Crisi climatica e assicurazioni: cosa fare se il sistema non regge più le perdite

Le perdite della crisi climatica aumentano e le assicurazioni europee faticano a reggere. Finance Watch spiega come spezzare questa spirale

Finance Watch invita a rompere la spirale delle perdite climatiche non assicurabili © Jeff McCollough/iStockPhoto

Se c’è qualcuno che conosce il rischio sono le assicurazioni. Ma evidentemente, con i rischi legati alla crisi climatica che crescono, anche loro rischiano di andare fuori giri. E in parte sta già accadendo.

Ad analizzare come se la passano le assicurazioni in Europa ai tempi della crisi climatica è stata Finance Watch, organizzazione che si batte per una riforma della regolamentazione finanziaria al servizio dei cittadini. Un nuovo rapporto appena pubblicato chiarisce fin dal titolo quali siano i termini della sfida: “Rompere la spirale delle perdite climatiche non assicurabili”. 

Il circolo vizioso si può riassumere così. La crisi climatica si intensifica, rendendo più intensi e frequenti i disastri. A loro volta, crescono i costi per la copertura assicurativa di questi disastri. Quindi aumentano i premi assicurativi da pagare e questo fa sì che la copertura assicurativa si riduca, con cittadini e imprese sempre più lasciati soli a sostenere perdite crescenti non più assicurabili. Ma vale anche per gli Stati, che subiscono una pressione sempre più insostenibile sui bilanci pubblici che schiaccia le risorse disponibili per la prevenzione dei disastri. E al prossimo disastro si riparte dal via.

In Europa solo un quarto dei danni dovuti alla crisi climatica è coperto da assicurazioni

Il rapporto di Finance Watch dice che in Europa circa un quarto dei danni da catastrofi naturali legate alla crisi climatica è coperto da assicurazioni. Ma per alcuni Stati membri dell’Unione tale percentuale crolla al 5%.

Cittadini, famiglie, imprese e alla fine (come detto) gli stessi governi sono dunque sempre più esposti non solo all’impatto fisico ma anche a quello economico causato dal clima. Senza poi dimenticare che un costo dei disastri che finisca per pesare in larghissima parte sulle spalle della società ha altre due ricadute pesantemente negative: stabilità e sviluppo economici sempre più a rischio, resilienza fiscale e finanze pubbliche sempre più traballanti.

La priorità è dunque contenere il gap di copertura assicurativa. Che invece continua ad allargarsi, a causa di due tendenze che si rinforzano a vicenda: da una parte l’aumento delle perdite economiche, dall’altra il fatto che una parte sempre minore di queste perdite è assicurata.

Assicurazioni, ok alla condivisione delle perdite dovute alla crisi climatica. Ma non basta

Come si fa allora a provare ad accorciare questo gap o, almeno, a cercare di evitare che diventi una voragine incolmabile? Le soluzioni indicate dal report partono da ciò che si sta provando a implementare in Europa.

La Banca centrale europea ed Eiopa (l’authority europea su assicurazioni e fondi pensione) hanno proposto di definire un quadro normativo per il rischio da catastrofe, composto da due elementi: un meccanismo europeo di riassicurazione e un fondo per rispondere ai disastri.

Finance Watch riconosce che si tratta di misure importanti, ma con un limite: mutualizzano le perdite e aiutano a risarcire i danni solo una volta che si sono verificati. Non incidono sui rischi alla base della “spirale della non assicurabilità”. Quindi non aiutano a spezzarla.

Come ridurre i rischi, incentivando la resilienza climatica

La proposta articolata nel report invita invece a condividere non solo le perdite ma anche le soluzioni che possono aiutare a ridurle. Vincent Vandeloise, uno dei curatori del rapporto, l’ha spiegata così: «Gli investimenti nella resilienza oggi riducono i costi domani».

All’interno del quadro normativo europeo, l’idea è per prima cosa di utilizzare i citati meccanismi di riassicurazione e di risposta alle catastrofi per incentivare misure di resilienza climatica come le difese contro le inondazioni. Lo si può fare, dice il report, introducendo condizionalità di accesso legate all’attuazione di piani di transizione e adattamento credibili, cioè allineati agli obiettivi climatici. Tradotto: nessuno dovrebbe ottenere sostegno pubblico per assicurarsi contro i rischi che sta ancora alimentando offrendo sostegno finanziario all’economia fossile.

Occorre poi far sì che le riserve di capitale siano legate alle questioni climatiche, in modo che sia possibile ridurle quando si investe in misure di mitigazione e adattamento. Gli istituti finanziari avrebbero così un incentivo diretto a investire in resilienza climatica, cosa che invece gli attuali quadri prudenziali scoraggiano poiché trascurano i rischi climatici e a lungo termine.

Crisi climatica, i capitali privati non bastano per la mitigazione e l’adattamento

Per la mitigazione della crisi climatica e le misure di adattamento bisognerà investire, nei prossimi anni, tra il 5 e il 10% del Pil dell’Unione europea. È evidente che il capitale privato, da solo, non è sufficiente. Perciò occorre riformare l’architettura delle finanze pubbliche dell’Unione in modo da indirizzare flussi di risorse su larga scala in questa direzione. Anche verso progetti che il mercato considera unbankable, cioè non finanziabili o comunque meno attraenti di altri (ad esempio ammodernamenti infrastrutturali o investimenti per la conservazione della biodiversità).

Il rapporto invita anche a definire in modo migliore la nozione di “impatto” riferita agli investimenti, per massimizzare la loro capacità di generare benefici sistemici. «L’Europa – ha sintetizzato Paul Fox, l’altro curatore del rapporto – non può spezzare la spirale con un approccio reattivo». Per attaccare alla radice la spirale della non assicurabilità, l’Europa deve essere proattiva. Senza attendere il prossimo disastro, ma facendo il possibile per prevenirlo.

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