A Bonn i negoziati sul clima. I principali fatti giorno per giorno
A Bonn il mondo è riunito per i principali lavori che dovranno facilitare lo svolgimento della Cop30 sul clima prevista a novembre in Brasile
Da lunedì 16 giugno i delegati di quasi 200 nazioni sono riuniti a Bonn, in Germania, per la 62esima sessione degli “organismi sussidiari” (SB62) della Convenzione quadro sul clima delle Nazioni Unite, la Unfccc. Si tratta, in termini più semplici, dei più importanti lavori preparatori in vista della trentesima Conferenza mondiale sul clima, la Cop30 che si terrà nel mese di novembre a Belém, in Brasile. E dalla quale dipenderà buona parte delle sorti del pianeta Terra.
Per conoscere nello specifico in cosa consiste la SB62 vi invitiamo a leggere questa analisi di Valori.it. In questo articolo vi proponiamo una sintesi di quanto sta avvenendo a Bonn.
Giorni 8 e 9 – 25 e 26 giugno – Una conclusione tra mille difficoltà, sottolineature, precisazioni, punti in sospeso
Mentre la SB62 si appresta a giungere al suo termine, sono ancora molte le questioni prive di soluzione. Dal programma sulla mitigazione all’attuazione del Global Stocktake, fino all’Obiettivo globale sull’adattamento. È desolante constatare come il mondo continui a litigare e a vedere i negoziati sul clima non come un’opportunità per cooperare verso un obiettivo comune, quanto piuttosto per proteggere i propri interessi tirando la coperta (sempre più corta) il più possibile dalla propria parte.
Durante la giornata numerose sessioni sono state sospese a più riprese, a conferma della distanza tra le parti nei gruppi di lavoro. Il tentativo è stato di passare a discussioni informali nel tentativo di superare le impasse.
Le ultime ore hanno visto i delegati chiamati anche a rispondere alle evidenze contenute nell’ultimo rapporto annuale dell’Organizzazione meteorologica mondiale, che ha lanciato nuovi allarmi sulla crescita della temperatura media globale.
Discussioni interminabili si sono registrate sull’adattamento, con i delegati costretti a lavorare fino a tarda sera, giungendo alla fine a un testo di compromesso sugli indicatori.
Nelle conclusioni, i documenti sono colmi di frasi che lasciano intendere quanta distanza ci sia ancora tra i governi: fioccano locuzioni come «comprese opinioni divergenti», «non ancora concordato», «che non riflettono un consenso», «che non appaiono esaustivi». O ancora «privi di status formale», «che saranno soggetti a revisione», «il che non impedirà alle parti di esprimere ulteriori valutazioni». Segno che il lavoro alla Cop30 in Brasile si annuncia faticoso.
In sintesi, nelle dichiarazioni conclusive si è ribadita la necessità di presentare nuove promesse di riduzione delle emissioni allineate al limite degli 1,5 gradi centigradi di riscaldamento globale; di eliminare gradualmente l’uso di combustibili fossili e migliorare l’accesso alle energie rinnovabili. Non è mancato chi ha sottolineato come siano inaccettabili gli attacchi alla scienza, ed è stata sottolineata ancora una volta l’urgenza di lavorare sull’adattamento agli impatti dei cambiamenti climatici. Citata infine a più riprese la necessità di concordare una tabella di marcia per i 1.300 miliardi di dollari necessari per la lotta la crisi climatica.
Giorni 6, 7 e 8 – 23, 24 e 25 giugno – Adattamento, mitigazione, finanziamenti: i negoziati sono ancora lunghi
Nelle giornate del 23 e del 24 giugno sono proseguiti i lavori sull’adattamento, con i delegati che hanno riflettuto sui possibili indicatori per monitorare i progressi nell’ambito di ciò che è indicato dall’Accordo di Parigi. Sarà poi alla Cop30 di Belém che questo lavoro dovrebbe essere finalizzato dai delegati. I negoziati sono apparsi però particolarmente complicate, con parecchie ore di discussione tra le parti.
A far discutere è stato poi ancora l’articolo 9.1 dello stesso Accordo, ovvero la fornitura di fondi per il clima da parte delle nazioni più ricche della Terra. I Paesi in via di sviluppo hanno ribadito come quelli attualmente stanziato siano inadeguati, sottolineando come le perdite e i danni subiti siano in continuo aumento, ma stigmatizzando anche i prestiti non agevolati (che di fatto fanno guadagnare ancora una volta gli Stati ricchi e maggiormente responsabili delle emissioni di gas ad effetto serra). Oltre al quantum, inoltre, si discute su un aspetto procedurale ma anche sostanziale: se considerare l’articolo 9.1 a sé stante oppure nel quadro di altre disposizioni finanziarie.
Complessi anche i negoziati sulla mitigazione: la possibilità di creare una piattaforma digitale divide, e alcuni delegati non hanno nascosto la loro frustrazione per il fatto che le difficoltà hanno reso impossibile affrontare una serie di temi con spazi e tempi adeguati.
Il segretario esecutivo dell’Unfccc, intanto, ha esortato i Paesi dell’Europa occidentale a definire una candidatura per ospitare la 31esima Conferenza mondiale sul clima, la Cop31 prevista il prossimo anno, e per la quale per ora si sono candidati solo Australia e Turchia.
