Amnesty contro Qatar 2022, i Mondiali della vergogna
Amnesty e HRW chiedono un fondo di solidarietà per ripagare i lavoratori migranti morti o infortunati durante la preparazione del Mondiale
Ci provano anche Amnesty International e Human Rights Watch. Se non a fermare i Mondiali della vergogna, mission impossible, almeno a inchiodare la Fifa e gli sponsor alle loro tragiche responsabilità. Ma ogni richiesta è persa nel vento che da una delle autocrazie più ricche e autoritarie del Pianeta arriva a posare la sua sabbia sui forzieri delle banche svizzere in cui la Fifa custodisce gelosamente il suo patrimonio finanziario, qualche miliardo di dollari di ricavi, di cui almeno uno dovrebbe entrare quest’anno solo per i Mondiali di Qatar 2022.
Le due organizzazioni per la difesa dei diritti umani hanno proposto un sondaggio da cui è emerso che tre quarti degli intervistati sono favorevoli alla loro proposta: che la Fifa e gli sponsor della manifestazione istituiscano un fondo di solidarietà per ripagare le decine di migliaia di lavoratori migranti morti o infortunati sul lavoro durante la preparazione del Mondiale. Secondo l’ultima inchiesta del Guardian del 2021, sarebbero almeno 6.500 i lavoratori provenienti da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka morti per permettere il calcio d’inizio dei Mondiali.
Questa cifra non tiene conto degli infortuni sul lavoro, delle malattie, delle pessime condizioni igienico-sanitarie in cui versano questi lavoratori. Se è vero che, solo la settimana scorsa, lo stesso Guardian è andato a visitare l’hotel che ospiterà la squadra inglese, e ha trovato una situazione «di squallore», con «condizioni di lavoro prossime alla schiavitù». Per fortuna l’Italia non si è qualificata, così almeno ci risparmiamo le gallerie dei migliori alberghi e dei più bei ristoranti con cui ci avrebbe ammorbato la nostra stampa sportiva, ignorando consapevolmente tutto il resto.
Nonostante le promesse della teocrazia del Qatar – Paese di cui Gianni Infantino, presidente della Fifa, è talmente innamorato da esserne diventato cittadino – non è mai stato abolito il sistema della kafala che permette ai datori di lavoro di requisire i documenti dei lavoratori migranti. E di esercitare su di loro un’autorità di stampo medievale prossima al diritto di vita e morte. E le poche e strombazzate riforme, rilanciate da tutti i media occidentali, come le tutele mediche per i lavoratori, riguardano solo quelli che lavorano negli stadi. Chi si occupa di infrastrutture, strade, e tutto quello che si trova appena un poco lontano dal prato verde illuminato dalle telecamere, può continuare ad ammalarsi o a crepare in silenzio.
Ma di tutto questo, alla Fifa e ai suoi sponsor – tra gli altri Budweiser, Adidas, Coca-Cola, McDonalds, Visa, Hyundai-Kia e Wanda Group, nomi di cui bisognerebbe ricordarsi ogni volta che si va fare la spesa – non frega assolutamente nulla. Anzi, a domanda precisa sui risarcimenti, Infantino ha fatto un discorso atroce sulla dignità del lavoro. Parole degne di altri terribili e oscuri tempi. E ci sta. Perché in fondo questi non sono nemmeno i primi Mondiali della vergogna, non avendo la Fifa voltato le spalle a tutte le dittature che attraverso i Mondiali ha di fatto sempre sostenuto, dal fascismo italiano alle giunte militari brasiliane e argentine. Per tacer della Russia e oggi del Qatar.