I miliardi delle banche alle industrie che distruggono le foreste
Dalla firma dell'Accordo di Parigi, i settori responsabili della distruzione delle foreste hanno ottenuto crediti per 267 miliardi di dollari
I tuoi soldi stanno distruggendo le foreste o violando diritti? Si apre con questa domanda il nuovo report della Forest & Finance Coalition, un’alleanza di cui fanno parte – tra le altre – ong come BankTrack, Amazon Watch e Rainforest Action Network. Con ogni probabilità, la risposta è «sì». Perché dalla fine del 2015, quando è stato firmato l’Accordo di Parigi sul clima, le duecento banche analizzate hanno erogato crediti per 267 miliardi di dollari a trecento società che, con ogni probabilità, contribuiscono alla deforestazione delle zone tropicali. 267 miliardi di dollari: un centinaio in più rispetto al fatturato 2021 di Microsoft. Anche gli investitori foraggiano l’agrobusiness: a settembre 2022 detenevano 40 miliardi di dollari in azioni e obbligazioni.
Finanziamenti miliardari, criteri ESG inesistenti
Questi 267 miliardi di dollari sono stati erogati sotto forma di finanziamenti a società direttamente coinvolte nelle catene di approvvigionamento di carne di manzo, soia, olio di palma, cellulosa e carta, gomma e legname nel Sudest Asiatico, in America Latina e in Africa Centrale e Occidentale. Cioè nelle tre aree che custodiscono le maggiori foreste tropicali, preziose per la biodiversità e per la loro capacità di immagazzinare gas ad effetto serra. Nel 2020 i finanziamenti hanno subito una frenata temporanea dovuta al Covid-19, ma già l’anno successivo erano risaliti ai livelli di partenza.
Volendo essere ottimisti, si può ipotizzare che banche e investitori abbiano adottato criteri ESG (ambientali, sociali e di governance). Cioè che abbiano fatto riferimento ad accordi internazionali, convenzioni e best practices per accertarsi del fatto che i loro finanziamenti supportassero attività sostenibili per le foreste. I ricercatori della Forest & Finance Coalition sono andati a controllare e valutare queste politiche ESG su una scala da 1 a 10. Il risultato è sconfortante. Su duecento società bancarie e finanziarie, solo tre raggiungono o superano il 7: sono il fondo pensione norvegese e le due olandesi ABN Amro e Rabobank. Circa il 30 per cento degli istituti finanziari incassa un punteggio compreso tra 1 e 5, cioè ampiamente insufficiente. Il 59% non arriva nemmeno a 1. Esatto, meno di 1 su 10.
Duro il commento di Tom Picken, direttore della campagna su Foreste e finanza del Rainforest Action Network e tra i fondatori della Forest & Finance Coalition: «Ora è noto che la doppia crisi dei cambiamenti climatici e della perdita di biodiversità rappresenta una minaccia su scala planetaria per le future generazioni. Nonostante ciò, gli istituti finanziari globali stanno effettivamente aumentando i loro prestiti proprio alle industrie che portano l’umanità sull’orlo del baratro».
Carne e carta piacciono alle banche ma distruggono le foreste
Scendendo più nel dettaglio, si scopre che sono due le filiere a cui le banche sono particolarmente affezionate. Manco a dirlo, entrambe hanno un impatto devastante sulle foreste.
La prima è quella della carne di manzo, causa scatenante della distruzione di 37 milioni di ettari di foresta amazzonica dal 1985 al 2021. Per intenderci, è un’area grande quasi quanto il Giappone e rappresenta l’80% della deforestazione avvenuta in questi 36 anni. Tale settore, dal 2016 in poi, ha ricevuto finanziamenti pari a 67 miliardi di dollari. Togliendo quella grossa fetta (l’89% del totale) di credito concesso a condizioni agevolate sulla base di un programma del governo brasiliano, il resto è andato prevalentemente a tre grandi gruppi che, da soli, hanno esportato il 70% della carne di manzo brasiliana nel 2017. Si tratta di JBS (a quota 729mila tonnellate), Marfrig (367mila) e Minerva (348mila). Nella lista dei loro finanziatori ci sono anche HSBC (746 milioni di dollari in sei anni), Morgan Stanley (312 milioni), Bank of America (303), Santander (774).
Buone notizie per l’Amazzonia
Ha vinto Lula. Il Brasile sceglie la democrazia, l’Amazzonia e i diritti
In Brasile il candidato progressista Lula ha battuto il presidente in carica di estrema destra Jair Bolsonaro
La seconda industria è quella della carta e cellulosa nel Sud-Est asiatico. L’Indonesia da sola ne produce 9 milioni di tonnellate, pari al 16% dell’export globale. Anche in questo caso, le conseguenze sugli ecosistemi sono di una gravità inaudita. 170mila gli ettari di foreste distrutti tra il 2015 e il 2019, a cui bisogna aggiungere anche il drenaggio delle torbiere. Numeri che sembrano non interessare granché alle grandi banche che, tra il 2016 e il 2022, hanno finanziato il settore con 23,6 miliardi di dollari. L’assoluta maggioranza, 22,6 miliardi, è andata a due soli colossi: Sinar Mas e Royal Golden Eagle. Le più prodighe nei loro confronti sono le banche locali, in primis Bank Rakyat Indonesia e Bank Mandiri, a quota rispettivamente 4,3 e 2,6 miliardi di dollari di credito. Ma sul terzo gradino del podio c’è la londinese Barclays, con 1,9 miliardi.