La blacklist dei paradisi fiscali: la UE prende all’amo i pesci piccoli e ignora i grandi
17 paesi nella blacklist Ue, 47 a rischio di entrarvi. La Ue non esiti a includere nella lista nera chi non rispetterà gli impegni assunti.
Il 5 dicembre i Ministri delle Finanze dell’Unione europea hanno adottato la prima vera blacklist sui paradisi fiscali. Un elenco che comprende solo 17 paesi. Assieme è stata resa pubblica anche una “lista grigia”, in cui la Ue ha inserito 47 paesi che ad oggi non rispettano pienamente i criteri europei di equità e trasparenza fiscale, ma che hanno assunto l’impegno di adeguarsi entro precisi termini temporali.
Se i Paesi della blacklist per la UE sono 17, un’analisi indipendente delle 92 giurisdizioni extra-UE scrutinate dall’Unione eseguita da Oxfam applicando i macro-criteri di blacklisting (trasparenza, buona governance fiscale e grado di partecipazione a fora/processi internazionali in materia fiscale) annunciati dall’UE a novembre 2016 ha stabilito che almeno 35 Paesi meriterebbero di essere presenti nella lista nera, se i criteri fossero applicati in modo obiettivo e senza condizionamenti politici interni ed esterni all’Unione.
Nel rapporto che presenta i risultati di questa analisi Oxfam ha ricordato anche un vizio originale del processo: il blacklisting non riguarda i Paesi Ue. Eppure almeno quattro tra gli Stati Membri dell’Unione (Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Malta) facilitano, attraverso disposizioni normative nazionali, un trasferimento massiccio di utili d’impresa realizzati in altri Paesi UE ed extra-UE a medio-alta fiscalità societaria. Tali paesi non risponderebbero al principio di equità fiscale nell’interpretazione di Oxfam del relativo criterio Ue e meriterebbero un posto in lista. Il rapporto formula anche proposte di misure sanzionatorie nei confronti delle giurisdizioni incluse nella lista tra cui: il ricorso alle ritenute alla fonte, l’implementazione di regole più stringenti sulle società controllate estere, l’indeducibilità dei costi come quelli relativi ai pagamenti delle royalties, limitazioni alle esenzioni fiscali per le plusvalenze e l’introduzione di limitazioni all’accesso a fondi comunitari e a contratti di appalto, investimento e partenariato per imprese multinazionali con presenza ‘meramente fiscale’ nei paradisi fiscali inclusi nella lista nera.
Le evidenze riscontrate da Oxfam sono visualizzabili su una mappa interattiva.
Commentando la blacklist adottata dalla UE, Aurore Chardonnet, policy advisor di Oxfam sui dossier di giustizia fiscale ha affermato: «Avremmo preferito vedere sin da subito una blacklist UE più lunga e comprensiva dei più noti paradisi fiscali al mondo. Sebbene la pressione esercitata dalla UE, sembra abbia obbligato alcuni dei più famigerati paesi-paradisi – come Svizzera, Cayman e Bermuda – a realizzare le riforme necessarie, è indispensabile che gli impegni assunti da questi paesi attualmente inseriti nella lista grigia, siano rispettati entro i termini stabiliti e quindi resi pubblici. In caso contrario, la UE non deve esitare a includerli nella blacklist».
L’UE si è impegnata nel processo di blacklisting sulla scia di scandali come Panama Papers e Lux Leaks, che hanno rivelato ai cittadini come i paradisi fiscali consentano a imprese multinazionali e individui facoltosi di eludere il fisco per miliardi di euro.
«Per porre fine agli abusi fiscali perpetrati, su scala internazionale, da individui facoltosi e grandi corporation – aha aggiunto Chardonnet – è cruciale che gli Stati membri adottino in modo coordinato sanzioni difensive efficaci, fiscali e non, contro i Paesi inseriti nella lista nera». Un processo che, com’è noto, non ha riguardato dal principio i Paesi Ue, sebbene alcuni Stati membri occupino un ruolo di primo piano nella corsa globale al ribasso sulla fiscalità d’impresa. «Nonostante il passo in avanti, non possiamo dimenticare il vizio originale del processo di blacklisting – conclude Chardonnet – i Paesi Ue non sono stati esaminati. Eppure almeno 4 Stati membri dell’Unione consentono oggi a grandi corporation di minimizzare il proprio carico fiscale, con considerevole drenaggio di risorse erariali dalle economie europee e dai paesi in via di sviluppo».
I negoziati si sono svolti a porte chiuse e tutti i paesi europei coinvolti nel processo hanno finora rifiutato di rilasciare alcuna dichiarazione in merito. Inoltre, il processo è stato affidato a uno degli organismi più segreti di Bruxelles, il cosiddetto Gruppo del Codice di Condotta, che insiste a mantenere un profilo di confidenzialità sui propri lavori.
L’86% dei cittadini europei è favorevole a “regole più severe sull’elusione fiscale e sui paradisi fiscali”, mentre l’8% si ritiene “contrario all’idea”, secondo quanto riportato dall’Eurobarometro standard, pubblicato a luglio 2017. Il sondaggio dell’Istituto Demopolis condotto per Oxfam Italia nel mese di ottobre 2016 ha rivelato come l’83% degli italiani sia favorevole all’implementazione di misure sanzionatorie efficaci nei confronti dei paradisi fiscali.
L’evasione e l’elusione fiscale costano ai Paesi in via di sviluppo 170 miliardi di dollari l’anno: 70 miliardi sono riconducibili agli abusi perpetrati da individui super ricchi e 100 alle pratiche di abuso da parte delle grandi corporation.