«Pochi controlli e leggi inadeguate. Così si diffondono armi anche in Italia»
Intervista a Luca Di Bartolomei, da anni impegnato in una battaglia per il controllo della diffusione delle armi da fuoco
Gli Stati Uniti, patria del commercio di armi da fuoco sostanzialmente quasi privo di limitazioni, hanno vissuto una carneficina dall’inizio dell’anno. Basti pensare che nei soli primi otto mesi del 2022 sono quasi 500 le persone uccise volontariamente. E se si tiene conto anche delle morti accidentali per colpi d’arma da fuoco, il totale – secondo l’associazione Gun Violence Archive – raggiunge quota 14mila. Cifre folli, che stanno suscitando un intenso dibattito perfino in America.
A giugno, il presidente Joe Biden ha firmato una legge per tentare di frenare la diffusione di pistole, fucili e munizioni sul territorio statunitense. Mentre all’inizio di settembre l’Organizzazione internazionale per la normazione (meglio nota con la sigla ISO) ha chiesto a Visa, Mastercard e American Express di utilizzare uno specifico codice di tracciamento. Proprio al fine di individuare le transazioni che riguardano armi da fuoco.
In Italia, Luca Di Bartolomei da anni si batte per limitare la diffusione di armi nella popolazione civile. Suo papà Agostino, campione e capitano della Roma campione d’Italia nel 1983, si suicidò il 30 maggio del 1994 nei pressi di Castellabate, in provincia di Salerno. Un colpo di Smith & Wesson al petto che cambiò per sempre la vita di Luca, e fece nascere il suo impegno.
Il 24 maggio scorso un adolescente armato fino ai denti è entrato in una scuola di Uvalde, in Texas, uccidendo 19 bambini e due adulti. Cosa hai pensato?
Che in tutto il mondo occidentale da anni esiste una tendenza ad una polarizzazione violenta del capitalismo. Ma più che da Uvalde partirei dalla sentenza della Corte Suprema che ha abolito il diritto all’aborto. Ciò che emerge è una società americana divisa tra chi si professa, spesso fintamente, pro-vita o pro-sicurezza e chi lotta per una società vagamente più giusta. Vale lo stesso per chi cerca il business ad ogni costo.
Spiegaci meglio che legame vedi tra la questione dell’aborto e quella delle armi da fuoco.
Ciò che si dicono i “pro-Life” è lo stesso che affermano coloro che difendono la commercializzazione libera delle armi: ci si arma per difendere la vita. Ma la verità è che chi che avviene oggi nel primo mondo è una guerra tra poveri. Gestita in modo abile da chi controlla le leve mediatiche e finanziarie.
Ad aprile la polizia ha pubblicato i dati aggiornati sul numero di licenze di porto d’armi in corso di validità per tutte le categorie previste dalla legge: caccia, sport, difesa personale e guardie giurate. Negli ultimi anni il numero è cresciuto del 4,2% e nel 2021 erano 1.222.537, con un aumento di quasi 50mila licenze rispetto al 2013. Di chi è la colpa?
Non possiamo scindere politica e società. Una pessima politica è figlia di una società che è molto difficile da valutare in tutte le sue sfaccettature e molto facile da rappresentare in maniera binaria. Ciò produce un aumento delle paure, delle angosce. Che si riflettono nel modo più superficiale in politica. Se poi ci si basa su sondaggi fatti nelle immediate vicinanze di fatti di sangue, non facciamo altro che far dire all’opinione pubblica ciò che ci conviene. Ricordo i sondaggi nei giorni successivi all’omicidio di Giovanna Reggiani a Roma. O la campagna che fu fatta dopo quello di Pamela Mastropietro. L’Occidente vive di spinte emotive. E i social alimentano tutto.
Da alcuni decenni viviamo nella paura: del lavoro che non c’è, della precarietà. E una delle risposte “facili” è stata: prenditi un’arma, difenditi. Che arrivano il musulmano, l’immigrato… Il tutto sostenuto da un mainstream comunicativo e politico molto modesto.
Come dovrebbe cambiare la normativa italiana che disciplina il possesso legale di armi?
La legge presenta diverse falle. Ma vanno fatte delle premesse. Noi per fortuna non abbiamo problemi come quelli degli Stati Uniti, anche perché siamo il Paese che le ha inventate le armi da fuoco. Fin dalla fine del Trecento, otto secoli fa, abbiamo sviluppato un certo grado di conoscenza e conoscenza della questione. Fin qui il tema culturale, poi c’è quello personale, legato anche al fatto che il nostro è stato fino a 50 anni fa un Paese di cacciatori. Così, in Italia ancora oggi c’è un’arma da fuoco ogni sei appartamenti. Ma il problema non è la passione per la caccia o per il tiro sportivo: il problema è il resto.
