Banche e regimi autoritari: quando la finanza sostiene la repressione
Come banche e finanza globale sostengono regimi autoritari attraverso bond, Etf e strumenti finanziari, alimentando repressioni e violazioni dei diritti umani
La finanza globale non è un meccanismo neutrale. Attraverso prestiti, investimenti, fondi indicizzati e strumenti speculativi può sostenere regimi repressivi, alimentare conflitti, favorire modelli produttivi distruttivi o indebolire diritti fondamentali lungo intere filiere. Analizzare questi meccanismi significa mostrare come, dietro a scelte apparentemente tecniche, si nascondano impatti concreti sulla vita delle persone: dalle repressioni dei regimi autoritari alla violenza nelle frontiere, dalle filiere tessili alle speculazioni sul cibo, fino ai grandi eventi sportivi.
Ricordando che quel denaro non è astratto: è il nostro. Sono i risparmi, i fondi pensione, i conti correnti di milioni di persone. Ed è anche attraverso le nostre scelte – a chi affidiamo i soldi, quali operatori premiamo o abbandoniamo – che possiamo contribuire a costruire un sistema finanziario più giusto
Gli articoli del dossier:
- Tanti, maledetti e subito
Il filo rosso tra finanza globale, crisi umanitarie e violazioni dei diritti: dalle materie prime ai war bond, fino alle prigioni private. - Banche e regimi autoritari: quando la finanza sostiene la repressione
Come banche e finanza globale sostengono regimi autoritari attraverso bond, Etf e strumenti finanziari, alimentando repressioni e violazioni dei diritti umani. - Banche, ambiente e diritti umani: il lato oscuro della transizione verde
Banche e fondi finanziano deforestazione, fossili e miniere legati a espropri, abusi e violazioni dei diritti umani nelle comunità locali. - Quando la finanza sostiene l’industria delle carceri private
Le società carcerarie private prosperano grazie ai finanziamenti bancari e ai contratti con l’ICE, alimentando detenzioni di massa e violazioni dei diritti umani. - Quando la finanza alimenta gli abusi nelle migrazioni
Le banche, con finanziamenti diretti e indiretti, alimentano cause e pratiche che generano migrazioni forzate e violazioni dei diritti umani lungo le frontiere. - Banche e moda: quando la finanza chiude gli occhi sullo sfruttamento
Dalle concerie alle fabbriche tessili, i fondi finanziano una filiera della moda segnata da sfruttamento, lavoro forzato e gravi violazioni dei diritti umani. - Finanza e cibo: quando la speculazione alimenta la fame
La speculazione sulle materie prime alimentari fa esplodere i prezzi e colpisce contadini e consumatori, trasformando il cibo in un prodotto per scommesse finanziarie. - Finanza e Mondiali di calcio: quando i grandi eventi calpestano i diritti umani
Da Italia ’90 a Qatar 2022, banche e finanza hanno favorito Mondiali segnati da corruzione, sfruttamento, lavoro forzato e violazioni sistematiche dei diritti umani. - Finanza e diritti umani: la rivoluzione mancata della due diligence
Come è nata e cosa diventerà la direttiva sulla due diligence, che vuole responsabilizzare le imprese (ma non la finanza) sui diritti umani.
Nell’ottobre 2025 una storica sentenza ha riconosciuto il ruolo di Bnp Paribas nei crimini commessi dal regime di Omar al-Bashir in Sudan negli anni Novanta e primi Duemila. Secondo una giuria federale di Manhattan, la più grande banca di Francia avrebbe facilitato il genocidio perpetrato in quegli anni, fornendo servizi finanziari che violavano le sanzioni statunitensi, permettendo così all’allora governo di Khartoum di armare le sue campagne di violenza.
Il verdetto, pur esito di un processo civile di primo grado e in attesa di appello, è tra i primi a tracciare un nesso causale tra l’operato di una banca globale e crimini contro l’umanità. E riaccende i riflettori su come la finanza possa, direttamente o indirettamente, sostenere i regimi autoritari e alimentare violazioni dei diritti e persino guerre, anche in presenza di sanzioni. Dai sistemi di pagamento e di garanzia del commercio internazionale – come per le lettere di credito nel caso sudanese – fino all’emissione di titoli di Stato sui mercati globali, i meccanismi utilizzati sono diversi.
Il caso Sudan–Bnp Paribas: quando le banche aggirano le sanzioni
Il caso sudanese mostra come l’ingegneria finanziaria possa aggirare le sanzioni a carico dei regimi. Già nel 2014 Bnp Paribas Ginevra, la filiale al centro della questione, aveva ammesso di averle violate “consapevolmente” trasferendo più di 6 miliardi di dollari verso il sistema finanziario statunitense per conto di entità del Sudan, tramite una rete di “banche satellite”. Lo strumento chiave sono le lettere di credito, che nel commercio internazionale garantiscono le transazioni e che Bnp Paribas emetteva, in dollari, eliminando qualsiasi riferimento agli enti sotto sanzione. Il valore di queste lettere, nel 2006, era di circa un quarto dell’export e un quinto dell’import del Sudan; negli stessi anni, la macchina repressiva delle truppe filogovernative avrebbe causato 300mila vittime nella sola regione del Darfur.
La multa miliardaria pagata nel 2014 alle autorità americane non ha mai raggiunto le vittime del conflitto. La sentenza dello scorso ottobre – circa 20 milioni di dollari a beneficio di tre querelanti – potrebbe aprire però la strada a una class action da parte di oltre 20mila rifugiati sudanesi negli Stati Uniti.
