Ascesa e crollo delle Bitcoin Treasury

Bitcoin nei bilanci aziendali, leva finanziaria e finanza tradizionale: l’ascesa delle Bitcoin Treasury e le ragioni del loro crollo

L'immagine è stata realizzata dalla redazione di Valori.it utilizzando Midjourney

Nel panorama finanziario globale del 2025 si sta consumando una battaglia silenziosa, ma decisiva tra la finanza tradizionale e il mondo delle criptovalute. Al centro di questo scontro si trovano le cosiddette Bitcoin Treasury, società quotate che hanno trasformato i propri bilanci in depositi di criptovalute, sfidando il monopolio delle istituzioni finanziarie tradizionali sull’allocazione del capitale aziendale. Questo conflitto è emerso con forza nell’autunno 2025, quando un crollo del mercato delle criptovalute ha sollevato interrogativi sulla sostenibilità di questo modello di business.

La guerra (neanche troppo) sotterranea dei capitali

Le società quotate hanno iniziato ad accumulare bitcoin come riserva di valore aziendale a partire dal 2020, quando Michael Saylor, fondatore di MicroStrategy (ora Strategy), ha iniziato a convertire la liquidità aziendale in Bitcoin. L’idea era quella di sostituire la valuta fiat, soggetta a svalutazione inflazionistica, con un asset digitale a offerta limitata. Secondo il report di CoinGecko, da gennaio 2020 a ottobre 2025 il numero di Digital Asset Treasury Companies (Dat o DatCo) è esploso, passando da 4 a 142, con 76 società fondate solo nel 2025. A ottobre 2025, queste società detenevano complessivamente 137,3 miliardi di dollari in criptovalute.

Gli eventi dell’autunno 2025 hanno però rivelato le fragilità di questo ecosistema. Il 10 ottobre, un crollo improvviso, innescato dall’annuncio di dazi del 100% sulla Cina da parte del presidente Trump, ha di fatto “cancellato” 19 miliardi di dollari in posizioni con leva finanziaria. Ma secondo i media di settore, questo evento è conseguenza di dinamiche più complesse. Ad esempio si accusa JP Morgan di aver orchestrato il crollo utilizzando un documento di 42 giorni prima che avvertiva del rischio di esclusione di MicroStrategy dagli indici Msci Usa e Nasdaq 100, con potenziali deflussi stimati in 2,8 miliardi di dollari. Gli analisti di Bitcoin For Corporations sostengono che la banca aveva «sepolto l’annuncio usando il panico macro come cortina fumogena», il riferimento è quello della notizia dei dazi alla Cina.

Cosa sono le Crypto Treasury?

Le Crypto Treasury, o Digital Asset Treasury Companies, sono società quotate in borsa che detengono grandi quantità di criptovalute nel proprio bilancio aziendale, utilizzandole come riserva di tesoreria al posto della valuta fiat tradizionale. Non sono fondi comuni d’investimento né banche, ma vere e proprie società operative che hanno scelto di convertire la liquidità aziendale in asset digitali. 

La più nota, Strategy, detiene al momento in cui scriviamo circa 670 mila bitcoin (circa il 3% dell’offerta totale), rappresentando da sola circa il 50% di tutti gli asset crypto detenuti dalle Dat (dati CoinGeko).

Il concetto chiave per comprendere queste società è il Net Asset Value (Nav), ovvero il Valore Patrimoniale Netto. Il Nav si calcola sommando il valore di mercato delle criptovalute detenute più gli altri asset aziendali (come cassa e immobilizzazioni), sottraendo i debiti. 

Il rischio della leva finanziaria nelle bitcoin treasury

Il rischio leva è uno degli elementi più pericolosi delle Bitcoin Treasury. Molte società utilizzano i bitcoin in bilancio come garanzia collaterale per ottenere finanziamenti attraverso l’emissione di obbligazioni convertibili o prestiti garantiti, con cui acquistano altri bitcoin. Strategy ha costruito la propria posizione attraverso debito convertibile e emissioni azionarie. 

