Amazzonia, ecco chi finanzia la deforestazione
Nel Brasile di Bolsonaro la deforestazione avanza ancora. Un report fa i nomi dei finanziatori e delle imprese responsabili, tra miniere, energia e agroindustria
L’Amazzonia è ricca, ricchissima di risorse, si sa. Ma il paradosso brasiliano è che la deforestazione avanza anche durante la pandemia di coronavirus, quando l’economia dovrebbe rallentare. Tali e tanti sono infatti gli interessi comuni di potenti operatori economici, e di una politica sensibile ai loro argomenti. Uno scenario i cui dettagli emergono aggiornati nel terzo rapporto «Complicity in destruction», pubblicato dall’Associazione dei popoli indigeni del Brasile (APIB) in collaborazione con la Ong americana Amazon Watch.
La ricerca, basata sul credo investigativo “follow the money” (cioè “segui il denaro”), racconta la distruzione dell’ecosistema come diretta conseguenza della sete di profitto. Un meccanismo basato sull’interazione tra sei giganti della finanza internazionale e un pugno di compagnie di vari settori attive sul campo. Un sistema collegato all’accaparramento di terreni (il land grabbing) e ai conflitti sulle terre indigene, alla deforestazione illegale e alla pratica degli incendi, all’indebolimento delle protezioni ambientali e all’esportazione di materie prime critiche.
6 big della finanza dietro la distruzione delle foreste amazzoniche
Tra i finanziatori individuati e analizzati dalla ricerca figurano nomi di spicco nel gotha delle società di gestione del risparmio e banche d’investimento. Si parla di BlackRock, Citigroup, JPMorgan Chase, Vanguard, Bank of America e Dimensional Fund Advisors, tutti con base negli USA. Insieme «hanno finanziato per oltre 18 miliardi di dollari nove delle undici società esaminate nel rapporto», tra il 2017 e il 2020. E ognuno di loro investe in oltre la metà delle imprese citate nella relazione. Da anni. Nonostante molti di essi abbiano fatto promesse e impegni pubblici in nome dell’ambiente, dei diritti sociali e, in alcuni casi, dei diritti degli indigeni.
Ma i responsabili sono molti di più
Le sei istituzioni finanziarie sono state selezionate anche per la “carta d’identità” statunitense che ha facilitato lo scandaglio nei conti. Ma non sono le uniche citate. Basti pensare all’ammontare di investimenti che riguarda alcuni loro concorrenti. Dagli 8,51 miliardi di dollari di BNDES ai 6,37 di Bradesco a Itaú Unibanco con 4,54 miliardi, Santander con 3,65 e BNP Paribas con 2,23 miliardi. Nella lista finale figurano decine di banche e fondi di investimento con sede in Francia, Giappone, Inghilterra, Spagna, Cina, Canada, Paesi Bassi, Norvegia, Spagna, Svizzera, Germania, Australia e molti altri Paesi, oltre al Brasile, naturalmente. Assente l’Italia, invece.
deforestazione Amazzonia, Bank of America e le imprese finanziate © Complicity in destruction 3, Amazon Watch, 2021 deforestazione Amazzonia, Citigroup e le imprese finanziate © Complicity in destruction 3, Amazon Watch, 2021 deforestazione Amazzonia, Dimensional Fund Advisors e le imprese finanziate © Complicity in destruction 3, Amazon Watch, 2021
Su tutti primeggia (in negativo) Blackrock
Menzione d’onore, tuttavia, merita BlackRock (di cui Valori.it ha scritto più volte). La più grande società di gestione patrimoniale del mondo, infatti, è anche l’ente che investe di più – e con ampio margine – tra i sei istituti analizzati: 8,2 miliardi di dollari. «BlackRock – si legge – ha investito in ogni singola azienda per la quale questo rapporto è stato in grado di trovare dati finanziari: Anglo American, Belo Sun, Cargill, Cosan, Eletrobras, Energisa, Equatorial, Vale e JBS».