Bond sovrani e diritti umani: la complicità legale della finanza globale
Se i regimi si muovono nella finanza globale anche attraverso istituzioni finanziarie internazionali alternative – spesso le banche di sviluppo regionali, il Fondo Opec, ma anche la Nuova Banca di Sviluppo dei Paesi Brics –, l’emissione di titoli di Stato resta uno degli strumenti principali, con la complicità legale dei principali istituti bancari e fondi d’investimento. La logica di mercato è semplice: se un Paese non è sotto sanzioni ed è considerato affidabile, il suo debito è appetibile. Anche perché i sistemi di screening dei fondi finanziari raramente includono criteri sui diritti umani. Gli stessi obblighi europei sulla finanza sostenibile – l’“Esg”, su temi ambientali, sociali e di governance – riguardano investitori e imprese, non i governi.
A questo si aggiunge un meccanismo meno visibile: gli Exchange-traded funds (Etf) non filtrati, cioè che replicano automaticamente gli indici globali e acquistano i titoli inclusi nei benchmark, senza alcuna valutazione del contesto politico di chi li emette. È un meccanismo particolarmente rilevante per Paesi come l’Egitto o l’Arabia Saudita – oggi tra i principali negli indici dei mercati emergenti – i cui bond entrano così direttamente nei portafogli di milioni di risparmiatori europei e statunitensi.
Egitto e Arabia Saudita: boom di bond nonostante torture e repressione
Lo scorso ottobre l’Egitto di Abdel Fattah al-Sisi ha emesso sukuk sovrani – obbligazioni conformi alla legge islamica – dal valore di 1,5 miliardi di dollari, parte di un’iniziativa più ampia che dovrebbe raggiungere i 4 miliardi. Il ministero delle finanze del Cairo ha dichiarato che la domanda degli investitori ha superato i 9 miliardi di dollari. L’emissione è stata organizzata da colossi come Hsbc e Citibank, insieme a banche del Golfo quali Dubai Islamic Bank, First Abu Dhabi Bank e Abu Dhabi Islamic Bank.
Ma l’Egitto, che resta tra i regimi più duri dell’area Mena, negli anni ha emesso bond dal valore di miliardi che, una volta inclusi negli indici internazionali, sono stati automaticamente acquistati dagli Etf e dai fondi indicizzati. Mentre le organizzazioni per i diritti umani documentavano un aumento di torture, detenzioni arbitrarie (come quella dell’attivista Patrick Zaki) e sparizioni forzate causate da un regime che si è macchiato, tra le altre cose, dell’omicidio di Giulio Regeni.
L’Arabia Saudita, invece, solo nel 2025 ha venduto obbligazioni in dollari ed euro dal valore di quasi 20 miliardi di dollari. Per l’ultima tranche di sukuk (5,5 miliardi di dollari) gli investitori hanno piazzato ordini per circa 19 miliardi, a conferma della grande richiesta, con Citigroup, HSBC, JP Morgan e Standard Chartered come coordinatori e bookrunner. Dal 2016, con il lancio del programma di sviluppo Vision 2030, l’Arabia Saudita ha emesso regolarmente sukuk e bond. Gli stessi anni sono stati segnati dall’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi (ricondotto al principe ereditario Mohammed bin Salman), dalla campagna militare nello Yemen, dalla repressione dei dissidenti e da centinaia di esecuzioni.
Blood bond e hunger bond: Bielorussia e Venezuela nei portafogli occidentali
Celebri nella storia recente sono stati i “blood bond” bielorussi. 1,25 miliardi di dollari in obbligazioni emessi dal governo di Alexander Lukashenko poche settimane prima delle contestate elezioni presidenziali del 2020 e della brutale repressione delle proteste. E gli “hunger bond” emessi dalla compagnia petrolifera nazionale del Venezuela nel 2017 e acquistati nel mercato secondario soprattutto da Goldman Sachs per 2,8 miliardi di dollari, nel pieno della crisi umanitaria sotto Nicolás Maduro.
Fondi Esg da record, ma la finanza continua a sostenere guerre e repressioni
Ad oggi però, in un contesto in cui i fondi Esg globali hanno raggiunto un livello record con 11,9mila miliardi di dollari nel secondo trimestre del 2025, in crescita del 21% su base annua, la contraddizione è ancora più evidente. La finanza globale non può continuare a funzionare come un dispositivo che alimenta guerre, repressioni e violazioni dei diritti umani. Soprattutto perché molti attori finanziari dichiarano di aderire ai Principi per l’investimento responsabile (Pri) e al Global Compact delle Nazioni Unite. E i rispettivi Paesi spesso hanno sottoscritto le linee guida dell’Ocse sulla due diligence che ricordano come gli istituti finanziari possano «causare o contribuire» a impatti negativi sui diritti umani anche attraverso la semplice sottoscrizione di obbligazioni che li rendono possibili.
War bond israeliani: i debiti di guerra che finiscono sui mercati globali
Un caso che mostra la portata di questa contraddizione, anche al di là dei regimi autoritari, è quello dei “war bond” israeliani. Tra ottobre 2023 e gennaio 2025 Israele ha raccolto oltre 19 miliardi di dollari con obbligazioni in parte destinati alla guerra a Gaza.
Un’indagine del centro di ricerca olandese Profundo ha ricostruito come sette grandi banche d’investimento occidentali abbiano svolto un ruolo decisivo nel collocare questi titoli sul mercato globale. Goldman Sachs, Deutsche Bank, Bank of America, Bnp Paribas, Citigroup, Barclays e JPMorgan Chase hanno agito come underwriter, garantendo la vendita dei bond sovrani e assicurando a Tel Aviv liquidità continua mentre aumentavano le accuse di gravi violazioni del diritto internazionale e umanitario, tanto da far parlare di un’“economia del genocidio”.
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