#bassafinanza 12, speciale referendum: prepariamoci a un mese crudele
“Aprile è il mese più crudele”, scriveva T.S. Eliot. E crudeli sono, in effetti, le scelte che bisogna fare: diamo fiducia ancora per una settimana ...
“Aprile è il mese più crudele”, scriveva T.S. Eliot. E crudeli sono, in effetti, le scelte che bisogna fare: diamo fiducia ancora per una settimana all’acero giapponese che ha passato l’inverno in soggiorno e non dà più segni di vita o lo buttiamo nell’umido, nonostante sia ormai completamente secco? E i fiori? Optiamo per le solite, prevedibilissime primule o trasgrediamo con lobelie e gelsomini rampicanti? Saranno giorni di decisioni, più o meno ponderate, e quindi di ripensamenti, sensi di colpa, profondi rimorsi.
E poi c’è il referendum, dove in realtà abbiamo già deciso da tempo che voteremo SI per dire NO, come fanno i bulgari. E se magari qualcuno non si sentiva abbastanza motivato a uscire di casa per recarsi in qualche vecchia scuola elementare o superiore a votare nella stessa stanza in cui ha imparato la tabellina del 3 o limonato con la più bella della classe (in presenza di testimoni), ecco che ci si mette la procura di Potenza a tirar fuori una bella inchiesta sul petrolio in Basilicata. E a seguire quella di Milano, con l’indagine sulla sospetta megatangente Eni in Nigeria che si arricchisce di nuovi risvolti.
Sì, è vero che il quesito referendario è molto specifico e riguarda solamente il prolungamento o meno di un tipo ben preciso di concessioni per l’estrazione di petrolio e gas nel mediterraneo. Ma il voto ha una forte valenza politica, emotiva, simbolica. Ci permette di dire che siamo stufi di politiche energetiche e dei trasporti improvvisate e ancorate alle fonti fossili.
Una volta messa la croce sul SI dovremmo però cominciare a chiederci come si finanziano i giganti mondiali del petrolio, del gas e del carbone perché, come ripetiamo spesso in questo blog, è il denaro che dà la direzione alle decisioni economiche e, sempre di più, a quelle politiche. E anche noi, con le nostre scelte di risparmio e investimento possiamo fare la nostra parte. Come? In questo numero speciale di #bassafinanza trovate un paio di consigli, con la consueta crudeltà. Perché fare i buoni quando si parla di finanza, petrolio, carbone, lobby internazionali e paradisi fiscali ci risulta sempre più difficile.
Oltre a votare SI, chiediamoci chi finanzia le trivelle. #referendum17aprile #bassafinanza @ncims https://t.co/YIpefgtBsE
— Mauro Meggiolaro (@meggio_m) April 11, 2016
Il colosso petrolifero ENI, il cui maggiore azionista (con il 30,10%) è lo Stato Italiano, controlla 76 piattaforme sulle 92 totali che rischiano di chiudere se vincerà il SI al referendum del 17 aprile. Nel settembre del 2015 ENI ha emesso obbligazioni per un totale di 750 milioni di euro per finanziare le sue attività. Erano destinate a investitori istituzionali (banche, assicurazioni, fondi, ecc..). Le banche incaricate di vendere le obbligazioni (lead manager) erano Banca IMI (Intesa Sanpaolo), Deutsche Bank, Hsbc, RBS e Société Générale. Probabilmente non siete clienti di queste banche, in gran parte straniere. Ma è possibile che qualche obbligazione sia finita in un fondo di investimento italiano in cui avete messo i vostri risparmi. Il codice del titolo è XS1292988984. Cercatelo con la funzione CTRL-F o cmd-F nel PDF del rendiconto annuale del fondo. O chiedete al promotore o alla banca che ve l’ha venduto.
Ma le trivelle chi le finanzia? Votiamo sì ma togliamo anche i soldi da @UniCredit_PR @intesasanpaolo #bassafinanza https://t.co/5rdM7QV3fI
— Mauro Meggiolaro (@meggio_m) April 11, 2016
Altri due codici da controllare: Eni TV 2011/2017 e Eni TF 2011/201, due obbligazioni per un totale di 1,35 miliardi di euro che Eni ha emesso nell’ottobre del 2011 per la gioia, stavolta, di piccoli e grandi risparmiatori. Responsabili del collocamento erano Banca Imi (Intesa Sanpaolo) e Unicredit. Ma le obbligazioni le hanno vendute un po’ tutti: da Ubi Banca a Unipol, dalla Cassa di Risparmio di Fermo al Banco Popolare, fino alla BCC dell’Alto Reno.
