Banche e multinazionali, la lotta alla deforestazione è ancora un miraggio
Banche e grandi aziende multinazionali non riescono a fermare il sostegno diretto e indiretto a deforestazione e violazioni dei diritti umani
Nonostante annunci e impegni, le principali aziende e banche multinazionali non riescono a fermare il sostegno – diretto e indiretto – alla deforestazione e alle violazioni dei diritti umani. È ciò che emerge dall’ultimo rapporto di Rainforest Action Network (RAN), che esamina un campione di imprese e istituti di credito collegati allo sfruttamento delle materie prime forestali. E il cui risultato è disarmante. Nessuno dei 17 brand e banche analizzati, infatti, ha adottato azioni adeguate per affrontare il problema della distruzione delle aree boschive provocata dai loro business. Né quello dell’accaparramento di terre (il land grabbing). Né quello delle violenze perpetrate a danno delle comunità locali e indigene.
Il metodo di valutazione degli impegni sulla deforestazione
I voti assegnati ai gruppi oggetto di studio sono, di conseguenza, tutti insufficienti e, in alcuni casi, gravemente insufficienti.
La valutazione del RAN si basa su cinque domande:
- banche e aziende hanno fatto almeno un primo passo per adottare policy che eliminino il sostegno alla deforestazione e alle violazioni dei diritti umani nelle loro catene di approvvigionamento di materie prime?
- Hanno reso pubblico l’impatto delle loro attività sulle foreste e sui diritti delle comunità locali e indigene?
- Stanno prevenendo le violenze e assicurando il pieno rispetto dei diritti delle comunità locali e indigene?
- Cambiano effettivamente le proprie pratiche di acquisto o di finanziamento se il partner commerciale viene sorpreso a violare le loro policy di protezione di foreste e diritti umani?
- Possono dimostrare ai loro clienti che i loro partner commerciali rispettano i loro standard?
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Dalle banche almeno 22,5 miliardi di dollari dall’Accordo di Parigi
Cinque banche su sette, in particolare, hanno ottenuto una F, il voto peggiore. Si tratta della banca statale indonesiana BNI, della malese CIMB, della cinese ICBC. Oltre alla giapponese MUFG e alla statunitense JPMorgan Chase, che lo scorso anno hanno adottato il principio “No Deforestation, No Peat and No Exploitation” (NDPE).
Le principali banche globali continuano dunque a finanziare clienti che promuovono la deforestazione e le violazioni dei diritti umani. Dall’Accordo di Parigi del 2015 ad oggi, le sette banche esaminate hanno fornito almeno 22,5 miliardi di dollari ad aziende che sfruttano a vario titolo materie prime con rischi di impatti sulle aree boschive. E che operano nelle tre maggiori regioni che ospitano foreste tropicali: Indonesia, Bacino del Congo e Amazzonia. JPMorgan Chase è stata la più “generosa”, in questo senso, fornendo 6,9 miliardi di dollari. Segue MUFG con 4 miliardi di dollari.
I passi avanti di alcune multinazionali
Per quanto riguarda le imprese non finanziarie, sono tre quelle che non hanno fatto ancora sostanziali passi avanti per porre fine alla deforestazione. Il colosso dei beni di consumo Procter & Gamble, il produttore di dolciumi Mondelēz, l’azienda alimentare giapponese Nissin Foods.
Alcuni gruppi hanno tuttavia migliorato le proprie politiche rispetto all’anno precedente. Tra essi, Colgate-Palmolive, Ferrero e Kao, ma restano ancora indietro rispetto ad altri. Per esempio Unilever. Unica azienda ad aver adottato una politica credibile per affrontare il proprio impatto su tutte le catene di approvvigionamento di materie prime che presentano rischi per le foreste. Oltre a rendere nota la propria impronta forestale di partenza.
Nestlé rimane invece l’unica azienda impegnata a rendere nota (entro il 2023) la propria impronta forestale globale, ovvero l’impatto dell’azienda su più prodotti nelle tre principali regioni della foresta pluviale: Indonesia, Congo e Amazzonia. Gli attivisti del Rainforest Action Network auspicano che Procter & Gamble, Mondeléz, Ferrero, Mars e PepsiCo si impegnino a fare lo stesso al più presto.
Manca controllo sui fornitori
Un punto su cui tutte le aziende considerate mostrano di non aver fatto passi avanti riguarda i fornitori. Nessuna, infatti, ha sospeso le proprie relazioni con quelli che continuano a violare i diritti consuetudinari delle comunità e a rifornirsi da produttori che causano deforestazione.
Nessuna delle banche e delle aziende esaminate, inoltre, ha richiesto ai propri fornitori, clienti e investitori la prova del rispetto del diritto al consenso libero, preventivo e informato (FPIC). Ad oggi, nessuna banca o azienda ha reso note le procedure che utilizzerebbe per garantire il rispetto dei diritti delle popolazioni indigene e delle comunità locali a dire no allo sviluppo sulle loro terre.
Migliorare la tracciabilità e la trasparenza per combattere la deforestazione
Spesso a rendere inattendibili le dichiarazioni e gli impegni per eliminare la deforestazione è l’assenza di meccanismi di verifica indipendenti e credibili che garantiscano il rispetto delle politiche della NDPE. Oltre al fatto che le aziende non sono in grado di identificare le fonti di tutte le materie prime che acquistano.
«Fornire queste informazioni di base deve essere il primo passo per verificare che queste materie prime siano prodotte da aziende che proteggono le foreste pluviali, le torbiere e i diritti umani», si legge nel rapporto. «Nell’ultimo anno si sono registrati alcuni miglioramenti nella tracciabilità e nella divulgazione degli elenchi dei fornitori, ma è necessaria una maggiore trasparenza per comprendere la piena portata dell’impatto di ciascuna azienda nelle catene di approvvigionamento dell’olio di palma, della pasta di legno e della carta, della carne bovina e della soia».