Sviluppo sostenibile: a metà percorso l’Agenda 2030 è ormai in pericolo

Sia in Europa che in Italia, su troppi Obiettivi di sviluppo sostenibile si è avanzato poco o per nulla. E il tempo ormai stringe

Gli obiettivi di sviluppo sostenibile sono fissati dalle Nazioni Unite nell'Agenda 2030 © United Nations Development Programme/Flickr

L’Italia ha fatto passi avanti solo su 8 dei 17 obiettivi dell’Agenda 2030 e nemmeno l’Europa sta facendo meglio. Era il 25 settembre del 2015 quando le Nazioni Unite avevano approvato la cosiddetta Agenda 2030. E oggi, in questo autunno 2023, siamo a poco più di metà strada: un buon momento per fare dei bilanci.

All’inizio di ottobre è stato pubblicato un rapporto dell’Asvis intitolato L’Italia e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. A che punto siamo? E dove siamo rispetto agli altri? Quali obiettivi sono stati raggiunti e quali no? Cosa c’è da fare e migliorare? Sono queste le domande a cui risponde questo importante documento.

Cos’è l’Agenda 2030

Intanto, facciamo un passo indietro: con Agenda 2030 si intendono i Sustainable Development Goals (SDG), 17 obiettivi (non vincolanti) che tutti i 193 paesi membri delle Nazioni Unite si sono impegnati a raggiungere entro il 2030 in tema di sviluppo economico e sociale. Ciò secondo una lettura che vede il benessere della specie umana e la salute degli ecosistemi naturali strettamente interconnessi. Sostenibilità ambientale, sociale ed economica fanno parte di un unico discorso. E la sfida non può che essere giocata insieme da tutti i Paesi: come ha ricordato papa Francesco nel suo Laudate Deum, nessuno si salva da solo.

Gli obiettivi includono la povertà, la fame, la salute ma anche l’istruzione, l’accesso a un lavoro dignitoso e la parità di genere. E poi il diritto ad acqua, energia. La lotta ai cambiamenti climatici, la protezione della vita sulla Terra e negli oceani.

In Italia come in Europa dei passi avanti sono stati fatti. È aumentato il livello di consapevolezza sia nel pubblico che in una parte del settore privato, ci sono state importanti innovazioni. Ma – e questo è il nocciolo del report – non è abbastanza. Anzi, su certi piani si stanno facendo addirittura passi indietro.

In Italia e in Europa, su alcuni temi, addirittura si registrano dei passi indietro

In Italia, solo per otto dei diciassette punti ci sono stati dei miglioramenti, ma contenuti: ossia inferiori al 10% in 12 anni, eccetto che per la salute (Goal 3) e l’economia circolare (Goal 12) su cui invece si è lavorato bene. Per tre punti – ossia aspetti legati al cibo (Goal 2), alle disuguaglianze (Goal 10) e alle città sostenibili (Goal 11) – la situazione è stabile.

Per sei punti, infine, c’è stato addirittura un peggioramento rispetto al 2010: siamo regrediti in termini di povertà (Goal 1), sistemi idrici e sociosanitari (Goal 6), qualità degli ecosistemi terrestri e marini (Goal 14 e 15), governance (Goal 16) e partnership (Goal 17). Insomma, siamo proprio fuori rotta e ciò che emerge è che in questi otto anni l’Italia non ha «scelto in modo convinto e deciso l’Agenda 2030 come mappa per realizzare uno sviluppo pienamente sostenibile sul piano ambientale, sociale, economico e istituzionale».

Sulle diseguaglianze risultati desolanti. In Italia quasi due milioni di famiglie in povertà assoluta

Vediamoli più da vicino. Non sono diminuite significativamente le disuguaglianze territoriali. Quasi due milioni di famiglie sono in condizione di povertà assoluta (dal 2015 al 2021 è salita dal 6,1% al 7,5%) e aumentano le disuguaglianze tra ricchi e poveri. La spesa pubblica sanitaria e per istruzione è molto inferiore a quella europea. Dati preoccupanti riguardano anche abbandono scolastico, disoccupazione giovanile, disuguaglianze di genere e violenze sessuali (+12,5%).

In generale il tasso di occupazione è migliorato, ma con una grossa componente di lavoro nero (3 milioni di unità). Ci sono stati passi avanti importanti sul fronte dell’economia circolare (il consumo materiale pro-capite si è ridotto del 33% in dieci anni) e dell’innovazione. Ma resta una forte resistenza da parte delle imprese a investire sulle trasformazioni digitale ed ecologica. La finanza si sta muovendo nella direzione della sostenibilità, anche grazie al mutare delle preferenze dei risparmiatori, ma nel settore restano forti resistenze.

