Banca d’Italia, la Vigilanza che non c’è

Il Governatore Visco presenta le sue “Considerazioni finali”: la realtà dei tribunali e del settore bancario dimostra che i controlli di via Nazionale non funzionano

Nicola Borzi
Il Governatore di Banca d’Italia, Ignazio Visco, alla presentazione delle Considerazioni finali il 31 maggio 2019
Nicola Borzi
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Nelle 37 pagine delle Considerazioni finali del Governatore di Banca d’Italia, Ignazio Visco, presentate oggi (31 maggio) in occasione dell’assemblea dell’istituto di Palazzo Koch a Roma, la parola “vigilanza” ricorre 10 volte, ma è utilizzata soprattutto per descrivere le pressioni esercitate da Via Nazionale sulle banche italiane per ridurre il loro stock di crediti deteriorati. In un passaggio, però, Visco parla della vigilanza in un altro senso, quello proprio del termine, il controllo sull’attività delle banche.

A parole, in Italia una vigilanza costante

Secondo Visco «è emersa in Europa negli ultimi anni l’insufficienza dell’attenzione prestata da diversi intermediari al rispetto delle norme rivolte al contrasto del riciclaggio. Sono elevati i rischi che ne conseguono e che spesso travalicano i confini nazionali. È in corso a livello comunitario la riflessione diretta a rafforzare e armonizzare i necessari presidi regolamentari e di supervisione».

Il Governatore spiega che «in Italia l’impegno della Vigilanza è costante; uno specifico accordo con l’Unità di informazione finanziaria promuove la collaborazione, l’individuazione di fattori di rischio e interventi coordinati, di controllo e sanzione, sugli intermediari. È massima, quando vi sono sospetti di reato, l’informazione fornita all’autorità giudiziaria e pronta la risposta alle richieste che da essa provengono».

Una realtà molto diversa: da IW Bank…

Eppure i fatti più recenti raccontano tutt’altra storia. Proprio sul fronte delle carenze antiriciclaggio, l’11 aprile 2019 si è concluso il processo IW Bank, l’istituto online controllato da Ubi Banca nel quale tra il 2008 e il 2014 ben 104mila dei 140mila conti online erano senza controllo antiriciclaggio, con una “falla” attraverso la quale sono passate transazioni per mille miliardi di euro.

Il procedimento con rito abbreviato ha visto l’assoluzione in primo grado di tutti i 14 imputati proprio dall’accusa di ostacolo alle funzioni di vigilanza. Il gup Cristina Mannocci ha accolto le tesi della difesa e decretato che “il fatto non sussiste”. Il pm Elio Ramondini aveva chiesto un anno e due mesi per i 14 imputati, all’epoca dei fatti dirigenti, consiglieri e sindaci dell’istituto. Tra questi l’ex amministratore delegato Alessandro Prampolini e l’ex presidente Mario Cera. Il pubblico ministero aveva chiesto anche 600mila euro alla banca come sanzione amministrativa. Non si sa se Ramondini abbia presentato ricorso per l’appello.

Eppure, come Gianni Barbacetto aveva scritto sul Fatto Quotidiano del 13 aprile 2018 “per tutti l’accusa” era “di aver gestito IwBank senza le necessarie cautele antiriciclaggio e senza comunicare alla Banca d’Italia le irregolarità, in materia di verifica e registrazione nell’Archivio unico informatico (Aui), delle posizioni di migliaia di clienti dell’istituto. IwBank era diventata una specie di banca offshore.

Quando la Guardia di finanza arrivò a chiedere conto di tanto “disordine” nell’Archivio unico informatico, l’istituto non trovò di meglio che presentare una denuncia ai carabinieri, sostenendo di aver smarrito la documentazione. Fu l’ispezione condotta nel 2013 dalla Banca d’Italia a portare alla segnalazione delle 104mila posizioni non verificate nell’archivio clienti. Eppure Bankitalia non ha ritenuto di costituirsi parte civile”, concludeva Barbacetto, nel processo che si è concluso l’11 aprile scorso.

C’è qualcosa che non quadra, dunque, nelle parole di Visco. Se sul fronte della Vigilanza antiriciclaggio fosse davvero “massima, quando vi sono sospetti di reato, l’informazione fornita all’autorità giudiziaria e pronta la risposta alle richieste che da essa provengono”, perché Banca d’Italia – solo per fare un esempio concreto – non si è costituita parte civile nel processo di Milano contro IW Bank?

