Armi, petrolio, finanza e Hamas. Cronaca di un mondo alla rovescia

Tensione alle stelle tra Palestina e Israele: salgono i titoli energetici e dell'industria delle armi. Rischi per i Paesi più indebitati

Soldati israeliani a Gerusalemme © Jacek_Sopotnicki/iStockPhoto

Cosa significa la nuova esplosione dell’infinito conflitto tra Israele e Hamas in termini economici? Numerosi segnali di possibili ricadute sono già emersi: i prezzi dell’energia stanno rapidamente salendo e la guerra in corso spingerà di nuovo l’inflazione per effetto delle scommesse sul prezzo del gas e del petrolio. Che convinceranno la Bce a mantenere alti i tassi con conseguenze devastanti in termini sociali.

Le pressioni sui prodotti energetici

Un costo del denaro che salisse dall’attuale 4,5% ad oltre il 5% comporterebbe di fatto una paralisi pressoché totale dei nuovi finanziamenti e l’ulteriore crescita di quelli in essere a tasso variabile. Naturalmente anche in questo caso, come per la guerra russo-ucraina, stiamo parlando di aumenti dettati dalla speculazione. Perché è difficile immaginare effetti reali in termini di offerta di gas e petrolio da parte di Iran, Arabia Saudita, Emirati e altri produttori.

Le dinamiche Opec plus, a cui partecipa anche la Russia, sono già state definite e difficilmente cambieranno per effetto del nuovo conflitto. Soprattutto è molto improbabile una riduzione delle forniture di gas. Non hanno interesse a muoversi in tal senso i produttori “tradizionali” di energia. Che sono preoccupati da possibili nuove fiammate così violente da paralizzare la domanda ed indurre una devastante recessione capace di far crollare i consumi e quindi le loro vendite. Ma, come detto, è assai probabile invece che i prezzi saliranno trascinati dalle scommesse destinate a tradurre in realtà aspettative per molti versi infondate, messe in moto, nei listini “privati” del gas ad Amsterdam e del petrolio a Londra, dai grandi fondi finanziari.

Difficilmente, pertanto, l’inflazione potrà scendere nei prossimi mesi e l’esigenza di aiuti pubblici per contenere gli effetti del carovita diventerà assai stringente. Con effetti non banali sulle già magre risorse disponibili per la legge di Bilancio.

Esultano i produttori di armi, come sempre in caso di conflitti

Sul piano finanziario l’offensiva di Hamas sta generando anche un altro effetto. I titoli delle società che producono armi, a cominciare da Lockheed Martin per finire con Leonardo, hanno registrato sensibili aumenti nel prezzo dei loro titoli. Gli speculatori alimentano i venti di guerra e scommettono sul riarmo. Trasformando le aspettative del prossimo futuro in immediata plusvalenza finanziaria.

È interessante a riguardo mettere in luce chi sono gli azionisti più rilevanti delle società che producono armi. In Lockheed Martin, quattro grandi fondi, Vanguard, Black Rock, State Street e Geode Capital Management possiedono circa il 35% del capitale, mentre arrivano quasi al 40 in Northrop Grumman Corporation e al 30% in Raytheon. In Boeing “si fermano” al 20% e in Halliburton superano il 32%.

Le economie più deboli rischiano di doversi indebitare a costi più alti

Lo scontro tra Hamas e Israele avrà poi altre conseguenze dure per le economie più indebitate, a cominciare da quella italiana. Tale scontro determina, infatti, una fuga dei capitali verso i beni rifugio, oggi rappresentati da dollaro e titoli di Stato americani che così troveranno collocamento anche con interessi più bassi. Questo ribasso non favorirà però i titoli dei Paesi più indebitati perché dovranno comunque pagare interessi più alti. Ciò per evitare proprio la già ricordata fuga verso i titoli più sicuri, indotta dal clima bellico. In altre parole, pur di invogliare gli investitori a scegliere i Bot, un Paese come l’Italia dovrà offrire rendimenti più alti. Indebitandosi perciò a costi maggiori, che graveranno su Stato e collettività.

Non è un caso che, dopo l’inizio delle operazioni di guerra, i rendimenti dei titoli tedeschi abbiano rallentato. Mentre crescono quelli dei titoli italiani con costi ancora più pesanti, destinati a far rivedere, anche da questo punto di vista, i conti della legge di Bilancio.

In estrema sintesi, quindi, una guerra in Medio Oriente, unita a quella in Ucraina, spinge gli scommettitori a puntare sul rialzo dei prezzi, devastando i consumi. E gli investitori istituzionali a comprare titoli ritenuti sicuri, come quelli in dollari. In questa morsa finiscono per essere stritolati quei Paesi, come l’Italia, che sono importatori di energia e che hanno un enorme debito da finanziare. Per essere ancora più chiari, in regime di finanziarizzazione ogni conflitto determina fiammate inflazionistiche generate dalle aspettative. E maggiori costi per le economie più deboli, con evidenti vantaggi per quelle più forti.