Anche sul piano ambientale le notizie non sono buone: si registra il 42% di perdite dai sistemi idrici; solo il 21,7% delle aree terrestri e solo l’11,2% di quelle marine sono protette. Lo stato ecologico delle acque superficiali è “buono” o “superiore” solo per il 43% dei fiumi e dei laghi. Nel 17% del territorio nazionale il suolo è in stato di degrado. L’80,4% delle risorse ittiche è sovrasfruttato. Le energie rinnovabili rappresentano solo il 19,2% del totale: troppo poco per intraprendere un processo di netta riduzione delle emissioni. Guardando ai target per cui sono disponibili dati affidabili, solo per otto si raggiungerà presumibilmente il valore fissato per il 2030, per quattordici sarà molto difficile o impossibile raggiungerlo, per nove si registrano andamenti contraddittori.

Siamo, purtroppo, in buona compagnia

Globalmente, solo il 12% dei Paesi sono sulla buona strada, gli altri sono stati fermi o regrediti. Pandemia, guerra in Ucraina, aumento dei prezzi dell’energia e dei prodotti alimentari sono stati allo stesso tempo la ragione e l’alibi di un arretramento su molti fronti. A livello europeo, se fino al 2019 si erano ottenuti importanti risultati in materia di povertà, disoccupazione, sanità, utilizzo di energie rinnovabili e protezione di acque marine, poi i progressi si sono arrestati. Ad oggi, i miglioramenti risultano insufficienti per centrare i target dell’Agenda 2030 entro questa decade.

Insomma, l’Italia è messa male, peggio dell’Europa, ma neanche l’Europa se la sta cavando benissimo. Questa però non è una scusa per gettare la spugna. Siamo a metà strada e il tempo per invertire la rotta c’è ancora.

Non tutto è perduto, il tempo per invertire la rotta c’è ancora

A settembre il governo si è impegnato davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a predisporre un “piano di accelerazione” per gli Obiettivi su cui siamo più indietro (ossia quasi tutti). Inoltre, a fronte dei risultati del report, l’ASviS avanza tre proposte: «Assegnare alla presidenza del Consiglio il compito di predisporre il Piano. Predisporlo entro marzo 2024, affinché esso contribuisca alla preparazione del prossimo Documento di economia e fsinanza. Coinvolgere la società civile e gli enti territoriali attraverso il Forum per lo sviluppo sostenibile esistente presso il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica. Serve anche un serio sistema di valutazione ex ante delle politiche rispetto ai diversi Obiettivi dell’Agenda 2030, al cui interno trovi spazio anche lo “Youth Check”. Cioè la verifica del rispetto del criterio di giustizia intergenerazionale recentemente introdotto nella Costituzione».

Viene anche sottolineata l’urgenza di dotarsi di una legge per il Clima (come già hanno fatto altri paesi) che fissi l’obiettivo di azzeramento delle emissioni di CO2 al 2050. Con i relativi passaggi intermedi, costruendo un percorso per i diversi comparti economici sotto il monitoraggio di un Consiglio scientifico per il clima.

«La sostenibilità conviene dal punto di vista sociale e ambientale, ma anche economico»

Come dichiara la presidente dell’ASviS Marcella Mallen, «la scelta della sostenibilità conviene tanto dal punto di vista sociale e ambientale, quanto da quello economico». Ed è interessante – ma tutt’altro che inaspettato – scoprire che a un netto aumento della consapevolezza dell’opinione pubblica rispetto al tema della sostenibilità e della crisi climatica (ad oggi per il 96% degli italiani i cambiamenti climatici sono un grave problema su scala mondiale, per il 74% il governo nazionale non sta facendo abbastanza per affrontarli, per l’87% la transizione ecologica è economicamente vantaggiosa perché i danni della crisi climatica sono di gran lunga superiori ai costi degli investimenti necessari per realizzarla) si accompagni però un «crescente scetticismo riguardo all’effettiva capacità e volontà di costruire un mondo più sostenibile» da parte delle istituzioni.

Eppure nell’Agenda 2030 ci sarebbe tutto il necessario. Gli obiettivi parlano di una profonda interconnessione fra salute e giustizia ambientali, sociali ed economiche. Con la limpida consapevolezza del fatto che non ci saranno miglioramenti veri se non coinvolgeranno tutti e su tutti i fronti. Tutto ciò verrà certamente ribadito in occasione del “Summit sul futuro”, convocato dal segretario generale delle Nazioni Unite per il 22 e 23 settembre 2024. Un vertice dal quale usciranno linee guida per il perseguimento degli obiettivi SDG. Per il momento Guterres avverte che «a metà del percorso la promessa dell’Agenda 2030 è in pericolo».