Banche e istituti finanziari continuano a investire nella fornitura di armi a Israele

Ci sono anche Unicredit e Intesa Sanpaolo tra le banche e gli istituti finanziari che guadagnano dalla vendita di armi a Israele

Banche e istituti finanziari continuano ad armare Israele, nonostante l'invasione della Striscia di Gaza © Taylor Brandon/Unsplash

Le grandi banche e società finanziarie europee continuano a investire in aziende che forniscono armi a Israele. Il tutto nonostante l’evidenza di come queste armi siano usate, nonostante i dubbi sul rispetto di convenzioni internazionali e nonostante le accuse di genocidio dalle quali Tel Aviv deve difendersi. E malgrado il fatto che la vendita di armi venga effettuata a vantaggio di un esercito occupante, cosa esplicitamente proibita da ben due accordi internazionali: The Arms Trade Treaty (ATT) delle Nazioni Unite del 2014 e The Eu Common Position on Arms Export Control del 2008.

Prestiti e sottoscrizioni per oltre 36 miliardi di euro in quattro anni

Purtroppo, c’è anche molta Italia in tutto questo. Tra le banche che investono, come Unicredit e Intesa Sanpaolo. E tra gli istituti finanziari, come Exor che, pur essendo una holding di diritto olandese, ha radici ben salde nel nostro Paese, sempre in prima fila a fornirle aiuti di Stato con governi di ogni colore. E tra le aziende produttrici di armi, con l’italianissima Leonardo Spa.

A fornire le informazioni è un nuovo report, curato da diciannove organizzazioni non governative, tra cui Pax e BankTrack. In totale, queste banche e società finanziarie hanno fornito negli ultimi quattro anni ben 36,1 miliardi di euro in prestiti e sottoscrizioni ai sei grandi fabbricanti di armi che fanno affari con Israele. E detengono 26 miliardi di euro in azioni o in obbligazioni di queste società.

Secondo le associazioni che hanno redatto il report, quindi, queste società «corrono un alto rischio di facilitare gravi violazioni del diritto internazionale umanitario, possibili crimini contro l’umanità e, forse, un genocidio a Gaza». Per questo, sostengono che «banche, fondi pensione e gli altri proprietari di asset che forniscono finanziamenti a queste aziende dovrebbero agire urgentemente. Disinvestendo da chi non interrompe immediatamente la vendita di armi a Israele».

Anche Leonardo tra i maggiori fornitori di armi a Israele

Il report si concentra esclusivamente su sei dei maggiori produttori che, secondo il Sipri Arms Transfers Database, dal 2019 al 2023 hanno venduto armi o sistemi di armamenti a Israele. Sono le americane Boeing, General Dynamics, Lockheed Martin e RTX, la britannica Rolls-Royce e, appunto, la nostra Leonardo Spa. Che, dal 2015 al 2023, ha venduto alle forze armate israeliane i cannoni navali Super Rapid 76mm prodotti dalla sua sussidiaria Oto Melara. E dal 2019 a oggi continua a fornire anche gli elicotteri AW-119 light.

La parte del leone, nella fornitura di armi provocano di fatto la distruzione delle vite dei civili e delle infrastrutture della Palestina, la fanno comunque l’americana Boeing, che vende a Israele bombe di ogni tipo per una cifra vicina ai 10 miliardi di euro. E a seguire la britannica Rolls-Royce che, solo con i motori MT883Ka per i carri armati Merkava-4, ha superato il miliardo di euro di vendite.

Da qui il report passa a individuare quali siano gli istituti finanziari europei che detengono più investimenti, sotto forma di azioni o obbligazioni, in questi sei produttori di armi. Investimenti che, come detto, superano i 26 miliardi di euro. In prima fila la banca d’investimenti svizzera UBS, su cui già pesa lo scandalo del commercio di oro sottratto alle vittime dell’olocausto durante la Seconda guerra mondiale.

Da sola, tra azioni e obbligazioni, UBS detiene circa 4 miliardi di euro in aziende produttrici di armi. A seguire il fondo pensione norvegese GFPG che, di solito, ama riempirsi la bocca con parole sul rispetto dei diritti umani. Poi la Francia con il gruppo bancario BPCE. La Germania con il colosso assicurativo Allianz e con Deutsche Bank. E tantissimo Regno Unito, con le grandi banche come Barclays e HSBC. Oltre a un po’ di Italia con Exor e Intesa Sanpaolo.

Tra i finanziatori in prestiti e sottoscrizioni spiccano Unicredit e Intesa Sanpaolo

Fino a qui si parlava appunto di banche e istituzioni finanziarie che detengono investimenti nelle sei grandi aziende produttrici di armi prese in esame. Poi il report si concentra anche sui prestiti e sulle sottoscrizioni dirette che queste banche o società hanno fatto negli ultimi quattro anni a questi mercanti di armi. E qui la cifra supera i 36 miliardi di euro.

In prima fila troviamo le banche francesi BNP Paribas e Crédit Agricole, con più di 5 miliardi di euro a testa. Poi la tedesca Deutsche Bank, che si ferma a 4 miliardi, e la britannica Barclays che sfiora i 3 miliardi. Ben posizionata l’italiana Unicredit, con più di 1,5 miliardi così suddivisi: poco più di 1,2 miliardi in finanziamenti e di 365 milioni in sottoscrizioni. L’altra italiana Intesa Sanpaolo invece si ferma sotto il miliardo di euro, con 622 milioni in prestiti e 35 milioni in sottoscrizioni.

Il report inoltre motiva come, anche alla luce delle risoluzioni delle Nazioni Unite e del parere della Corte internazionale di giustizia espressi in questi ultimi mesi, il commercio di armi con Israele violi i già citati trattati internazionali. Le conclusioni non lasciano scampo: «I rischi già esistenti per i diritti umani legati al trasferimento di armi a Israele sono diventati ancora più gravi. Agire diventa ancora più urgente», ha scritto Cor Oudes, ricercatore di Pax. Mentre Giulia Barbos, ricercatrice presso BankTrack, ha concluso: «L’immensa portata delle atrocità e della crisi umanitaria in corso a Gaza sono innegabili. Nessuno, comprese le banche e altri istituti finanziari, può permettersi di distogliere lo sguardo. Devono tutte disinvestire e agire urgentemente, adesso è già troppo tardi».