Auto, energia, emissioni: ecco le mappe dei buoni e cattivi
L'Imperial College di Londra ha realizzato delle mappe della transizione energetica: pochi i Paesi virtuosi. Italia: troppi aiuti alle fossili e ritardi su auto elettrica
Quanto rapidamente le nazioni stanno trasformando i loro sistemi energetici? E quali lezioni si possono apprendere dai 25 Paesi leader in questo tipo di processi?
Alcune risposte prova a fornirle un rapporto (Energy Revolution: A Global Outlook) commissionato dalla società elettrica inglese Drax ed elaborato dai ricercatori dell’Imperial College di Londra. Cinque i settori indagati, strettamente connessi agli obiettivi e alle tematiche della transizione energetica, pensando a un modello più green di consumo e produzione.
Energia pulita, impiego dei combustibili fossili, diffusione e sviluppo dei veicoli elettrici, cattura e stoccaggio del carbonio e della CO2, efficienza di case, industrie e trasporti. Questi i cinque ambiti fotografati attraverso mappe e dati, che restituiscono l’immagine di un Pianeta in movimento.
Leggi anche...
Cop 24, dalla Polonia pessima notizia: compromesso al ribasso sul clima
Conclusa la Cop 24 di Katowice. Testo finale troppo debole. Le Ong denunciano: molti Paesi si rimangiano gli impegni. E l'Onu calcola: temperatura salirà di 3°C
Energia pulita: male Cina, India, Polonia e Sudafrica
Nel 2017 la media globale delle emissioni di CO2 per ogni kWh di elettricità consumato è stata di 450g. Aspetto positivo: la maggioranza (16 sui 25 esaminati) dei Paesi più importanti è rimasta al di sotto di questa media. E tre i più virtuosi (Norvegia, Svezia e Francia – seppure quest’ultima in particolare affidandosi al nucleare) hanno anche raggiunto l’obiettivo più ambizioso sul lungo termine, di emettere meno di 50g di CO2/kWh.
Tuttavia il panorama globale è fortemente differenziato. E ciò dipende dall’estrema varietà nel mix di generazione energetica che ciascun Paese ha costruito. Con alcune nazioni che mostrano criticità assolutamente da superare: Cina, India, Polonia e Sudafrica dipendono infatti ancora in misura decisamente eccessiva dal carbone per il proprio sostentamento energetico.
E così ogni kWh della loro elettricità produce fino a due volte il quantitativo medio di emissioni di CO2 degli altri Paesi indagati nel rapporto.
Un problema, quello del carbone, su cui spesso Valori ha posto l’accento perché si tratta del combustibile fossile più inquinante e tuttavia ancora molto diffuso. Ma è anche vero che i segnali di miglioramento dello scenario sono molteplici, con l’Italia inclusa tra i Paesi che fanno da traino. Questi segnali arrivano anche dalla Cina, che – pur partendo da più lontano – ripulisce il suo settore energetico più velocemente di quanto non faccia invece la maggior parte dell’Europa. Vantando inoltre, in termini assoluti, una capacità rinnovabile 2,5 volte superiore a quella degli Stati Uniti. Mentre molti cittadini del Vecchio Continente – gli scienziati sottolineano – a tutt’oggi pagano circa 100 dollari l’anno in sussidi per i combustibili fossili. Quindi più che negli USA o in Cina.
Approfondimento
Italia amica delle fonti fossili: gli aiuti di Stato valgono 18,8 miliardi
Il comparto oil&gas gode di decine di miliardi tra sussidi diretti e indiretti. Legambiente: eliminarli è possibile. Ma il governo tace. Eni e soci ringraziano
Auto elettrica: sono già 4,5 milioni. E la Cina spinge
Insomma, la transizione avanza e, in certi casi, pare un’automobile in piena corsa. Come dimostrano i 4,5 milioni di mezzi a propulsione elettrica (di cui circa un terzo ibridi) in circolazione. Il trend commerciale, in una decina di Paesi, vede un veicolo elettrico nuovo ogni 50 auto nuove vendute. Certo, se in tutti i Paesi analizzati, tranne la Norvegia, i veicoli elettrici (electric vehicle o EV) costituiscono meno del 10% di quelli nuovi non siamo già alla rivoluzione del sistema della mobilità globale. Ma la via pare tracciata.
