Acqua come arma nei conflitti, il caso di Russia e Israele
Usare l'acqua come un'arma contro i civili è vietato dal diritto internazionale. Ma continua a succedere, nella Striscia di Gaza e non solo
Quando il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, ha ordinato «l’assedio totale» della Striscia di Gaza definendo i palestinesi degli «animali umani», ciò che ha lasciato sgomenti è stata la decisione di interrompere anche le forniture essenziali per la sopravvivenza al fine di colpire persone innocenti come conseguenza dell’attacco di Hamas del 7 ottobre che ha ucciso circa 1.200 israeliani. Da quel momento l’acqua – o meglio la sua scarsità – è stata trasformata in un’arma di guerra. Molto più letale di molte altre armi “attive” di distruzione di massa, come possono essere le bombe al fosforo bianco o altri folli ordigni.
Da quel momento bambine e bambini si aggirano per i campi di primo soccorso della Striscia per chiedere acqua e pane, secondo quanto riportato dal portavoce dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi in Medio Oriente (Unrwa). Del resto, oltre il 96% delle scorte di acqua a Gaza è «inadeguato per il consumo umano», sempre secondo quanto riportato dall’Onu. Proprio questa contaminazione ha fatto sì che molte persone si ammalassero o che non potessero accedere ai servizi sanitari di base. Dando vita a una crisi sanitaria.
Conflitti per l’acqua: quanti sono e dove
Ma la situazione palestinese non è un caso isolato, seppure attualmente sia il più grave al mondo perché riguarda oltre un milione di persone. Oggi costrette a bere, cucinare e lavarsi con acqua salata o contaminata.
Nel 2022, infatti, i conflitti per l’acqua documentati sono almeno 228, pari a un aumento dell’87% rispetto al 2021. Lo riferisce il Pacific Institute che realizza il Water Conflict Chronology. Un osservatorio open source, cioè alimentato dalle segnalazioni di studi distribuiti nel tempo e nello spazio da parte di ricercatori e operatori, volto a monitorare come l’acqua venga usata come strumento o arma in diverse aree di conflitto in giro per il mondo.
Su tutti, la guerra che la Russia sta portando avanti in Ucraina ha avuto un impatto devastante. Sono state bombardate in modo strategico dighe e impianti di trattamento delle acque, per colpire sia civili che militari. E poi hanno inciso notevolmente i conflitti in Medio Oriente, ancor prima che esplodesse la situazione tra Israele e Hamas. Nel 2022 gli attacchi alle forniture idriche in Yemen, Iraq e Siria hanno causato 74 incidenti, pari a circa un terzo del totale (228).
L’accesso all’acqua è un diritto fondamentale
L’escalation, però, è cominciata qualche anno prima, verso l’inizio degli anni Duemila, per poi esplodere a partire dal 2012. Anni in cui sorgenti o fonti d’acqua, dighe, impianti per il trattamento delle acque reflue o più semplicemente acquedotti e infrastrutture collegate sono stati presi di mira per causare sofferenze o attacchi militari in grado di bloccare un’avanzata o causare una resa da parte dell’avversario.
Dal già citato Medio Oriente al Sudest asiatico, fino a diversi conflitti attivi in Africa. Dove l’acqua è stata utilizzata per alimentare le rivalità tra popoli, in un contesto già “inquinato” dalla crisi climatica che ha portato a un calo della disponibilità a fronte di un aumento della domanda. Tutto questo nonostante le Nazioni Unite riconoscano l’accesso all’acqua come un diritto fondamentale – quindi universale. Che, però, ancora non viene garantito a oltre 2 miliardi di persone, circa un quarto della popolazione mondiale.
A rischio l’accesso all’acqua
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Usare l’acqua come un’arma è vietato dal diritto internazionale
Come abbiamo imparato in queste settimane, anche in contesti di belligeranza, esistono delle regole da seguire. E «gli attacchi ai sistemi di fornitura di acqua ad uso civile o l’uso dell’acqua come arma contro i civili sono assolutamente vietati dal diritto internazionale». Lo ribadisce Peter Gleick, co-fondatore nel 1985 del Pacific Institute, raggiunto dal quotidiano britannico Guardian.
Eppure «il 2023 sembra tanto negativo quanto il 2022, a meno che gli sforzi per contrastare le conseguenze di siccità e altri cambiamenti climatici non aumentino, così come i conflitti in Ucraina e Medio Oriente non si plachino» in queste ultime settimane, ha aggiunto Gleick. Cosa che pare alquanto improbabile vista la decisione di alcuni leader, come il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, di disertare la Cop28. Cioè la conferenza sul clima che ogni anno dovrebbe portare avanti la strategia di contrasto al riscaldamento globale. E l’incapacità della comunità internazionale di imporre un cessate il fuoco immediato ai bombardamenti che Israele sta portando avanti in modo indiscriminato ai danni del popolo palestinese.
Non bastasse quello legato all’aumento della temperatura media globale, il 2023 sembra pronto a far registrare un nuovo, drammatico record.