Senza banche le trivelle sarebbero ferme. E tu, che banca hai scelto? https://t.co/3FuE3Hey64 #bassafinanza #referendum17aprile @ncims
— Mauro Meggiolaro (@meggio_m) April 11, 2016
15 delle 92 piattaforme che rischiano di chiudere con la vittoria del SI appartengono alla società Edison, un tempo italiana e oggi completamente in mano ai francesi di EDF. Il 14 novembre del 2014 Edison ha ottenuto un finanziamento di 500 milioni di euro da un gruppo di banche composto, tra gli altri, da Banca IMI (Intesa Sanpaolo), Banca Nazionale del Lavoro/BNP Paribas e Intesa Sanpaolo. Se hai un deposito presso una di queste banche, una piccola parte dei 500 milioni di euro che garantiranno a Edison una maggiore “elasticità finanziaria” potrebbero averla presa in prestito dal tuo conto. Quindi che cosa aspetti a spostare i tuoi soldi in una banca che non fa affari con il petrolio?
VOTA SI ma vendi il tuo fondo @BancaMediolanum che investe 54 milioni di euro in @eni! @ncims #bassafinanza pic.twitter.com/l6qMTu3iUl
— Mauro Meggiolaro (@meggio_m) April 11, 2016
Buona parte dei fondi comuni di investimento italiani – tra i prodotti finanziari più amati dalle famiglie – investe in azioni ed obbligazioni di Eni. Solo per fare un esempio, il Fondo Mediolanum Flessibile Italia investiva da solo 54,51 milioni di euro in azioni Eni al 30 dicembre del 2015. Come si fa a capire se si è comprato un fondo di investimento che finanzia le trivelle? Basta chiedere alla propria banca o promotore finanziario il “Rendiconto di gestione al 30 dicembre” e cercare tra i “primi cinquanta strumenti finanziari in portafoglio”, i titoli di Eni, Edison, BP, Exxon, Total, Shell, ecc.. I rendiconti, con un po’ di pazienza, si trovano anche online. E lì basta scaricare il PDF e cercare con CTRL-F o cmd-F le parole Eni, Edison ecc.. Fidatevi: è più facile di quanto sembri a prima vista.
3.400 miliardi di $ disinvestiti da fonti fossili nel mondo. In Italia manco un centesimo. #bassafinanza @ncims pic.twitter.com/kmnFdSgd9d
— Mauro Meggiolaro (@meggio_m) April 11, 2016
A livello internazionale 515 istituzioni (gruppi religiosi, fondazioni, fondi pensione, organizzazioni governative, NGO, università e imprese private) hanno deciso di disinvestire un totale di 3.400 miliardi di dollari dalle fonti fossili, togliendo ai trivellatori di tutto il mondo la linfa vitale che facilita le loro strategie di sviluppo (link: ). Tra le 515 istituzioni nessuna ha sede in Italia. È ora di chiedere ai nostri amici missionari, ai fondi pensione negoziali (Cometa, Fonchim, ecc.) o a chi gestisce le tesorerie di grandi NGO di risvegliarsi dal loro profondo e secolare torpore.
@eni controlla 83% degli impianti che chiuderebbero con il SI. Stato Parallelo. #bassafinanza @ncims @andreagreco71 https://t.co/9pQ1EP1vuF
— Mauro Meggiolaro (@meggio_m) April 11, 2016
Visto che ENI è il principale interessato al referendum di domenica, quale migliore occasione per conoscere meglio la più grande impresa italiana? Dal 2008 la Fondazione di Banca Etica partecipa all’assemblea degli azionisti (come azionista critico) e fa domande su rispetto dell’ambiente, corruzione, paradisi fiscali e bonus esorbitanti pagati ai manager. Si trova tutto qui: http://www.fcre.it/aziona-critico. E poi ci sono giornalisti competenti e coraggiosi, come Andrea Greco e Giuseppe Oddo, che hanno appena pubblicato il libro “Lo Stato Parallelo”. La prima inchiesta sull’Eni tra politica, servizi segreti, scandali finanziari e nuove guerre. Lettura obbligatoria per tutti i cittadini che vogliano capire i costi sociali, ambientali e politici legati all’estrazione di petrolio e gas.