Per l’Africa si apre una nuova era di solidarietà. Almeno sulla carta
I leader mondiali si sono riuniti a Doha per la quinta Conferenza delle Nazioni Unite per i Paesi meno sviluppati
Dal 5 al 9 marzo si è tenuta a Doha, in Qatar, la Least Developed Countries Conference (LDC5). Qui più di 130 leader mondiali e capi delegazione si sono riuniti, insieme a esponenti del mondo imprenditoriale e della società civile. Obiettivo dell’incontro: trovare delle soluzioni per accelerare lo sviluppo sostenibile e affrontare collettivamente le sfide economiche e sociali nei 46 Paesi meno sviluppati, dove gli aiuti internazionali sono più necessari.
In cosa consiste il Programma d’azione per i Paesi meno sviluppati
La Conferenza si è conclusa con l’adozione da parte delle nazioni ricche di misure concrete volte a implementare il Doha Programme of Action For the Least Developed Countries for the Decade 2022-2031 (DPoA). Meccanismo che mira a rafforzare e rinnovare la cooperazione tra le economie più sviluppate e quelle che lo sono meno. E che include il settore privato, la società civile, oltre ai poteri pubblici a tutti i livelli.
Il testo finale del Programma era stato adottato in occasione della prima parte della Conferenza per i Paesi meno sviluppati, tenuta il 17 marzo 2022 a New York. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite l’aveva poi approvato ad aprile dello stesso anno. All’inizio del mese, invece, durante la seconda parte della Conferenza, le discussioni si sono concentrate sulla costruzione dei piani e partenariati necessari al mantenimento delle promesse del Programma d’azione. La piena attuazione di quest’ultimo dovrebbe aiutare i Paesi meno sviluppati ad affrontare le conseguenze socio-economiche della pandemia da Covid-19, a raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile e ad affrontare le sfide dei cambiamenti climatici.
Le sei aree chiave del Programma
Il Programma comprende sei aree-chiave. Investire sulle persone dei Paesi meno sviluppati; sfruttare il potere della scienza, della tecnologia e dell’innovazione per affrontare le vulnerabilità e raggiungere gli SDGs. Sostenere la trasformazione strutturale come motore di prosperità; rafforzare il commercio internazionale e l’integrazione regionale dei Paesi meno sviluppati. Affrontare i cambiamenti climatici e il degrado ambientale, riprendersi dalla pandemia di Covid-19 e costruire resilienza in vista di possibili shock futuri. Mobilitare la solidarietà internazionale e rinvigorire i partenariati globali con strumenti e mezzi innovativi.
Dall’inizio della pandemia i 46 Paesi meno sviluppati – già soggetti a shock economici e ambientali – hanno sofferto l’inadeguatezza delle risorse destinante alla lotta contro il Covid-19 e l’insostenibile aumento del debito pubblico. Ciò ha ostacolato ogni possibile progresso socio-economico.
Guterres ha sottolineato le iniquità del sistema finanziario
Durante l’apertura della V Conferenza per i Paesi meno sviluppati il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha sottolineato che il sistema finanziario, creato dai Paesi sviluppati, è ingiusto nei confronti nei confronti di quelli meno sviluppati, che devono pagare tassi di interesse quasi otto volte superiori a quelli dei Paesi ricchi: «Oggi 25 economie in via di sviluppo spendono più del 20% delle loro entrare solo per il servizio del debito», ha dichiarato il segretario generale delle Nazioni Unite.
Il diplomatico portoghese ha inoltre esplicitato l’impellente necessità di una “rivoluzione del sostegno” ai Paesi meno sviluppati. Rivoluzione che dovrà avvenire in tre aree. La prima riguarda il supporto al raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, che dovrà avvenire attraverso la fornitura di almeno 500 miliardi di dollari all’anno ai Paesi meno sviluppati. Nonché attraverso il rispetto dello storico impegno, assunto dai Paesi Sviluppati in materia di Aiuto pubblico allo sviluppo, di stanziare tra lo 0,15 e lo 0,2% del Pil.
In secondo luogo, Guterres ha sostenuto la necessità di riformare il sistema finanziario globale attraverso un nuovo momento à la “Bretton Woods”. Includendo l’espansione dei finanziamenti di emergenza e clausole per disastri e pandemie negli strumenti del debito. Infine, come terza area di intervento, il segretario generale ha individuato gli effetti del riscaldamento globale, proponendo una serie di misure di aiuto che vanno dal semplificare l’accesso ai finanziamenti per il clima alla ricostruzione del Fondo verde per il clima sostenuto dalle Nazioni Unite. «L’era delle promesse non mantenute deve finire ora – ha dichiarato–. Mettiamo i bisogni dei Paesi meno sviluppati in cima alla lista delle nostre priorità.
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Dal potenziale alla prosperità
Il Doha Programme of Action è stato adottato tra gli applausi. La riunione plenaria di chiusura della Conferenza si è tenuta, tuttavia, all’insegna di un monito nei confronti dei Paesi sviluppati. «Gli impegni e le responsabilità non si fermano e non iniziano con la firma di documenti o con la partecipazione alle Conferenze», ha infatti dichiarato Amina Mohammed, vice segretario generale delle Nazioni Unite. «Essi – ha aggiunto – devono costituire parte integrante dei nostri sforzi verso il 2030 ed estendersi per l’intero decennio».
I partner sono stati esortati, una volta lasciata Doha, a pensare nel concreto a quali contributi ognuno di loro potrà dare all’attuazione del Programma d’Azione. Adattando le loro politiche nazionali di cooperazione in modo da soddisfare le aspettative e le aspirazioni dei Paesi meno sviluppati. «I least developed countries – ha affermato Rabab Fatima, Alto rappresentante per i Paesi meno sviluppati, i Paesi in via di sviluppo senza sbocco sul mare e i piccoli Stati insulari in via di sviluppo (UN-Ohrlls) – hanno il potenziale più inutilizzato del mondo, dalle risorse naturali a quelle umane». Pertanto, ha sottolineato Fatima, i risultati della Conferenza, se trasformati in impegni concreti, potranno contribuire allo sfruttamento di tale potenziale. Tracciando per i Paesi meno sviluppati un futuro di prosperità.