Questo meccanismo moltiplica i guadagni potenziali durante i rialzi del mercato, ma amplifica drammaticamente le perdite durante i ribassi, creando un rischio di liquidazione forzata se il valore del collaterale scende sotto determinate soglie. Tecnicamente parliamo del fenomeno discount/premium sul Nav, secondo il quale il prezzo di mercato delle azioni di una Crypto Treasury può essere inferiore (discount) o superiore (premium) al valore reale del bitcoin che detengono. 

Sul fronte crypto, poi, occorre considerare il Market Value Adjusted Net Asset Value, o mNAV, una metrica finanziaria usata per valutare le aziende che detengono grandi riserve di bitcoin. Rappresenta il rapporto tra la capitalizzazione di mercato dell’azienda e il valore delle sue partecipazioni in bitcoin, indicando se il mercato le valuta con un premio o uno sconto rispetto al valore degli asset crypto. Un valore superiore a 1 significa che l’azienda vale più dei bitcoin che possiede, mentre un valore inferiore a 1 indica che è “scontata” rispetto al suo valore in bitcoin. 

Treasury vs. Etf Crypto: le differenze

Gli Etf Crypto (Exchange-Traded Fund) sono fondi che replicano l’andamento del prezzo di una criptovaluta e le cui quote sono scambiate in borsa. Quando un investitore acquista quote dell’iShares Bitcoin Trust (Ibit) di BlackRock, ottiene un’esposizione diretta al prezzo del bitcoin attraverso uno strumento regolamentato. L’Etf detiene effettivamente bitcoin in custodia presso piattaforme come Coinbase, e il valore delle quote segue il prezzo dell’asset sottostante. Gli tfF hanno tendenzialmente una liquidità elevata, e sono progettati per minimizzare discount o premium rispetto al Nav.

Le Crypto Treasury rappresentano invece un investimento molto diverso pur avendo al centro comunque l’esposizione al prezzo del bitcoin. Comprare azioni di una Treasury significa acquistare quote di un’azienda operativa che detiene bitcoin, non il bitcoin stesso. L’investitore è esposto non solo alla volatilità del bitcoin, ma anche ai tipici rischi di chi investe in titoli azionari, quali le decisioni del management, la struttura del debito, i costi operativi, i rischi di governance, ed eventualmente il fallimento societario. In caso di bancarotta, tipicamente gli azionisti sono ultimi nella gerarchia dei creditori, dopo che gli asset Bitcoin sono stati liquidati per pagare i debiti.

Ma se gli Etf rappresentano un’esposizione “pura” al prezzo del bitcoin, mentre le Treasury offrono un’esposizione a leva, con potenziali rendimenti amplificati ma anche rischi moltiplicati, come si spiega il “successo” delle Dat negli ultimi anni? La risposta è piuttosto semplice, sebbene ci siamo addentrati un un tema complesso. Per investitori istituzionali vincolati da mandati che proibiscono l’acquisto diretto di crypto, le Treasury hanno rappresentato un escamotage per ottenere esposizione bitcoin attraverso titoli azionari tradizionali.

Il ruolo della finanza tradizionale nel crollo delle Treasury

L’ipotesi che dietro il crollo ci sia JP Morgan si concentra sulla tempistica sospetta di una investor note diffusa a novembre 2025, che riprendeva un documento Msci del 10 ottobre (42 giorni prima) riguardante il rischio di esclusione di Strategy dagli indici azionari globali. Questo documento è stato ignorato dal mercato per sei settimane, per poi venire “riesumato” da JP Morgan proprio durante giorni di debolezza già marcata di bitcoin e Strategy. Il 10 ottobre Msci ha annunciato un’estensione della consultazione esattamente 16 minuti prima dell’annuncio dei dazi di Trump, creando una sovrapposizione che molti analisti ritengono non casuale.