Ancora una volta, l’agente catalizzatore è la Cina: Pechino sta spingendo più di altri in questa direzione. Insieme agli Stati Uniti accoglie due terzi dei veicoli elettrici del mondo e metà dei 300mila punti di ricarica. Ma soprattutto il governo ha fissato un obiettivo di vendite annuali da 2 milioni di mezzi entro il 2020. Un traguardo perseguito attraverso generosi sussidi e l’imposizione ai produttori cinesi di prevedere la commercializzazione di almeno un nuovo modello elettrico entro il 2019.
La Norvegia fa grande l’Europa battendo i giganti
Ottimi presupposti, anche se sappiamo quanto la stessa alternativa elettrica sia controversa se non si convertono i sistemi con i quali l’elettricità viene prodotta. Nel settore la testa di serie principale non si trova certo in Oriente. La Norvegia, con un rapporto di 1:25 tra le vendite di auto elettriche nuove e di auto a combustibili fossili, resta davanti a tutti. Merito dei sussidi pubblici partiti nel lontanissimo 1980 e dei redditi medi piuttosto alti. Ma anche di una rete di punti di ricarica senza pari.
Il piccolo Paese nordico ne ha installati già circa 1 ogni 500 abitanti. Dieci volte di più che il Regno Unito (1 ogni 5mila) e venti volte più di Cina, Giappone e Stati Uniti (1 ogni 10mila). Per non dire dell’India (1 per ogni 5 milioni di persone). A seguire i norvegesi nelle parti alte della classifica Svezia e Paesi Bassi, dove sovvenzioni ed esenzioni fiscali importanti premiano in misura significativa chi emette meno CO2.
Onufrio, Greenpeace: Italia bene sulle rinnovabili. Ma che ritardi sull’auto elettrica
«Le mappe proposte dal rapporto – sottolinea Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia – ci danno una fotografia dinamica della transizione energetica in corso. Incoraggiante ma non ancora largamente sufficiente a livello globale. E infatti non mancano fenomeni in controtendenza. Rilevante è la riduzione del contenuto di CO2 nella produzione elettrica di nazioni come la Cina che, allo stesso tempo, hanno iniziato a ridurre la quota di carbone. La crescita delle rinnovabili elettriche nel decennio 2008-2017 è poi sensibile in alcuni Paesi, tra cui anche l’Italia, che è ottava in termini procapite.
È però paradossale, andando a vedere specificamente la dinamica italiana, come il grosso dell’incremento per le rinnovabili nel settore elettrico sia avvenuto fino al 2014 – e con un picco di installazioni nel 2011. Dopo di che c’è stata una sostanziale “frenata”, spinta dal settore del gas che ha “pagato” questa espansione riducendo i consumi, proprio mentre negli anni recenti i costi sono diventati progressivamente più competitivi.
Oggi la barriera principale è infatti di tipo normativo/regolamentare. E la preoccupazione per una parte dell’”establishment energetico” è più quella di salvaguardare lo spazio di mercato del gas naturale – e dell’Italia come “hub del gas” – che quello di mettere al centro le rinnovabili iniziando a modificare sostanzialmente il paradigma energetico.
Pessima è infine l’Italia su due aspetti: è terza per quanto riguarda i sussidi alle fonti fossili, dietro solo a Paesi produttori come Norvegia (petrolio) e Australia (carbone), e con una dinamica in aumento. Inoltre il nostro Paese appare molto indietro relativamente ai veicoli elettrici, in questo scontando il ritardo storico dell’industria nazionale (leggi Fiat oggi Fca, ndr), che solo di recente ha dichiarato di voler sviluppare la linea di veicoli elettrici (puntando però troppo su quelli ibridi, che in pochi anni non reggeranno la competizione di prezzo con gli elettrici puri)».