#bassafinanza 19: tante bolle, pronte a scoppiare. Tutte insieme.
Da anni sono abbonato all’Economist perché è un giornale che crede nel liberalismo economico, politico, sociale e io ho un debole per le utopie. La ...
Da anni sono abbonato all’Economist perché è un giornale che crede nel liberalismo economico, politico, sociale e io ho un debole per le utopie. La concorrenza nel libero mercato, la mano invisibile dello Stato che si ritira perché tutto si regola a dovere con la legge della domanda e dell’offerta e del costo opportunità, la mobilità sociale in base ai meriti: sono dei sogni bellissimi. Ed è bellissimo leggere gli articoli dell’Economist (gli unici al mondo a non essere firmati «per non far prevalere gli individualismi sullo spirito di gruppo della redazione») che ogni volta si incazzano come innamorati traditi di fresco, perché la tal impresa sfrutta posizioni di monopolio o perché si è creato di nuovo (ossignore che vergogna!) un cartello tra i principali concorrenti nel settore dei detersivi liquidi, delle salsicce, della birra o dei conti correnti bancari. L’Economist, cornuto e mazziato dalla realtà dei fatti, continua però a credere alla grande utopia liberale. E per questo lo rispetto e rispetto i suoi giornalisti, tranne quando scrivono luride marchette per ossequiare la multinazionale di turno o la politica estera statunitense (non sempre comunque e in ogni caso non ora). Ah, e giusto perché non ci stava nelle parentesi precedenti, l’Economist è controllato al 43,4% dalla Exor SA, la holding lussemburghese di casa Agnelli. Bellissimo, e lo puntualizza sempre se scrive articoli sul mercato automobilistico.
Ecco, dopo questa lunga premessa, il 18 marzo l’Economist è uscito con una copertina con tante mongolfiere che prendono il volo. La mongolfiera cinese, statunitense, indiana, europea, cinese, britannica, giapponese, addirittura brasiliana (anche se avvolta dalle nuvole della crisi e della corruzione). «In salita. La sorprendente crescita dell’economia mondiale», era il titolo. Da quando ho visto quella copertina mi sento meglio, mi sento anch’io in crescita, anche se ultimamente mi sta crescendo – e in modo preoccupante e senza precedenti – solo il girovita.
In questo numero di bassafinanza, come sempre, romperemo un po’ di uova nel paniere, anche e soprattutto in quello dell’Economist. E lo faremo prima di tutto con uno dei miei eretici finanziari preferiti su twitter: l’analista economico franco-americano Jesse Colombo, che sul suo blog The Bubble Bubble (“la bolla della bolla”) ci spiega che l’attuale ripresa economica in realtà è una ripresa a bolle (bubblecovery = bubble + recovery). Che scoppieranno tutte, o solo alcune, una dopo l’altra o tutte insieme. Una, dieci, cento, mille bolle, che volano e volano e volano e danzano su grappoli di nuvole.
Ma alla fine, ahimè, si schiantano. Buona lettura.
Today's bubbles are far more dangerous AND numerous than the bubbles that caused the 2008 Crash. Learn more: https://t.co/H3Mb71Iae2 pic.twitter.com/JlBEMYoDKZ
— Jesse Colombo (@TheBubbleBubble) April 4, 2017
Ecco, vi presento Jesse (@TheBubbleBubble). Pochi giorni fa ci ha ricordato che le bolle finanziarie che potrebbero scoppiare oggi sono molto più dannose e numerose di quelle che hanno causato il crash del 2008, del quale stiamo ancora patendo le conseguenze. Quali sono i mercati attualmente in bolla per Jesse Colombo? Quello delle azioni negli Stati Uniti, poi c’è la bolla immobiliare USA 2.0, quella delle start-up tecnologiche, dei derivati, delle commodities e ultima, ma non meno importante, quella dell’arte, del vino e dei superalcolici. Aspettiamo che scoppi e poi raccattiamo bottiglie a prezzi da sogno.
#Profumo d'Intesa (con #Renzi) –
Ma tu capisci che cosa ne può sapere un banchiere di elicotteri e missili? https://t.co/XTSCQFKidl
— Giampaolo Spinato – il Gps' (@GPS_SPINATO) March 27, 2017
Alessandro Profumo, soprannominato “Arrogance” (ma è tutta invidia), è uscito da Unicredit nel 2010 con una liquidazione da 40 milioni di euro. Per guadagnare una cifra del genere (lorda) un italiano con uno stipendio medio-alto impiegherebbe circa 1.000 anni. Dopo Unicredit è passato al Monte dei Paschi e ora lo attende un posto da amministratore delegato in Leonardo-Finmeccanica, la società italiana che produce soprattutto armi. Nel 2007 aveva firmato con una serie di manager, intellettuali e giornalisti un “patto generazionale”, promettendo che a 60 anni si sarebbe ritirato per lasciare spazio alle giovani generazioni. Il 17 febbraio scorso Profumo ha compiuto 60 anni, ma a togliersi dai piedi non ci pensa minimamente. Il 22 marzo è stato rinviato a giudizio dal tribunale di Lagonegro (Basilicata) in seguito alla denuncia di un imprenditore che accusa Monte dei Paschi, di cui Profumo era presidente, di avergli prestato denaro a tassi usurari. Se dovesse essere condannato, scrive La Verità, dovrebbe dimettersi da Finmeccanica. E se mia nonna avesse le ruote sarebbe già a Opicina.
