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Bassa finanza #3

I tassi di mercato sono sempre più bassi e continua la fame di rendimenti, che trasforma anche i più innocui risparmiatori della porta accanto in ...

I tassi di mercato sono sempre più bassi e continua la fame di rendimenti, che trasforma anche i più innocui risparmiatori della porta accanto in belve insaziabili. I bocconi più appetitosi possono però spesso risultare indigesti nel lungo periodo. Che importa? Basta vendere nel breve, incassare e godersi le plusvalenze.
Solo che nessuno sa veramente quanto lungo sia il lungo periodo e quanto breve sia il breve. Men che meno l’investitore della porta accanto, che arriva sempre per ultimo a chiudere la stalla quando i buoi sono ormai da tempo a zonzo per le colline. “Stavolta però sarà diverso”, mi ha detto il tassista dopo aver spedito un sms alla massaia di Voghera sulla relativa convenienza dei PIK rispetto agli ETF a leva. Stavolta arriverà Babbo Natale, quello vero, con le renne, la slitta e la Coca Cola. E tutti saremo più buoni.


Larry Fink è l’amministratore delegato di BlackRock, la più grande società di investimenti del mondo, che gestisce un patrimonio di 4.320 miliardi di dollari: più del doppio del PIL italiano. Appena Fink dichiara qualcosa, tutti si mettono sull’attenti. E ultimamente non è parco di dichiarazioni. L’ultima in ordine di tempo riguarda gli ETF a leva, fondi che copiano il rendimento di indici azionari e cercano di raddoppiarlo o triplicarlo con l’aiuto di derivati.
A sentire Fink gli ETF a leva sarebbero come una bomba H che potrebbe far saltare l’intero sistema. “Baggianate”, rispondono le società che vendono gli ETF speculativi. “I nostri fondi sono piccoli, liquidi, trasparenti e poco rischiosi. Fink cerca solo di distrarre l’attenzione dei regolatori, che vorrebbero sottoporre BlackRock a maggiori controlli”. Chi ha ragione? Probabilmente entrambe le parti. Nel dubbio si consiglia di stare alla larga dagli ETF a leva. Che triplicano i rendimenti ma, se va male, anche le perdite.


Prima facevano trading con il capitale della banca ed erano venerati come i “dominatori dell’universo”. Ora, con la crisi e la “Volcker rule”, la legge USA che vieta alle banche di speculare con il proprio capitale, i trader di Goldman Sachs sono a spasso. Molti hanno cercato di lanciare i propri fondi hedge (speculativi), ma con scarso successo. In Goldman Sachs si poteva speculare meglio, usare più leva finanziaria, accedere a informazioni strategiche sugli investimenti. E i mercati erano più volatili. Da star della finanza a speculatori frustrati: per gli ex “dominatori dell’universo” sono tempi duri. Fortuna che sono riusciti a mettere da parte qualche decina di milioni di euro. Un modo per consolarsi lo troveranno.


La prima banca francese – che in Italia controlla BNL – è nei guai. Gli Stati Uniti minacciano di multare pesantemente BNP Paribas per aver violato le sanzioni contro Iran, Sudan e Cuba dal 2002 al 2009. La multa potrebbe ammontare a 10 miliardi di dollari. BNP avrebbe fatto passare decine di transazioni illegali da e verso paesi colpiti da sanzioni USA, tramite il suo ufficio di New York, nascondendo l’origine del denaro. Da finanziaria la questione sta diventando politica, con la discesa in campo di François Hollande, subito rimbalzato da Barack Obama. Per il Financial Times, le sanzioni potrebbero essere giustificate, ma non dovrebbero essere così alte da mettere a repentaglio la banca e, con essa, il sistema finanziario.


I tassi sono a zero e i titoli di stato sono attrattivi come Giuliano Ferrara in costume da bagno a Fregene. Banche e risparmiatori cercano di spuntare rendimenti interessanti tornando a comprare obbligazioni esoteriche. Dopo i CoCo bond, già oggetto di #bassafinanza2, ecco ora i “PIK bond”, quelli che permettono a un’impresa che li emette di ripagare i creditori con ulteriore debito, invece che con cash, in tempi di crisi. Alla fine, se il debito sul debito non viene ripagato l’investitore resta con il cerino in mano.
Le emissioni di “PIK bond” sono raddoppiate nel 2014, fino a raggiungere i 4,2 miliardi di dollari. Nel 2007, prima dello scoppio della crisi, si era toccato il record di 5,6 miliardi di dollari. In media un “PIK bond” rende il 5,49%, lo 0,50% in più di un normale bond spazzatura (junk). “Tra due anni i PIK bond saranno al primo posto nella lista dei fallimenti”, sussurra un operatore di mercato. Nel frattempo chi vuole incassare incasserà. Sempre che i due anni non diventino due mesi o due giorni.


