto. Le conseguenze si ripercuotono sulla biodiversità, sulla sicurezza alimentare, sulla stabilità climatica globale e sul benessere umano», ha spiegato Albert Norström, coautore del rapporto.
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Cosa rischiamo? Dai pericoli all’azione
I confini planetari sono come le spie sul cruscotto di un’automobile o gli indicatori di sicurezza di una centrale nucleare: servono a capire quando il Pianeta sta andando “fuori giri” o operando in condizioni pericolose. Un po’ come passare con il rosso, superare il limite di velocità o avere la pressione e il colesterolo alti: per un po’ si può anche avere fortuna e non subire conseguenze, ma si tratta comunque di comportamenti ad alto rischio.
Con il Planetary Health Check, gli scienziati del Potsdam Institute for Climate Impact Research (PIK) e dello Stockholm Resilience Centre non si limitano a lanciare l’allarme: mostrano anche come il concetto dei confini planetari stia passando dalla teoria alla pratica. Negli ultimi anni, infatti, è diventato un punto di riferimento per politiche pubbliche, imprese e società civile.
Alcune città, come Amsterdam, hanno adottato il cosiddetto “modello a ciambella”, che mette in relazione benessere sociale e sostenibilità entro i limiti ecologici. La Nuova Zelanda e diversi Paesi europei utilizzano i confini planetari per valutare le proprie strategie ambientali. Anche alcune aziende iniziano a fissare obiettivi basati sulla scienza e sul rispetto della natura. Persino nel settore finanziario si affacciano, timidamente, iniziative per rendere conto degli impatti su clima ed ecosistemi.
Ma non basta. Guardando ai segnali più recenti – come il crescimento delle spese militari – sembra purtroppo che il mondo stia andando nella direzione opposta a quella necessaria.




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