Record di perdite. E allora? Credit Suisse aumenta i bonus dei manager. https://t.co/HXDf8wD0jZ via @FT #bassafinanza @ncims
— Mauro Meggiolaro (@meggio_m) March 25, 2017
Credit Suisse, la seconda banca svizzera, va controcorrente: mentre le maggiori banche europee riducono i bonus per i manager, il suo consiglio di amministrazione decide di aumentarli del 6%, nonostante una perdita di 2,5 miliardi di euro nel 2016. Per Urs Rohner, il presidente della banca, il compenso annuale complessivo è salito addirittura del 23% fino a 3,76 milioni di euro. Champagne! Intanto, il 31 marzo scorso, si è saputo che Credit Suisse sarebbe al centro di un caso di evasione fiscale internazionale che coinvolgerebbe 55mila conti correnti della banca. Ad indagare questa volta sono le autorità olandesi che avrebbero già congelato «documenti amministrativi, conti correnti bancari, proprietà immobiliari, gioielli, un auto di lusso, tele di valore e anche lingotti d’oro».
Norway’s oil fund returns crimped by ethical stance https://t.co/5ZcEP80YJe via @FT La domanda é: la sostenibilità è sostenibile?
— Vitaliano D'Angerio (@vdangerio) March 22, 2017
Poche settimane fa è uscito un rapporto del governo norvegese che analizza nel dettaglio i rendimenti e rischi del fondo sovrano della Norvegia, il più grande al mondo con 864 miliardi di euro investiti. Il fondo, scrive il Financial Times, avrebbe perso «miliardi di dollari di guadagni a causa dell’applicazione di criteri etici». Abbiamo controllato i dati e ci siamo accorti che il quotidiano salmonato della city londinese questa volta l’ha fatta fuori dal vaso. È vero, le esclusioni di titoli basate su tabacco e armi hanno fatto perdere al fondo l’1,9% in 11 anni, lo 0,17% all’anno (si veda la tabella tratta dal rapporto del governo norvegese). In compenso, quelle basate sulle condotte non etiche delle imprese (e non sulla produzione di determinati beni come armi o tabacco) hanno fatto guadagnare lo 0,80%. Il risultato netto è -1,11% in 11 anni, lo 0,111% all’anno (che tiene conto però della capitalizzazione dei rendimenti). Una percentuale irrisoria, che buona parte dei fondi di investimento erode con commissioni di gestione, performance, ecc.. E poi vogliamo parlare delle centinaia di fondi che investono in tutto, dalle mine antiuomo al gioco d’azzardo, dal tabacco alle sabbie bituminose e ciononostante fanno molto peggio (molto di più dello 0,111%) dei mercati nei quali investono. A questo proposito l’annuale rapporto di Mediobanca parla chiaro.
Mps, Deutsche Bank e la Vigilanza Bce «flessibile» sui derivati https://t.co/34KkBkKP2X pic.twitter.com/CF3sO2KB4U
— IlSole24ORE (@sole24ore) March 17, 2017
Ecco un’inchiesta del Sole 24 Ore che finalmente mette nero su bianco (anzi su rosa salmonato) il trattamento di favore di Deutsche Bank da parte della Banca Centrale Europea rispetto a un altro grande malato del sistema bancario europeo: Monte dei Paschi di Siena. In estrema sintesi, Deutsche Bank è gonfia di prodotti finanziari derivati fino a scoppiare ma gli esperti della BCE non sono in grado di valutarli perché sono troppo complessi e richiederebbero troppo tempo per essere “smontati”. Mentre per Monte dei Paschi, travolta dai crediti deteriorati, l’esame è più semplice visto che qualunque ispettore sa valutare i crediti di una banca. Quindi, alla fine, Deutsche Bank passa gli stress test perché nessuno è in grado di chiederle il capitolo che non ha studiato. Mentre Monte Paschi viene bocciata, perché le voci che mettono in crisi il bilancio sono solo dei banalissimi crediti, che tutti sono in grado di valutare.
Foto: koocbor via Foter.com / CC BY-SA