Barclays abbandona le fonti fossili? «Ancora troppe scappatoie»

La banca britannica Barclays promette di investire nella decarbonizzazione. Ma la sua strategia è piena di scappatoie, denunciano le ong

Barclays promette di impegnarsi nella transizione ©undefined undefined/IStockPhotos

Barclays è una delle più grandi banche del Regno Unito. Opera dal 1960 e negli anni si è distinta per i suoi record: prima in patria nell’introdurre gli atm, le carte di credito, prima ad avere una direttrice donna. E la scorsa settimana, in un trionfale comunicato stampa, ha annunciato anche la volontà di primeggiare in campo ecologico. «Barclays concentrerà il suo capitale e le sue risorse nell’aiutare le aziende a decarbonizzarsi» è la sintesi dell’azienda.

Cosa ha promesso Barclays

Il gruppo londinese ha spiegato il piano di sostenibilità in un aggiornamento della sua strategia climatica. Le promesse sono tante. In primis, stop ai finanziamenti diretti per progetti oil&gas. Poi, restrizioni all’accesso al credito per clienti impegnati in espansione delle attività estrattive, o la cui attività nel settore energetico non è diversificata. Prevede restrizioni nell’accesso anche per le cosiddette attività non convenzionali – ad esempio, l’estrazione di idrocarburi nella foresta amazzonica. Infine, c’è la richiesta per tutti i clienti impegnati nel settore energetico di avere piani di decarbonizzazione pronti entro il 2026. E alcuni obiettivi, ad esempio quelli relativi alle perdite di metano, già in vigore entro il 2030.

Un passo avanti, insomma, che si inserisce nella lunga scia di annunci ecologici dei grandi gruppi finanziari. Sempre Barclays, d’altronde, aveva già manifestato l’intenzione di diventare carbon neutral entro il 2050. E nel sito si legge come le emissioni climalteranti legate ai progetti da lei finanziate siano diminuite del 32% tra il 2020 e il 2022. Ma a leggere tra le righe emergono scappatoie, vie di fuga dalle sue stesse regole e tanti non detti.

«È come non investire in sigarette, ma prestare soldi a big tobacco»

Kelly Shields è la responsabile campagne di ShareAction, un’organizzazione no profit britannica che si occupa di fare pressione sui gruppi finanziari perché modifichino le loro politiche di credito. «Nel complesso riteniamo che Barclays abbia compiuto progressi, ma ci sono ancora aree di preoccupazione», spiega.

La rivista specializzata DeSmog riassume il cuore delle critiche mosse dagli attivisti. «Le nuove norme dal tono ambizioso coprono solo una frazione del finanziamento totale a petrolio e gas. La politica aggiornata esclude solo il finanziamento diretto per nuovi progetti, consentendo a Barclays di continuare a fornire finanziamenti aziendali più generali alle società fossili, che possono poi utilizzare tali finanziamenti come desiderano, compresa l’espansione». In sostanza, la banca e i clienti del settore energetico possono aggirare il problema ottenendo fondi per la società nel suo insieme. Senza specificare per quale progetto (estrattivo) verranno usati.

Barclays non è l’unica a permettere questo genere di sotterfugi. Il rapporto Banking on Climate Chaos, il più autorevole studio sull’esposizione delle banche nel fossile a livello globale, spiega come il medesimo meccanismo sia presente nei piani di transizione di gran parte degli istituti di credito. Lo stesso report, peraltro, mette Barclays al settimo posto tra gli istituti di credito per il finanziamento all’energia sporca: è il primo gruppo europeo in classifica. Sempre secondo ShareAction, solo l’1% del finanziamento di Barclays verso le fossili è stato diretto. La stragrande maggioranza è indiretto e, quindi, non necessariamente toccato dalle nuove policy.

«È come se Barclays dicesse che non investirebbe mai direttamente in sigarette, ma è felice di fornire miliardi alle aziende del tabacco», spiega l’ong Make My Money Matter.

Gli altri impegni climatici di Barclays: bene, non benissimo

«Certo, la banca britannica ha anche preso una serie di impegni relativi al restringere l’accesso al credito per le aziende nell’insieme, non solo ai progetti, quando sono impegnate in attività climalteranti. Ma queste condizioni sono formulate in modo da concedere a Barclays molta libertà, con diverse eccezioni e deroghe». Lo spiega, sempre su DeSmog, il giornalista Joe Flasser. «Ad esempio, la valutazione dell’adesione degli enti prestatari agli obiettivi di emissioni nette zero non prevede standard minimi per le emissioni Scope 3 – quelle generate dalla vendita di carburante ai clienti, di gran lunga la parte più rilevante dell’impronta climatica del settore».

ShareAction riassume con amarezza le nuove politiche di Barclays. «Nel complesso, la nuova politica energetica consente il mantenimento di una discrezionalità significativa sul sostegno continuato alle attività di espansione di petrolio e gas incompatibili con gli scenari a 1,5°C».

Banche verdi, ancora una realtà lontana

Il settore finanziario pullula di alleanze per il net-zero e di impegni per la sostenibilità. Ma nella quasi totalità dei casi gli annunci nascondono scappatoie tali da rendere inefficaci le politiche adottate. Sempre secondo Banking on Climate Chaos nel 2022, delle sessanta più grandi banche al mondo, solo una era allineata all’Accordo di Parigi sul clima. Si tratta della pubblica Banque Postale, di proprietà dello Stato francese. Tutte le altre finanziano, chi più chi meno, la catastrofe climatica verso cui siamo diretti.