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Amazon si crea un look green, ma la sostenibilità è lontana

Dall'impegno a raggiungere zero emissioni di CO2 entro il 2040 all'etichetta Climate Pledge Friendly per i prodotti sostenibili. Amazon promuove la sostenibilità. Ma resta insostenibile

L'immagine che compare sulla pagina del sito sustainability.aboutamazon.com che Amazon dedica alla campagna per la sostenibilità Amazon Climate Pledge

Fino a ieri non è stata esattamente un’azienda simbolo per il basso impatto ambientale o per la sostenibilità sociale dei suoi processi e del suo catalogo. Oggi Amazon prova a rifarsi il look e si candida come paladina dell’economia a basso impatto e come “giudice” della sostenibilità dei prodotti che propone. Aveva iniziato nel 2019 con il lancio della campagna Climate Pledge, fortemente criticata da Greenpeace International, un impegno a “raggiungere zero emissioni di CO2 in tutto il suo business entro il 2040, con 10 anni di anticipo rispetto agli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi”. Ora si aggiunge il lancio del marchio Climate Pledge Friendly, una sorta di etichetta sulla sostenibilità di alcuni articoli venduti dalla piattaforma. L’azienda di Seattle si fa così veicolo dell’attenzione per l’ambiente e, più marginalmente, per il valore dell’equità dei rapporti economici coi produttori. A ciò la compagnia aggiunge un proprio marchio di certificazione, Compact by design, e un fondo dedicato a investimenti mirati nell’ottica della riduzione delle emissioni.

Ma quanto pesano le iniziative in questione? Sarà vera gloria o è il solito greenwashing?

Giudice di sostenibilità

Il 23 settembre Amazon ha iniziato a pubblicare sul proprio sito l’etichetta Climate Pledge Friendly, un contrassegno verde con il disegno di una clessidra alata, che viene assegnato ai prodotti che l’azienda propone come “sostenibili”. Sono prodotti che hanno una o più delle 19 diverse certificazioni di sostenibilità (emesse da organismi terzi) che Amazon ha individuato come autorevoli indicatori. Diversi i comparti coinvolti: alimentari, casalinghi ed elettronica. Ma soprattutto la moda, tra i settori più contestati in ambito di sostenibilità.

Amazon Climate Pledge Friendly
L’etichetta Amazon Climate Pledge Friendly assegnata da Amazon ai prodotti che hanno ricevuto una certificazione di sostenibilità

Solo lo 0,2% dei prodotti ha una certificazione di “sostenibilità”

Climate Pledge Friendly di fatto è un’etichetta apposta ad alcune merci in catalogo sulla piattaforma (al momento solo per gli USA). Cliccando sul logo del programma l’acquirente può verificare quali certificazioni di sostenibilità sociale e/o ambientale abbia ricevuto il prodotto selezionato: una o più tra le 19 diverse contemplate dal programma. Si va dalle certificazioni di prodotti spediti utilizzando metodologie a ridotta impronta di carbonio a quelli realizzati con derivati di foreste gestite responsabilmente o con materiali riciclati, fino ad articoli del commercio equo e solidale. Prodotti alimentari, per la casa, moda, bellezza ed elettronica personale, nonché di altre categorie. E nella pagina dedicata a ciascun prodotto si può accedere a ulteriori informazioni.

Certo, pensando alla potenza della compagnia e agli impatti che determina, forse servirebbe più coraggio.

Le voci certificate Climate Pledge Friendly sono 25mila, solo lo 0,2% dei 12 milioni di articoli nel catalogo Amazon (secondo dati non ufficiali del 2016)

E la percentuale diventerebbe infinitesima contando anche le centinaia di milioni di articoli ospitati sulla piattaforma e venduti da venditori terzi.

L’imballaggio può fare (un po’) la differenza

Appare tuttavia apprezzabile che la piattaforma di e-commerce per eccellenza, e più frequentata al mondo, si faccia veicolo di acquisti consapevoli. E va riconosciuto il passo in più – insieme ad altre iniziative purtroppo di difficile misurazione – compiuto da Amazon con la creazione di un marchio relativo all’efficienza del packaging.