Leonardo e Rheinmetall
«Non possiamo fornire informazioni». Il muro di gomma dell’industria delle armi
Alle assemblee annuali, i colossi delle armi Leonardo e Rheinmetall hanno risposto in modo evasivo alle domande degli azionisti critici
Ovvero?
La prima falla nella normativa italiana è legata al rilascio delle licenze per tiro sportivo: esse rappresentano il portone attraverso il quale arriva la maggior parte dei porti d’arma. In pochi anni sono aumentate di 400mila unità: quindi una città grande come Bologna si è armata. E per farlo, altro problema della legge, ha dovuto soddisfare modestissimi requisiti. Senza magari essere mai stata neppure controllata dal punto di vista psicologico. Dobbiamo essere vigili, perché anche qui abbiamo rischiato massacri in stile-Usa. Nel 2018 a Latina un ragazzo indossò una tuta mimetica, riempì uno zaino di molotov e fu solo grazie ad un dipendente di una scuola se si evitò una carneficina. Se andiamo avanti così il tema non è “se”, ma “quando” avverrà anche da noi.
C’è chi facilmente replicherebbe che quel ragazzo aveva delle molotov. E che per uccidere può bastare un coltello o una macchina.
La risposta altrettanto semplice è che un coltello serve per tagliare e una macchina per spostarsi. Un’arma da fuoco serve solo per attaccare.
Sul tema delle armi leggere c’è poca attenzione da parte della politica, anche in campagna elettorale.
Semplicemente non è un tema. Anche governi che si dichiaravano di centrosinistra cercarono di disciplinare la legittima difesa ma fecero pasticci. Eppure c’è una legge che da oltre undici anni aspetta di essere attuata e che consentirebbe l’incrocio dei dati tra i database del ministero della Salute e della Difesa. Questo banalissimo passo avanti consentirebbe di verificare le persone che seguono cure per problemi di depressione, o assume psicofarmaci, ed evitare che, per lo meno finché malati, posseggano armi.
Al di là della normativa, c’è anche un problema di mancanza di controlli?
Quando scrissi “Dritto al cuore” (Baldini+Castoldi, 2019, ndr) lo feci nel corso di un’estate nel corso della quale passai molto tempo con uno zio che un tempo fu un cacciatore. Una persona anziana, che aveva perso la vista a causa del diabete. Per questo gli avevano ritirato la patente, ma non il porto d’armi per i fucili. Ne ridevamo. Poi riconsegnammo spontaneamente le armi. Ma credo che la vicenda renda bene l’idea della situazione.
La 7 – Intervista a Luca Di BartolomeiTorniamo al sentimento di insicurezza: c’è chi ci ha vinto delle elezioni. Oggi la guerra è arrivata all’Ucraina e noi inondiamo un Paese di armi, senza sapere in alcun modo in mano a chi finiranno quando il conflitto sarà finito. Che effetto ti fa?
Penso che anche su questo abbiamo una grandissima esperienza. In Libia, in Afghanistan, e prima ancora con le fazioni in guerra nei Balcani. E andando ancora più indietro nel tempo in Vietnam. Abbiamo una certa esperienza nel fare scelte sciocche. So che è giusto sostenere chi lotta per difendersi. E benché io sia contro le armi, non sono un pacifista. Ma so anche che quelle armi finiranno probabilmente come merce di scambio tra bande e mafie, produrranno attentati di varia natura, forse non solo in Ucraina. Non c’è nulla che riesca a sparire tanto facilmente quanto le armi: chi gestisce i traffici è molto più efficiente di Amazon. Bin Laden sappiamo come nasce…
Da anni Fondazione finanza etica fa azionariato critico nei confronti di Leonardo e RWM Italia, che continuano a produrre armi e ad esportarle. Senza alcuna riprovazione sociale, come se fabbricassero un qualsiasi altro prodotto. Qual è la tua opinione in merito?
Tutti i nostri bambini hanno pistole giocattolo: la risposta è anche qui. L’intelligenza collettiva oggi non è abbastanza evoluta da generare riprovazione sociale per chi fabbrica armi. Io temo che non siamo ancora pronti. Questo, però, non significa che non si debba tentare di varcare la frontiera, come fa il gruppo Banca Etica.