Tanti, maledetti e subito

Il filo rosso tra finanza globale, crisi umanitarie e violazioni dei diritti: dalle materie prime ai war bond, fino alle prigioni private

Danilo De Biasio
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Danilo De Biasio
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La finanza globale non è un meccanismo neutrale. Attraverso prestiti, investimenti, fondi indicizzati e strumenti speculativi può sostenere regimi repressivi, alimentare conflitti, favorire modelli produttivi distruttivi o indebolire diritti fondamentali lungo intere filiere. Analizzare questi meccanismi significa mostrare come, dietro a scelte apparentemente tecniche, si nascondano impatti concreti sulla vita delle persone: dalle repressioni dei regimi autoritari alla violenza nelle frontiere, dalle filiere tessili alle speculazioni sul cibo, fino ai grandi eventi sportivi.

Ricordando che quel denaro non è astratto: è il nostro. Sono i risparmi, i fondi pensione, i conti correnti di milioni di persone. Ed è anche attraverso le nostre scelte – a chi affidiamo i soldi, quali operatori premiamo o abbandoniamo – che possiamo contribuire a costruire un sistema finanziario più giusto

Gli articoli del dossier:


Nella nuova serie televisiva, Sandokan abborda una nave inglese che porta tonnellate di «una pietra maledetta», un minerale che uccide gli indigeni costretti ad estrarlo dalle miniere, «tagliando gli alberi sacri e uccidendo gli animali». Si scoprirà dopo che si tratta di antimonio. 

Se l’argomento materie prime e, soprattutto, come vengono raccolte, finisce in prime time in una serie televisiva è un buon segnale, no? Forse. Il dossier su finanza & diritti umani che avete tra le mani dimostra che malgrado ci sia più conoscenza non c’è abbastanza coscienza per fermare il capitalismo predatorio. O meglio: non c’è interesse a farlo.

Sandokan l’ha azzeccata: l’antimonio era davvero una componente importante nei macchinari della Rivoluzione industriale. L’Impero britannico era – semplificando un po’ – un impero delle materie prime. Gli articoli di questo dossier ci svelano che sono cambiati gli strumenti, non il risultato finale. E la complessità degli strumenti finanziari usati da multinazionali e banche rende difficile capire cosa accade. 

Sappiamo – spiega per esempio Alessandra Tommasi – che la corsa ai minerali importanti per la transizione energetica finisce per finanziare progetti inquinanti e famelici: si deviano i fiumi in Brasile per estrarre il litio, si commettono abusi contro le popolazioni locali in Congo. Insomma vale la regola del “tanti, maledetti e subito”. 

Nella metaforica bilancia del business il piatto dei diritti umani è sempre più leggero. L’Arabia Saudita è nella top list delle condanne a morte, ma i suoi titoli di Stato vanno a ruba. Idem per Israele con più di 19 miliardi di war bond comprati da banche e assicurazioni.

Anche se per vie tortuose il filo rosso che lega le grandi crisi umanitarie è il solito: i soldi. Seguitemi: se i grandi investitori, quelli che muovono miliardi di dollari, investono nel fossile e nel disboscamento per fare pascoli non ci si può stupire che il clima “impazzisca”. E se investi pure in armi non puoi meravigliarti che – sono stime dell’Unhcr – 120 milioni di persone nel 2024 abbiano lasciato le loro case per sfuggire a inondazioni, guerre, carestie. E se non cambi quegli investimenti sarà sempre peggio: ancora  l’Unhcr fa notare che per 12 anni di seguito la cifra dei displacement è in aumento. Nel dossier di Valori Luca Pisapia spiega che la risposta dei grandi investitori è una sola: tecnologia per fermare i migranti alle frontiere e centri temporanei di detenzione. 

Il grande affare della sicurezza è un capitolo che si arricchisce ogni giorno di crudeltà: sempre Alessandra Tommasi dettaglia come negli Stati Uniti la privatizzazione delle prigioni e, per ultimo, dei centri di detenzione per migranti a seguito delle retate degli incapucciati di Ice, stia producendo utili stratosferici per i soliti noti. 

Poteva mancare l’eccellenza italiana in questo desolante tour? No, e infatti Rita Cantalino non solo ci dice quante centinaia di volte viene moltiplicato il prezzo di un oggetto di lusso partendo dal sottoscala di Prato alla boutique di via Montenapoleone, ma anche del disinteresse dei marchi della moda a diritti sociali e umani. Come ha scoperto più volte la magistratura milanese. 

Panem et circesens. Per il panem il problema si chiama derivati. Che sono strumenti finanziari nati per equilibrare i prezzi delle materie prime, ma – come spiega Andrea Baranes – sono diventati giochi d’azzardo sul futuro, leve di speculazioni miliardarie. E per i circenses cosa c’è di meglio di un grande evento sportivo? Basta puntare i riflettori sui campioni, oscurando la corruzione che ha fatto lievitare i costi degli stadi, aggiunge Luca Pisapia.

Lo  smantellamento dei diritti e questo senso di impunità sembra essere proprio il mood del periodo. La presidenza Trump e i suoi ordini di cancellare le politiche “Deia” (diversità equità inclusione accessibilità) è stato come il colpo di pistola dello starter: tutte le imprese che le avevano avviate si sono affrettate a cancellarle o ridurle. Il messaggio era chiaro: liberi tutti. E purtroppo – ci spiega in questo dossier Valentina Neri – anche l’Europa ha fatto a brandelli la legge sulla due diligence che avrebbe dovuto obbligare le grandi aziende a inseguire lungo la catena degli appalti e dei fornitori i rischi ambientali, la violazione dei diritti umani e sociali e, nel caso, risolverli. Anche perché sono pochi e ricorrenti i marchi che stanno facendo utili miliardari sulla nostra pelle.

Una volta letto il dossier di Valori, la prossima volta che vedremo Sandokan in tv forse ci domanderemo come abbiamo fatto a tornare così indietro sul fronte dei diritti.


Danilo De Biasio è direttore della Fondazione e del Festival Diritti Umani.

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