Un marchio per valutare il confezionamento, creato e gestito direttamente dalla multinazionale e chiamato Compact by design. Perché, viene ricordato in un comunicato, “con la rimozione di aria e acqua in eccesso, i prodotti richiedono meno imballaggi e diventano più efficienti da spedire”. E su grande scala “queste piccole differenze nelle dimensioni e nel peso del prodotto portano a significative riduzioni delle emissioni di carbonio“.

marchio Compact by design di Amazon, i criteri di assegnazione
marchio Compact by design di Amazon, i criteri di assegnazione – fonte Amazon.com con traduzione

Dubbi sul piano rinnovabili e un fondo green da 2 miliardi

Ma non è tutto. L’azienda si è impegnata pubblicamente a raggiungere il 100% di energia rinnovabile entro il 2025, e ha ordinato oltre 100mila veicoli per le consegne completamente elettrici, ad esempio. Anche se Greenpeace sostiene che “L’impegno di Amazon per le rinnovabili copre solo le proprie operazioni e il consumo di elettricità, ma tralascia la sua catena di approvvigionamento, che, nel caso di Amazon, rappresenta oltre il 75% della sua impronta di carbonio complessiva”. Certo non si può imputare a Bezos & Co. l’impronta ecologica di tutta la filiera che sta a valle, ma se chiediamo ai grandi marchi della moda di imporre ai fornitori dei disciplinari etici, perché non ipotizzarlo in questo caso.

Intanto che ci si pensa, Amazon prova a superare l’impasse cercando soluzioni carbon free ad ogni (suo) problema, lanciando il Climate Pledge Fund: un fondo da 2 miliardi di dollari che deve “sostenere aziende visionarie i cui prodotti e servizi faciliteranno la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio”. “Basse” non è “zero”, i tempi non possono che essere lunghi, ma qualcosa è meglio di nulla. E i furgoni per le consegne, già poco visionari, non sono navi e aerei. Ma per ora si sa che il suddetto fondo è servito a finanziare Rivian Automotive e a sviluppare e acquistare proprio i 100mila veicoli elettrici citati. Di altri investimenti, visionari o meno, non sappiamo.

Amazon fatica a centrare gli obbiettivi

In conclusione, pur apprezzando lo spirito della strategia, va evidenziato il generale ritardo delle varie iniziative (l’Accordo sul clima di Parigi è del 2015). Ciononostante si tratta di azioni che interessano senz’altro quei consumatori che si chiedono se, tramite i loro acquisti, possono contribuire quanto meno a non aggravare la crisi climatica in atto. In particolare i famigerati millennials, particolarmente sensibili al tema “ambiente e diritti”, nonché serbatoio di acquisti on line per il presente e il prossimo futuro.

Ma sui risultati effettivi delle idee messe in pratica, al momento, c’è poco da gioire. A giugno 2020 Amazon dichiarava infatti che, nonostante i buoni propositi e le azioni implementate, la sua impronta di carbonio è aumentata del 15% nel 2019 sul 2018, passando da 44 milioni di tonnellate di CO2 equivalente emesse a 51,17. Quanto 13 centrali elettriche a carbone in funzione per un anno, scrive AP. La quantità di carbonio emessa per ogni dollaro speso sul sito sarebbe però diminuita del 5% nello stesso periodo, a dimostrazione degli sforzi compiuti.

E però, alla fine, un dubbio esiziale grava sulla creatura del multifantastiliardario Bezos. Al di là della buona volontà e degli investimenti, il modello di business del gigante dell’e-commerce e dei suoi simili può davvero diventare sostenibile nei tempi sperati? Un modello che, ad oggi, dipende dalla movimentazione di migliaia di navi, aerei e camion inquinanti. Mezzi che l’aumento di ordini effettuati durante la pandemia di coronavirus ha spinto a viaggiare ancora di più.