I cambiamenti climatici costeranno mille miliardi di dollari alle multinazionali

Dall’emergenza clima mille milia di dollari di extra-costi per 215 multinazionali nel prossimo quinquennio. Ma attenzione: le opportunità commerciali della transizione ecologica valgono il doppio

Matteo Cavallito
La desertificazione è una delle conseguenze principali del riscaldamento climatico dovuto alle emissioni di gas ad effetto serra © Federico Del Bene/Wikimedia Commons
Matteo Cavallito
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L’emergenza clima potrebbe costare quasi mille miliardi di dollari alle maggiori imprese del mondo. Un conto salatissimo che rischierebbe di materializzarsi già nei prossimi cinque anni. Il calcolo è messo nero su bianco in un rapporto del Carbon Disclosure Project (CDP), Ong di base a Londra che ogni anno raccoglie dati ambientali da oltre 7mila aziende. La stima viene da un ristretto gruppo di 215 multinazionali, con una capitalizzazione complessiva di circa 17 trilioni di dollari. Un valore di mercato, per capirci, di poco inferiore al Pil dell’Unione Europea.

Emergenza clima: costi in ascesa

A generare questo enorme ammontare di costi sarebbero i fattori tipici della crisi del clima: temperature in rialzo, eventi atmosferici estremi sempre più frequenti e una crescita dei costi delle emissioni gassose. Un tema controverso quest’ultimo, da tempo nel mirino dei critici. Di recente, un’indagine dell’organizzazione ambientalista Green Finance Observatory ha denunciato il meccanismo di compensazione e riduzione delle emissioni di CO2 basato sul mercato dei crediti di emissione. Secondo lo studio, «le fluttuazioni selvagge» impedirebbero alle imprese di pianificare nuove strategie per ridurre l’impatto delle loro attività sul clima.

Gli asset del fossile si stanno svalutando

A giudizio delle imprese, metà dei costi stimati – circa 500 miliardi – sarebbe altamente probabile. Determinanti, in questo senso, i cambiamenti a livello politico e legislativo ai quali le corporation, forse, non sono abbastanza preparate. E poi l’annoso problema degli stranded assets, titoli e risorse varie del settore fossile in declino, il cui deprezzamento rischia di costare un quarto di trilione di dollari.

La transizione verso un’economia a basse emissioni, in altre parole, produrrebbe una perdita di valore per l’industria fossile e per le aziende maggiormente esposte all’impatto del clima. Un effetto del calo della domanda di petrolio, gas e carbone che da tempo preoccupa tra gli altri l’Unione Europea.

Le opportunità? Valgono 2,1 trilioni di dollari

In tutto questo, però, c’è una buona notizia. Il valore delle opportunità legate al cambiamento climatico, osserva lo studio, è pari a oltre il doppio dei costi: 2,1 trilioni di dollari. Ovvero, secondo la ricerca, quasi 7 volte gli investimenti previsti (311 miliardi). Tra le nuove occasioni offerte dal nuovo scenario, ad esempio, si segnala un aumento dei ricavi attraverso la richiesta dei prodotti e dei servizi a basse emissioni. Auto elettrica, per dire. Ma non solo. Ad emergere, sempre secondo l’indagine, è un generale spostamento delle preferenze dei consumatori. Un cambio di rotta culturale che non si limita al fronte della domanda dei beni di consumo ma investe addirittura il mercato del lavoro.

Secondo il Workplace Culture Report 2018 realizzato da LinkedIn e ripreso dalla CNBC, l’86% dei millennials sarebbe disposto ad accettare una riduzione del proprio stipendio per lavorare in un’azienda rispettosa dell’ambiente. Stando a una recente ricerca di GreenBiz, inoltre, 2 giovani su 3 non vorrebbero lavorare per un’azienda priva di un forte impegno in campo ambientale.

«Le imprese hanno molta strada da fare»

La vera domanda, a questo punto, è se le imprese siano davvero in grado di cogliere le opportunità offerte da questi cambiamenti. E la questione, per così dire, appare tuttora irrisolta. Da un lato qualcosa si muove da tempo: il 60% delle aziende americane con un fatturato superiore a 1 miliardo di dollari, ricorda una recente indagine di Sodexo che cita i dati ONU, dichiara di voler accelerare la propria strategia sulla sostenibilità. Altri numeri, tuttavia, sono meno incoraggianti. La stessa indagine di CDP, ad esempio, ha coinvolto 215 pesi massimi del firmamento globale, come Apple, Microsoft, UBS, Nestle e China Mobile per citarne solo alcuni.

Ma oltre la metà delle 500 corporation a più alta capitalizzazione del mondo non ha elaborato, o per lo meno diffuso, i dati sul rischio finanziario associati al clima.

«La maggior parte delle compagnie ha ancora molta strada da fare in termini di corretta valutazione del rischio climatico» ha dichiarato la direttrice della divisione Climate Change di CDP, Nicolette Bartlett. Mai come adesso, pare di capire, sarebbe opportuno adeguarsi in fretta.