«Senza una visione di medio periodo, la finanza continuerà a ripetere gli stessi errori»
Intervista con Anna Fasano, presidente di Banca Etica: sarà tra i protagonisti di FestiValori intervenendo sabato 20 ottobre a un incontro sulle donne nella finanza
Sembra ormai quasi scontato dire che stiamo vivendo un momento di crisi. Dopo la crisi pandemica e sanitaria sono scoppiate, insieme, la crisi geopolitica e quella dei prezzi, che ha reso ancora più profonde le disuguaglianze (e le tensioni) sociali. E le terribili notizie in arrivo dal Medio Oriente aprono prospettive ancora più preoccupanti. Se è vero che il nostro modello di sviluppo fin qui ha mostrato tutti i suoi punti deboli, quali sono le proposte concrete della finanza etica? Ne abbiamo parlato con Anna Fasano, presidente di Banca Etica.
Siamo in un momento di forte tensione per i vari conflitti in corso nel mondo. Come si pone la finanza etica rispetto allo scenario e in che modo può promuovere la pace? Come si differenzia dalla finanza mainstream sotto questo profilo?
Premesso che dietro ogni guerra, al suo innesco e alla sua propagazione, ci sono sempre grandi interessi e soggetti economici e bancari orientati al profitto ad ogni costo, da un lato il lavoro che da sempre facciamo come Gruppo Banca Etica è quello di non finanziare né investire nelle realtà che fanno parte della filiera degli armamenti, dall’altro – ed è l’altro tema importante da presidiare –alimentiamo i luoghi che costruiscono giustizia economica. Oppressione e conflitto, infatti, nascono anche dalla gestione del potere economico sottostante.
Credo poi che la nostra scelta determinante sia l’agire trasformativo, cioè il continuo e tenace sostegno verso un dialogo per avviare percorsi di trasformazione virtuosa anche con quei soggetti bancari, finanziari ed economici che, talvolta senza averlo scelto direttamente, si sono trovati in portafoglio aziende che operano in settori controversi. Questa è la sfida: provare a disarmare l’economia. Il che significa non investire nelle aziende che producono armi, ma anche in tutta la filiera che ne consegue, cioè in tutti quei soggetti che si occupano di logistica, realizzano i singoli componenti di un sistema d’arma e così via. La recente legge sulle munizioni a grappolo va in questa direzione perché vieta di finanziare l’intera filiera.
Come divulgare i principi e le buone prassi della finanza etica, come farla arrivare nei territori?
Questa è la sfida dell’agire trasformativo. La finanza etica è una finanza di tutte e di tutti, ma la valenza popolare è probabilmente l’elemento più difficile da comunicare. Da parte di persone e organizzazioni c’è ancora una certa fatica a occuparsi di finanza come leva attraverso cui generare e condurre il cambiamento. Ma è proprio così che si può intervenire. In passato abbiamo consegnato il ruolo politico alla finanza: se non ce lo riprendiamo, ci troveremo a subire ciò che accade.
Come arrivarci? Innanzitutto con l’educazione finanziaria, la cui presenza oggi si è rafforzata anche per volere della Banca d’Italia e con l’ingresso – finalmente – nei programmi scolastici. Serve però un’educazione critica alla finanza: è importante sapere leggere un conto corrente, ma è ancora più importante capire il ruolo che la finanza riveste nella nostra vita. Bisogna guardare ai giovani, ovvero gli unici che possono cambiare il modello. Le università hanno dunque una responsabilità rilevante ma, ad oggi, faticano a consegnare ai ragazzi proprio la responsabilità di creare nuove teorie finanziarie. Eppure, ci sono economisti – tra cui alcuni premi Nobel – che hanno proposto dei modelli alternativi.
L’altra modalità efficace passa attraverso l’azione diretta, la presenza nei luoghi di cambiamento: comunità energetiche solidali, workers buyout, spazi di innovazione sociale. Così facendo, oltre a diffondere un messaggio, si dimostra che le modalità diverse di fare finanza esistono. E che funzionano.
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Banca Etica è una realtà cooperativa, quindi associativa e plurale. Come si manifesta questa dimensione dialogica e partecipativa? Quali opportunità e difficoltà, eventualmente, si incontrano nel tenere insieme e far convergere le diverse anime che contribuiscono al progetto?
Per Banca Etica la partecipazione è sicuramente una delle leve e delle modalità di relazione, ma il vero elemento distintivo e trasformativo è la mutualità. Per citare quello che per noi è più che uno slogan, l’interesse più alto è quello di tutti. Si ritrovano quindi nella cooperativa le risposte alle proprie esigenze, ma le proprie esigenze stanno al contempo in un contesto più alto perché devono essere parte della creazione del benessere di comunità. Questa è l’anima identitaria che appartiene all’organizzazione e alle scelte delle persone, e che viene tradotta in strumenti per arrivare alla pienezza del progetto.
