Mille miliardi della finanza alle armi. Le banche etiche lanciano un appello di pace
Le banche etiche da sempre escludono gli investimenti in armi. Al meeting della GABV, invitano l'industria finanziaria a fare altrettanto
Le banche e i fondi di investimento a livello globale sostengono i produttori di armi con almeno mille miliardi di dollari. Lo ricorda la ricerca “Finance for War. Finance for Peace”, pubblicata il 28 febbraio da GABV (Alleanza globale delle banche valoriali) a Milano. «L’industria finanziaria globale è fondamentale per la produzione e il commercio di armi, e facilita, per estensione, i conflitti militari», si legge nel rapporto. Tutto questo succede perché le banche e i fondi tendono a considerare il settore della difesa alla stregua di ogni altro settore industriale.
«È un approccio a cui le banche valoriali si oppongono con decisione», spiega Teresa Masciopinto, presidente di Fondazione Finanza Etica, che ha commissionato la ricerca assieme a GABV. «Le armi generano distruzione e morte. La loro proliferazione, tra l’altro, compromette il raggiungimento dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, come dice la stessa Agenda per il disarmo dell’Onu».
La Dichiarazione di Milano della GABV
In occasione dell’incontro annuale globale di GABV, che è stato ospitato da Banca Etica in Italia, l’Alleanza ha lanciato la “Dichiarazione di Milano“. «La pace, e la stabilità che ne deriva, è un prerequisito per mettere la finanza al servizio del pianeta e delle persone», si legge nell’appello. «Ma non ci possono essere pace e stabilità se le istituzioni finanziarie continuano a finanziare la produzione e il commercio di armi».
Per questo la GABV invita l’industria finanziaria a smettere di sostenere la produzione e il commercio di armi. Incoraggia banche e fondi a introdurre o ampliare le politiche che limitano i finanziamenti alla difesa. E chiede loro di aderire a GABV, esprimendo il proprio sostegno alla Dichiarazione.
Quali banche e società di investimento sostengono l’industria delle armi
I dati sugli investimenti in armi presentati nel rapporto si basano sulle ricerche delle organizzazione non governative PAX e ICAN (Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari) e sulle analisi della Campaña Banca Armada. Ai primi posti tra gli investitori in armamenti figurano le più grandi società di investimento, tutte domiciliate negli Stati Uniti, come Vanguard, State Street o BlackRock. Nella parte alta della classifica non mancano però le banche europee come BNP Paribas, Deutsche Bank e Crédit Agricole. Le italiane Unicredit (4,4 miliardi di dollari) e Intesa Sanpaolo (2,1 miliardi di dollari) non sono tra le prime 10 in Europa ma seguono a poche lunghezze di distanza, secondo di dati della Campaña Banca Armada.
I numeri, spiega la ricerca, sono necessariamente approssimati per difetto. Non esiste, infatti, una lista completa di tutti gli investimenti e i crediti concessi all’industria delle armi. E il settore è molto poco trasparente. Quindi si deve fare riferimento ai pochi dati pubblici disponibili: rapporti periodici di fondi, comunicati di banche, elenchi di azionisti pubblicati dalle Borse.
Il boom con le guerre recenti
I produttori di armi sono diventati più interessanti dal punto di vista finanziario grazie proprio ai conflitti armati più recenti, in Ucraina e Palestina. Le azioni del settore difesa sono ai massimi in Borsa.
Un’analisi del Financial Times su 15 gruppi del settore della difesa ha rilevato che alla fine del 2022 gli ordini per queste società erano pari a un totale di 777,6 miliardi di dollari, in aumento rispetto ai 701,2 miliardi di dollari di due anni prima. E si sono attestati a 764 miliardi di dollari nei primi sei mesi del 2023. L’indice azionario globale MSCI dei titoli del settore difesa è salito del 25% nel 2023. Il corrispondente indice europeo Stoxx è salito di oltre il 50% nello stesso periodo.
Il rapporto di Gabv invita però a non farsi influenzare da questi eventi eccezionali. «I trend a lungo termine suggeriscono che investire in armi non è sempre vantaggioso dal punto di vista finanziario», si legge. «I risultati finanziari del settore difesa sono volatili e dipendono dagli ordini degli Stati, che a loro volta sono influenzati dalle tensioni geopolitiche internazionali». Inoltre, si tratterebbe di un settore ad alto rischio di corruzione. Sulla base di un rapporto di SIPRI (Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma), l’industria militare sarebbe responsabile di oltre il 40% della corruzione negli scambi commerciali.
I primi segnali di disimpegno
Investire in armi facilita le guerre, che sono distruttive e impediscono di raggiungere gli obiettivi di sviluppo delle Nazioni Unite. In più è rischioso, perché i rendimenti sono volatili e più esposti a fenomeni di corruzione. Per questi motivi molte banche e fondi hanno iniziato a uscire dal settore armamenti. A partire dalle armi nucleari.
Il rapporto “Moving Away from Mass Destruction: 109 exclusions of nuclear weapon producers” (Allontanarsi dalla distruzione di massa: 109 esclusioni di produttori di armi nucleari), pubblicato congiuntamente da PAX e ICAN nel 2023, fa una lista delle istituzioni finanziarie con politiche che limitano o escludono gli investimenti in chi produce armi nucleari.
Attualmente ci sono 55 istituti finanziarie nel mondo che escludono completamente qualsiasi investimento in produttori di armi nucleari. Ai primi posti ci sono banche valoriali come Alternative Bank Schweiz, Banca Etica, Bank Australia, Triodos Bank e vdk bank. Però sta salendo anche il numero degli investitori convenzionali: ad esempio la compagnia assicurativa Storebrand in Norvegia, la banca Svenska Handelsbanken in Svezia e il Fondo Pensione Norvegese, il più grande fondo sovrano al mondo, con 1.200 miliardi di euro investiti.
Come spiega il rapporto di Gabv, questo è un segnale importante. Significa che il terreno finanziario che permette alla produzione di armi nucleari (e di armi in generale) di prosperare sta lentamente cedendo. Lo testimoniano anche le dichiarazioni preoccupate dell’industria delle armi europea. Come quelle di Jan Pie, segretario generale dell’AeroSpace and Defence Industries Association of Europe. Nel 2022 ha dichiarato che negli ultimi anni alcune aziende di armamenti europee sono state escluse da finanziamenti e investimenti. In parte a causa di istituzioni finanziarie che hanno cercato di anticipare le nuove regole dell’Unione europea in materia di investimenti sostenibili.
Le banche GABV in prima linea nell’esclusione delle armi
Musica per le orecchie delle banche GABV. Che da sempre escludono ogni investimento in armamenti. Perché l’esclusione delle armi è nel Dna degli investimenti etici e sostenibili, fin da quando, nel XVIII secolo, i Quaccheri inglesi si sono posti per primi il problema.
Come si spiega nella ricerca di GABV, nessuno dei 71 membri dell’Alleanza investe in armi e la stragrande maggioranza di loro (73%) ha una politica di esclusione degli armamenti da crediti e investimenti. Buona parte di chi non ha una politica non ritiene necessario adottarla. Si tratta infatti di organizzazioni che si concentrano sul finanziamento di comunità locali con precisi criteri positivi. Per cui l’esclusione del settore degli armamenti è data per scontata. Con la “Dichiarazione di Milano” ci si augura ora che questa questione di principio diventi un’ovvietà anche per il resto del sistema bancario e finanziario.