Tra le imprese “colpevoli” compagnie minerarie, agroalimentare, energia
I grandi flussi finanziari servono alle imprese che operano sul campo per realizzare i loro progetti imprenditoriali. Impianti estrattivi e grandi opere infrastrutturali. Distese di ettari coltivate, per esempio, a soia Ogm o destinate all’allevamento intensivo. Stabilimenti di macellazione, trasformazione e confezionamento. Dighe, condotte e linee elettrificate. E infatti «Complicity in destruction 3» punta il dito in particolare su quattro compagnie minerarie (Vale, Anglo American, Belo Sun, Potássio Do Brasil), tre del comparto agroalimentare (Cargill, Jbs, Cosan/Raizen) e quattro del settore energetico (Eletrobras Eletronorte, Equatorial Maranhão, Energisa Mato Grosso, Bom Futuro Energia).
Distruzione e omicidi
Senza entrare nel dettaglio dell’azione di ciascuna impresa (che si può leggere nel rapporto) una nota di APIB ne rappresenta alcuni impatti concreti. «Le invasioni dannose delle terre indigene da parte di abusivi, minatori e taglialegna lasciano una scia di distruzione ambientale e di omicidi a sfondo razziale dei popoli nativi sul territorio. La guerra alle nostre vite ci ha portato a preparare questo importante rapporto con Amazon Watch per il secondo anno consecutivo».
Nel Brasile di Bolsonaro l’economia vince sulla pandemia
Va, infine, detto che la denuncia del rapporto di Amazon Watch oggi più che mai non va derubricata come il “periodico allarme” ambientalista proveniente dalle Ong che difendono i diritti delle popolazioni aborigene. Assistiamo infatti al perpetuarsi di uno sfruttamento promosso dalla contestatissima presidenza di Jair Bolsonaro, legata a filo doppio coi potentati economici locali, e particolarmente con l’agroindustria.
Dietro le quinte
Coronavirus: i contagi facili lungo la filiera della carne
Dagli Usa all’Italia: lungo la filiera della carne sono migliaia i casi positivi al covid19. E il virus rischia di passare da animale a uomo
La politica non si nega, perciò, alle istanze di un settore agroalimentare che, compresa la lavorazione della carne, impiega circa 800 mila persone, e non si è mai fermato in pandemia. E così la diffusione del coronavirus ha riguardato migliaia di questi lavoratori, tra le cui prime linee ci sono proprio gli indigeni che, a fine turno, portano la malattia nei villaggi. Una sottolineatura dell’indagine che attribuisce una sorta di funzione di vettore del Covid19 alla filiera della carne ma anche alle attività connesse a importanti miniere e a progetti dell’industria energetica.
La deforestazione cresce anche nel 2020
Ciò si traduce in un incremento dell’interesse per le aree di foresta. Così, secondo gli ultimi dati MapBiomas, ripresi da Amazon Watch, il 10% della vegetazione nativa del Brasile è stato disboscato negli ultimi 35 anni. Dal 1985 al 2019, per un totale di 87,2 milioni di ettari, la vegetazione autoctona è stata distrutta. E più della metà di questa perdita si è verificata in Amazzonia. Nel 2019, secondo INPE (cioè l’Istituto nazionale di ricerche spaziali), è stato cancellato 1 milione di ettari di vegetazione nell’Amazzonia brasiliana, ovvero il 34,4% in più
rispetto al 2018, stabilendo così un record per il decennio.
E, soprattutto, il trend di crescita si conferma anche nelle rilevazioni più recenti del sistema PRODES 2019/2020. I satelliti hanno registrato tra 1,2 e 1,5 milioni di ettari di area deforestata, con un aumento che sale fino al 50% sull’anno precedente. Quanto alle responsabilità di questi fenomeni, l’80% della deforestazione sarebbe da attribuire allo sviluppo dell’agricoltura.