L’alleanza delle banche per il clima finora non è servita quasi a niente

I dati della BCE sollevano pesanti dubbi sull’efficacia dell’alleanza delle banche per il clima lanciata alla Cop26 di Glasgow

Una manifestazione per il clima di fronte alla sede della Banca Centrale Europea © Koala Kollektiv/Flickr

Quando alla Cop26 di Glasgow i grandi nomi della finanza hanno formato una coalizione con la promessa di accelerare la decarbonizzazione dell’economia globale, sembrava che finalmente fosse arrivato il momento della verità. E la verità è che per la transizione ecologica servono i capitali privati. Con il passare dei mesi, e poi degli anni, è stato possibile raccogliere i dati che consentono di verificare se quelle promesse hanno effettivamente cambiato le cose. La risposta, ad oggi, è no. Stando a uno uno studio pubblicato dalla Banca Centrale Europea, l’alleanza delle banche per il clima è stata pressoché ininfluente.

Cos’è l’alleanza delle banche per il clima siglata a Glasgow

Di impegni volontari per il clima da parte delle banche ne esistono tanti, ma il report si focalizza sul più ampio e celebre in assoluto. Risale al 2021, quando, durante la Cop26 di Glasgow, l’ex-governatore della Banca d’Inghilterra Mark Carney e il magnate dell’editoria Michael Bloomberg hanno presentato la Glasgow Financial Alliance for Net Zero. Questa coalizione si articola a sua volta in varie alleanze settoriali che riuniscono asset manager, compagnie di assicurazione, consulenti. E banche, appunto.

L’alleanza delle banche per il clima (Net Zero Banking Alliance, NZBA) ad oggi conta 138 istituti in 44 Paesi. Messi insieme, superano il 40% degli asset del sistema bancario globale. I firmatari si impegnano ad «allineare i portafogli di prestiti e investimenti alle zero emissioni nette entro il 2050». Entro 18 mesi dall’adesione, inoltre, devono fissare dei target intermedi da raggiungere entro il 2030 e rinnovare poi ogni cinque anni. Questi obiettivi devono focalizzarsi sui settori che hanno il maggiore impatto in termini di emissioni di gas a effetto serra.

Infine, le banche aderenti si impegnano a pubblicare ogni anno i dati sulle emissioni, espressi sia in termini assoluti sia in termini di intensità. Una serie di vincoli che, sulla carta, sono parecchio rigorosi. Lo studio, dunque, pone una domanda lecita: hanno davvero delle conseguenze?

I dubbi sull’efficacia degli impegni volontari per il clima

Gli autori, che fanno capo alla Columbia Business School, al Massachusetts Institute of Technology e alla stessa Banca Centrale Europea, hanno raccolto informazioni sui prestiti erogati da oltre trecento banche europee. Circa una su dieci ha aderito all’alleanza delle banche per il clima. Tendenzialmente si tratta di realtà più grandi e più esposte nei confronti di settori particolarmente critici in termini di emissioni (le miniere, ad esempio), in particolare al di fuori dell’Eurozona.

Nel loro insieme, a partire dal 2018 gli istituti hanno ridotto del 20% i prestiti concessi ai settori più controversi, come l’oil&gas e i trasporti. Di per sé, è un passo avanti. Ma, esaminando meglio i dati, si scopre che la tendenza è pressoché la stessa anche per le banche che non fanno parte dell’alleanza per il clima. Le firmatarie non hanno interrotto le relazioni commerciali con le imprese nei settori a maggiori emissioni e, anzi, sono leggermente più propense a stringerne di nuove. «Non può andare bene che una banca net-zero si comporti esattamente come una banca che non lo è», chiarisce al New York Times Parinitha Sastry, coautrice del rapporto.

Anche in termini di engagement, cioè di dialogo con le aziende per spingerle a tagliare le emissioni, l’alleanza delle banche per il clima è sostanzialmente ininfluente. Gli istituti di credito aderenti non hanno applicato tassi di interesse più alti ai clienti dei comparti più problematici. Da parte loro, le imprese beneficiarie dei loro prestiti non sono state più proattive nel fissare i propri obiettivi di decarbonizzazione. In compenso, le banche stesse hanno ottenuto un tornaconto, sotto forma di un miglioramento dei propri punteggi ESG (ambientali, sociali e di governance).

L’alleanza delle banche per il clima scricchiola da tempo

«Riteniamo prematuro trarre conclusioni sul fatto che gli impegni delle banche aderenti alla NZBA abbiano portato, o meno, a una riduzione delle loro emissioni finanziate», si difende Sarah Kemmitt, a capo della segreteria dell’alleanza delle banche per il clima. Sottolineando come il rapporto non possa tenere conto degli avanzamenti degli ultimi mesi.

Quel che è certo è che la Glasgow Financial Alliance for Net Zero non riscuote l’entusiasmo dei primi tempi. Da un lato ci sono gli Stati americani a guida repubblicana che da mesi portano avanti un’accanita campagna contro la finanza sostenibile. A farne le spese è stata soprattutto l’alleanza settoriale delle compagnie di assicurazione (Net-Zero Insurance Alliance) che, nel corso del 2023, ha perso circa la metà dei suoi membri in una sorta di fuggi fuggi generale.

L’alleanza settoriale delle banche per il clima, quantomeno, ha retto. Ma c’è chi l’ha accusata di aver accettato pesanti compromessi pur di mantenere a bordo i colossi di Wall Street. Nel frattempo, a inizio 2023, una fondatrice del calibro di GLS Bank – la prima banca etica tedesca – se n’è andata. Il motivo? Un report che dimostrava come 56 banche avessero fornito 270 miliardi di dollari, tra prestiti e sottoscrizioni, a 102 società del settore dei combustibili fossili. Tutto questo, dopo essersi unite alla coalizione. Un’altra importante banca etica, l’olandese Triodos, nel 2024 ha votato contro le nuove linee guida aggiornate della NZBA, ritenendole troppo morbide. Ha però deciso di restare nell’alleanza, nel tentativo di agire dall’interno per renderla più incisiva.