“Is Europe overbanked?” (L’Europa ha troppe banche?), uno studio effettuato per conto della Banca Centrale Europea, sostiene che il sistema bancario europeo sia troppo pesante. Le banche sono troppe e troppo sbilanciate sulla finanza (a scapito dell’economia reale). Il loro contributo alla crescita è ormai pari a zero. Che fare? “Servono maggiori riserve di capitale e controlli più severi per le banche più grandi”, dice il Comitato Europeo per il Rischio Sistemico della BCE, che è come una specie di centrale di allerta preventiva. I suoi consigli e moniti sono però vincolanti per la politica.


In un periodo in cui i tassi sono a terra la fame di rendimento puo’ fare brutti scherzi. Succede così che gli “investitori della porta accanto”, normalmente prudenti e conservatori, si buttano a pesce sulle obbligazioni spazzatura (junk bond). E visto che la spazzatura circola poco nei mercati (perché è poco liquida), si comprano fondi ETF che copiano l’andamento delle obbligazioni spazzatura. Il volume degli scambi sugli ETF spazzatura è salito del 18% dall’anno scorso. Le banche americane hanno inserito i junk bond nei portafogli dei clienti, in quote che variano dal 5% al 10% del totale investito. Fino a pochi anni fa il loro peso era pari a zero. “Con gli ETF i junk sono più liquidi e meno rischiosi”, dicono i soliti ben informati. Ma pur sempre di monnezza si tratta.


C’è chi il vino se lo beve e chi, invece, preferisce vederlo come bene su cui speculare. L’anno scorso il fondo lussemburghese Nobles Crus – il fondo finanziario sul vino più grande del mondo con 100 milioni di euro di patrimonio – è stato sospeso dalle autorità del Granducato perché avrebbe sopravvalutato molte delle bottiglie di pregio che aveva in portafoglio. Poi però Nobles Crus avrebbe continuato a operare, permettendo ad alcuni investitori di uscire dall’investimento in cambio di bottiglie pregiate delle regioni Bordeaux e Borgogna, per un totale di 37,7 milioni di euro. Il CSSF, la Consob del Lussemburgo, sta indagando. Chi è uscito dal fondo ha perso il 28% e ora non potrà che bere (benissimo) per dimenticare.


La riunificazione delle due Coree è considerata più improbabile che mai, ma che importa? Gli investitori sudcoreani stanno investendo milioni di dollari in fondi azionari che scommettono su imprese che sarebbero favorite dalla fine della divisione tra Corea del Nord e Corea del Sud. Del resto, la stessa presidente della Corea del Sud Park Geun-hye ha definito un’eventuale riunificazione come un “jackpot” economico. Come spesso accade, sul piatto di concreto non c’è nulla. Solo emozioni.


Deutsche Bank e HSBC sono sotto accusa perché sono pronte a finanziare un porto per il commercio del carbone in Australia che, secondo i movimenti ambientalisti, potrebbe distruggere una barriera corallina considerata patrimonio dell’umanità dall’Unesco. “Colpiamo i finanziatori perché progetti come questo non possono continuare senza investimenti”, spiega Greenpeace. In tutto il mondo è un corso la campagna “Divest from fossil fuels” (disinvesti dai combustibili fossili) per convincere banche e fondi a non investire in petrolio e carbone. Imprese come Storebrand (Norvegia) e Rabobank (Olanda) hanno già aderito. Starebbe valutando l’adesione anche il Fondo Sovrano Norvegese: il più grande al mondo, con 840 miliardi di dollari investiti.


Non possiamo chiudere bassafinanza #3 senza un riferimento al caso tutto nostrano di Carige. Una truffa milionaria con sospetto riciclaggio di denaro nella quale sarebbe stato coinvolto l’ex presidente della banca e vicepresidente dell’Abi Giovanni Berneschi. Sequestrati 21 milioni di profitti illeciti da operazioni immobiliari gonfiate (dal 2006 al 2009) comodamente parcheggiati nei soliti conti svizzeri.