Argentina, e alla fine arrivò il nuovo default. A rischio 90 miliardi di titoli
Dopo il crollo del Peso, Buenos Aires chiede il prolungamento del debito all’FMI. Nel precedente crack del 2001, 450mila italiani persero 14 miliardi
Una spada di Damocle da oltre 90 miliardi di euro (101 miliardi di dollari) pesa sull’Argentina: il nono default del debito del Paese dalla sua indipendenza. Nelle ore scorse il governo di Buenos Aires, messo spalle al muro dalle difficoltà economiche e finanziarie, ha dovuto accettare di seguire i consigli del Fondo monetario internazionale, il principale creditore estero, e chiedere una ristrutturazione del debito.
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Un default selettivo
La richiesta di ristrutturazione costituisce di fatto un default selettivo, cioè l’ammissione di ripagare appieno il capitale o gli interessi in mano ai detentori di alcuni titoli del debito pubblico ma con il rinvio delle scadenze, ed è la seconda nel giro di meno di un anno, dopo che a settembre 2018 Buenos Aires dovette chiedere aiuti all’FMI per circa 55 miliardi di dollari, dei quali deve ricevere ancora l’ultima tranche.
La rinegoziazione dovrebbe riguardare, secondo le richieste ai creditori del governo di Buenos Aires, l’allungamento della scadenza dei titoli, dei quali invece dovrebbero essere salvaguardati tanto il capitale quanto gli interessi.
In Italia sono listati 33 titoli del debito pubblico argentino, emessi sia in euro che in dollari, dei quali 22 quotati, per un valore complessivo all’emissione di circa 75,5 miliardi di euro al cambio attuale.
Il crollo del peso e i timori di instabilità politica
Le difficoltà sono esplose con la caduta del cambio della moneta argentina, il peso, che nel giro di poche settimane ha perso oltre il 40% del suo valore nei confronti delle principali valute internazionali: contro il dollaro il peso è passato da un cambio di 40 a uno a 65 a uno, per poi stabilizzarsi intorno a quota 55.
Alla caduta del peso argentino ha fatto scia quella della Borsa, che nelle ultime settimane ha registrato una pesante sequenza di ribassi. Il rischio sempre più concreto è la fuga dei capitali dal Paese.
I timori si fanno concreti per le incertezze politiche che riguardano l’esito delle elezioni presidenziali del prossimo 27 ottobre, dopo la clamorosa débacle del presidente in carica, il liberalista Mauricio Macrì, alle primarie dell’11 agosto scorso: appena il 33% dei voti contro il 47% dello sfidante Alberto Fernandez, alleato con la ex inquilina della Casa Rosada Cristina Fernandez de Kirchner. Un simile risultato, se dovesse confermarsi il 27 ottobre alle presidenziali, vorrebbe dire sconfitta al primo turno.
La crisi si abbatte anche su Macrì, il presidente dei mercati: sconfitto alle primarieIl precedente del 2001 e i 450mila italiani coinvolti
Nel 2001, il default dell’Argentina costò un centinaio di miliardi di dollari, circa 90 miliardi di euro: 14 miliardi di questi erano detenuti da 450mila risparmiatori italiani (insieme a molti di altri Paesi) che avevano acquistato obbligazioni di vari emittenti argentini finiti in cross default (il “default incrociato” che scatta quando il default del debito sovrano trascina con sé il default degli emittenti pubblici e di quelli privati), tra i quali quelle di Repubblica Argentina, ma anche della Città e Provincia di Buenos Aires, di Banco Hipotecario, Telecom Argentina, Metrogas.
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All’epoca la domanda dei titoli argentini era stata spinta dalla ricerca di elevati rendimenti. Nel 2014, il 92% dei 450mila investitori italiani coinvolti aderì alle due Offerte pubbliche di scambio volontarie avanzate dall’Argentina nel 2005 e 2010, ricevendo nuovi titoli per un valore pari al 30% di quello investito nei vecchi bond.
Molti di costoro ora tornano a tremare. Non è così per i circa 120mila risparmiatori italiani che hanno scelto Tfa, la Task force Argentina costituita dall’Abi, l’Associazione bancaria italiana le cui banche aderenti avevano piazzato molti titoli argentini nei portafogli dei clienti. Nel 2016 questi investitori hanno ottenuto il rimborso del 150% del valore nominale dei Tango bond nei quali avevano investito i loro risparmi, pari a circa 3 miliardi di euro recuperati.