Tutto questo è facile? Certo che no. Ogni organizzazione è fatta di persone: condividere le responsabilità con ogni persona, e con le rappresentanze di persone, è la complessità insita nella cooperazione stessa. Perché le persone mutano, i contesti mutano. La capacità di stare nel presente e nella visione del futuro è un luogo vivace e dinamico, fatto di articolazioni in divenire che si affrontano con la dialogica e la crescita di responsabilità di ogni attore coinvolto.
Noi parliamo di governance cooperativa come governance diffusa. Io presiedo dunque un consiglio di amministrazione, ne ho la piena responsabilità, ma condivido questa responsabilità con gli altri portatori di valore che ne fanno parte. Non sempre è facile, ma è la nostra linfa. E in periodi così problematici e volatili, per non diventare schiavi della tecnocrazia, dobbiamo mantenere la propensione al miglioramento, e una funzione sia manageriale che imprenditoriale.
E – in sintesi – servono dialogo, confronto, processi trasparenti e capacità di ingaggiare gli attori in campo.
Banca Etica ha cercato di attivare nel tempo, anche recentemente, diverse interlocuzioni con la politica e le istituzioni, per esempio in occasione delle elezioni politiche italiane nel 2022 o durante il dibattito per giungere a definire la Tassonomia green europea. A che punto sono oggi l’attenzione e la preparazione della politica e delle istituzioni, in Italia e in Europa, verso la finanza etica?
Noi continuiamo questo dialogo e lo apriremo anche in vista delle elezioni europee, facendo alcune proposte ai candidati insieme alle altre banche etiche presenti in Europa. Il dialogo avvenuto sul tema della tassonomia verde ci fa capire che è importante creare legami a livello europeo, perché è a livello europeo che si prendono decisioni su temi finanziari. In parallelo, dialoghiamo anche con le istituzioni italiane.
In questo momento così particolare, che raduna più crisi, il rischio è quello di cercare soluzioni immediate e non agire in prospettiva. La finanza privata ha il potere di spostare gli asset in modo molto rapido e con grandi volumi, più di qualsiasi Piano nazionale di ripresa e resilienza. Queste scelte, però, vanno fatte con una visione di medio periodo, mentre vedo – anche nelle istituzioni – una certa fatica ad avere una visione che sia almeno a cinque anni. Se non lo faremo, però, continueremo a passare di crisi in crisi, ripercorrendo gli stessi errori a cui abbiamo assistito dal 2008 in poi. Rattrista il fatto che si sia imparato così poco dall’esperienza, e che qualcuno voglia affidare ancora il futuro del sistema bancario a grandi istituti senza visione, che puntano solo alla remunerazione immediata degli azionisti.
Lei sarà presente alla prossima edizione di FestiValori per parlare del ruolo delle donne nella finanza. Perché in quest’ambito si fa così fatica a raggiungere un’autentica parità di genere? E perché vale la pena lavorare per progredire in questa direzione?
La finanza – intesa come potere – è un tabù per il genere femminile, ma il ruolo della finanza “al femminile” è pure quello di provare ad avere un approccio diverso, una visione integrata con cui la finanza etica si sposa perfettamente. Dialogando con imprenditrici e bancarie, vedo però una certa fatica ad avere consapevolezza di questo ruolo da svolgere verso un nuovo modo di fare finanza.
Pesa, del resto, che le donne in Italia abbiano punteggi più bassi della media in termini di educazione finanziaria, nonostante la maggioranza dei laureati in economia sia donna. Ma per trasformare il modello culturale servono figure femminili nei luoghi apicali, e non in misura residuale come ora, con le poche donne presenti nei luoghi della finanza che spesso finiscono per assorbire modelli maschili. Il tema è l’approccio femminile e l’approccio femminista, cioè la capacità di leggere in modo diverso il ruolo della finanza oggi.
E a chi, donne incluse, sostiene che la finanza non sia necessaria per la vita quotidiana, dobbiamo ricordare che la violenza economica sulle donne esiste, che ci sono donne che si appoggiano al conto corrente prima del padre e poi del marito. La violenza economica non è tecnicamente un reato – pertanto è difficile da individuare – ma priva le persone dell’autonomia. Serve che le giovani vogliano occuparsi di finanza e servono anche politiche di pari opportunità, quindi, per donne libere, di seguire la propria indole ed esercitare ruoli adatti alle proprie competenze.