…a Mps

Ma quella dell’ostacolo alle attività di vigilanza non è una ipotesi di reato che riguarda solo le verifiche antiriciclaggio. Per restare alla cronaca più recente, il 29 maggio la Cassazione ha confermato l’assoluzione degli ex vertici di Mps nel processo per ostacolo alla vigilanza sui contratti derivati Alexandria e Santorini tra Rocca Salimbeni, Deutsche Bank e Nomura. Accogliendo il ricorso delle difese di Giuseppe MussariAntonio Vigni e Gianluca Baldassarri, gli ermellini hanno disposto un appello bis a Firenze per valutare se concedere un proscioglimento più ampio “perché il fatto non sussiste”. Il pg aveva invece chiesto l’appello bis per riaprire alle accuse.

Secondo la vulgata ufficiale, nessuno conosceva realmente lo stato di salute di Mps, perché i derivati Alexandria e Santorini sarebbero stati “nascosti” alla Vigilanza. Poi, sempre secondo la vulgata, il vero stato di salute della banca senese sarebbe casualmente emerso con il fortuito ritrovamento del mandate agreement sui derivati Alexandria e Santorini, presentati come BTp, costruiti per acquisire AntonVeneta. Scoperta che, dicono le ricostruzioni “ufficiali”, sarebbe avvenuta a ottobre 2012 in una cassaforte rovistata dai nuovi manager, Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, succeduti all’ex presidente del Monte (e dell’Abi) Giuseppe Mussari. Questa ricostruzione, però, si scontra con altri fatti.

Paolo Mondani di Report li ha ricordati nel convegno organizzato il 16 giugno 2016 dal “Gruppo Federico Caffè”: «Un’ispezione del 2010 della Banca d’Italia si era già accorta che c’erano perdite su questi due derivati. E poi c’è l’ispezione del 2012 inviata alla Consob, ben prima del ritrovamento nella cassaforte del Monte dei Paschi di ottobre 2012. L’ispezione di Banca d’Italia inviata in Consob a giugno 2012 analizza precisamente Alexandria e Santorini e dice: sono derivati e bisogna cambiare i bilanci. Quali sono i bilanci che devono essere corretti? La Procura di Milano dice dal 2009 al 2012, la Consob dal 2014 alla semestrale 2015». Su questo assunto, dunque, gli aumenti di capitale del 2011 (2 miliardi), 2014 (5 miliardi) e 2015 (3 miliardi) erano basati su bilanci civilistici — e prospetti informativi — che riportavano pere (derivati) per mele (BTp). Aumenti di capitale sottoscritti da decine di migliaia di azionisti che hanno perso tutto o quasi. A chi spettava controllare che bilanci e prospetti forniti ai risparmiatori per convincerli a sottoscrivere le azioni Mps fossero corretti e che la banca fosse davvero solida? Alla Consob e alla Banca d’Italia.

Fino a Banca Etruria e alla Cassa di risparmio di Cesena

D’altronde la vicenda processuale di Mps non è l’unica in cui gli ex vertici di banche andate in dissesto si sono difesi vittoriosamente dall’accusa di non aver consegnato alla Vigilanza di Banca d’Italia tutti i reali dati sullo stato di salute dei loro istituti di credito. Il 9 aprile è iniziato il processo d’appello contro Giuseppe Fornasari e Luca Bronchi della vecchia Banca Etruria che in primo grado avevano ottenuto un clamoroso verdetto di assoluzione proprio dall’accusa di ostacolo alla vigilanza di Banca d’Italia.

Ancora: il 13 novembre 2018 furono assolti “perché il fatto non sussiste” i vertici della Cassa di risparmio di Cesena a processo per falso in bilancio e ostacolo alla vigilanza. L’accusa aveva chiesto condanne a 22 mesi per l’ex presidente della banca Germano Lucchi e l’ex direttore Adriano Gentili e a 14 mesi per i coimputati Giovanni Maria Boldrini, Francesco Carugati, Pier Angelo Giannessi, Mario Riciputi, Giovanni Tampieri e Luigi Zacchini.

Ma i casi abbondano e non si limitano solo a questi. Come Giorgio Meletti del Fatto Quotidiano scrisse il 10 dicembre 2017, “se i banchieri vengono assolti dall’ostacolo alla vigilanza, o Banca d’Italia è stata complice (“Toccami Cecco che mamma non vede”), salvo poi denunciarli a cose fatte per salvarsi (“Mamma, Cecco mi tocca”), oppure la Banca d’Italia non serve a niente”. Qualcuno dovrebbe ricordarlo al Governatore Visco, anche per conto delle centinaia di migliaia di risparmiatori coinvolti loro malgrado (anche per essersi fidati delle capacità di controllo della Banca d’Italia) nei crack delle banche italiane.