La presunta manovra si basava sullo sfruttamento delle debolezze strutturali delle Treasury, cioè la leva elevata e il discount sul Nav. Un report critico da una grande banca d’investimento può innescare panic selling, cioè vendite da panico, specialmente quando enfatizza rischi di delisting da indici importanti. L’esclusione di Strategy dall’indice Msci comporterebbe vendite forzate automatiche da parte di fondi passivi obbligati a replicare l’indice, con stime di deflussi tra 2,8 e 8,8 miliardi di dollari. 

La tesi centrale è che la finanza tradizionale, attraverso report critici selettivamente cronometrati e operazioni di vendita coordinate, può innescare il panico sfruttando proprio la fragilità strutturale delle Treasury. Un panic selling delle azioni Treasury crea un discount ancora più profondo sul NAV, erodendo la fiducia degli investitori e rendendo più costoso per le società raccogliere nuovo capitale per continuare l’accumulo di bitcoin. 

Il collegamento con il prezzo di bitcoin diventa critico quando le Treasury sono costrette a vendere per coprire i debiti o finanziare operazioni. Queste vendite forzate aggiungono pressione al ribasso sul prezzo di bitcoin, creando un ciclo negativo, il bitcoin scende, le azioni Treasury crollano sotto Nav, le Treasury devono vendere bitcoin, il bitcoin scende ulteriormente. 

In conclusione…

Il paradosso della leva ha definito sia l’ascesa che il crollo delle Bitcoin Treasury nel 2025. Le strategie aggressive di finanziamento con debito che avevano permesso un accumulo rapido di bitcoin e generato ritorni straordinari per gli azionisti si sono rivelate la causa principale del crollo quando il mercato si è invertito. Durante i mercati rialzisti, la leva amplifica i guadagni e giustifica i premium sul Nav. Durante i ribassi, amplifica le perdite, costringe vendite forzate e trasforma i premium in discount profondi. 

Le prospettive future indicano un probabile consolidamento del settore. Solo le Treasury meglio capitalizzate e con governance solida, sembrano destinate a sopravvivere. Le società più piccole e più rischiose potrebbero continuare a liquidarsi o essere acquisite. Tuttavia le Treasury rimangono un’opzione speculativa, adatta a investitori disposti ad accettare leva e rischi aggiuntivi in cambio di potenziali ritorni amplificati. Le convergenze tra finanza tradizionale e finanza decentralizzata sono inevitabili, ma complesse. L’episodio dell’autunno 2025 ha dimostrato che, lungi dall’essere indipendenti, i mercati crypto sono sempre più interconnessi con quelli tradizionali. La correlazione tra prezzo del bitcoin e il Nasdaq 100 ha raggiunto lo 0,80 nel 2025, segnalando che bitcoin si comporta sempre più come un asset tech ad alta volatilità piuttosto che come un “oro digitale” decorrelato. Questa integrazione porta benefici in termini di liquidità e accessibilità, ma anche rischi di contagio sistemico.


Glossario Eticoin criptovalute

Comprare a leva

Comprare a leva significa investire usando anche soldi presi in prestito, non solo i propri.

Facciamo un esempio, immaginando di avere 100 euro. Senza leva possiamo comprare criptovalute per un controvalore di 100 euro, mentre con la leva, ad esempio 5x, è come se potessimo investire 500 euro. In questo caso 100 euro sono nostri, 400 euro sono “prestati” dalla piattaforma.

Cosa succede dopo?

Se il prezzo della criptovaluta sale, il guadagno è più grande rispetto a quello che avremmo ottenuto  investendo i soli 100 euro, ma se il prezzo scende, le perdite aumentano allo stesso modo.

Il rischio principale risiede nelle discese consistenti di prezzo che possono comportare la perdita dell’intero capitale e la chiusura automatica della posizione da parte della piattaforma per evitare che l’investitore perda più di quanto possiede. In questo caso parliamo di liquidazione.

In sostanza la leva è come un amplificatore, dei guadagni, ma anche delle perdite. Per questo è considerata molto rischiosa, soprattutto per chi non ha dimestichezza con i mercati finanziari e investe denaro che non può permettersi di perdere (si pensi agli importi accantonati per la pensione, ad esempio).


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