Passi avanti sono stati registrati invece sulle questioni di genere: a Belém si potrebbe adottare un nuovo piano d’azione sul tema.
Il Brasile, che ospiterà la Cop30, ha ribadito l’invito a tutte le parti a presentare ambiziose promesse di riduzione delle emissioni, a creare uno spazio dedicato per discuterne il relativo rapporto di sintesi, e a sviluppare azioni concrete e una roadmap per i finanziamenti climatici da 1.300 miliardi di dollari.
Giorno 5, 21 giugno – I litigi sulla cattura e stoccaggio di CO2 e la celebrazione dei dieci anni dell’Accordo di Parigi
A Bonn si è concluso l’ultimo giorno di lavori della prima settimana della SB62. È stata l’occasione per presentare i primi Biennial transparency reports (Btr). Si tratta di documenti che i Paesi devono fornire ogni due anni, al fine di monitorare i progressi concreti effettuati su ciascuna Ndc, gli sviluppi e i trasferimenti di tecnologie, le necessità di supporto per raggiungere i risultati attesi. Insomma, dei quadri completi sull’alone climatica per ciascuna nazione.
A Bonn si è tenuta la prima riunione della “Facilitative, multilateral consideration of progress” e i primi Paesi a presentare i risultati raggiunti nella lotta ai cambiamenti climatici in questo nuovo formato sono stati Andorra, Guyana e Panama.
La giornata è stata poi occasione di discussione sul miglioramento dell’accesso della società civile ai negoziati. Si è quindi parlato (e ci si è scontati) sulle tecnologie per la rimozione della CO2 dall’atmosfera, la cosiddetta Ccs, Carbon capture and storage, sostenuta da alcune nazioni come strumento potenzialmente efficace ma che, da un lato, ancora è lontano dall’essere sviluppato in modo sufficiente da risultare utile, dall’altro rischia di diventare una “scusa” per non effettuare la necessaria transizione ecologica. Non è un caso se è proprio il Gruppo arabo a insistere sullo sviluppo della Ccs.
Nel corso di un evento speciale, poi si è celebrato il decennale dall’adozione dell’Accordo di Parigi. Il segretario esecutivo dell’Unfccc, Simon Stiell, ha ricordato che senza di esso il mondo oggi sarebbe diretto a un riscaldamento climatico di 5 gradi centigradi, rispetto ai livelli pre-industriali. E che, sebbene ancora oggi gli sforzi dei governi siano insufficienti, si è per lo meno consentito di indirizzare grandi investimenti sulle energie rinnovabili.
Giorno 4, 20 giugno – Gli osservatori chiedono regole ad hoc sulla presenza di lobbisti alle Cop
I negoziati non sono facili. A pesare sono i numerosi interessi particolari, una situazione geopolitica crescente e le restrizioni di bilancio alle quali molti governi devono fare fronte. Tutto ciò si sta percependo nei colloqui in corso a Bonn. In buona sostanza, i Paesi hanno idee decisamente diverse su ciò che dovrà essere discusso alla prossima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite, la Cop30 prevista a novembre a Belém, in Brasile.
Il gruppo dei “Paesi in via di sviluppo che condividono le stesse idee” (“Like-minded group of Developing countries”, Lmdc) hanno chiesto assieme al Gruppo arabo che il compromesso faticosamente raggiunto nelle prime 36 ore di negoziati in Germania non si estenda automaticamente anche alla Cop30. Parliamo dell’ordine del giorno sul quale a lungo non si è riusciti a trovare un punto d’incontro.
Si è parlato poi ancora di promesse di riduzione (Ndc): l’Unione europea ha promesso che rispetterà la scadenza del 1 settembre per la consegna dei propri documenti. La Cina ha detto che lo farà «prima dell’inizio della Cop», lasciando intendere che potrebbe prendersi un po’ più di tempo.
Un tema importante emerso nel quarto giorno è quello legato poi alle lobby. La presenza massiccia di personale portatore di interessi di vari settori economici – dalle fonti fossili all’aviazione, dai trasporti marittimi all’agroindustria – ha suscitato aspre polemiche negli ultimi anni. A Bonn numerosi osservatori hanno chiesto l’adozione di misure ad hoc per regolamentare la questione e far emergere conflitti di interessi. Un’ipotesi è quella di chiedere a ciascun delegato di dichiarare se si tratti di persona affiliata o che abbia ricevuto a qualunque titolo fondi da determinate industrie. C’è da immaginare che sul tema le discussioni saranno però lunghe…
Giorno 3, 19 giugno – Le nuove promesse di riduzione delle emissioni dovranno arrivare all’Unfccc entro il 1 settembre
Senza finanziamenti, si sa, la lotta contro i cambiamenti climatici non si può fare. Non è possibile superare lo sfruttamento delle fonti fossili, non è possibile adattarsi agli impatti del riscaldamento globale e non è possibile garantire una transizione giusta. Per questo da anni la questione di fondi, dei trasferimenti e degli stanziamenti è centrale in ogni negoziato sul clima.
La SB62 di Bonn non fa eccezione. E sebbene il tema non sia centrale nel lavoro degli Organismi sussidiari dell’Unfccc, lo diventa nelle numerose occasioni di dialogo che l’evento offre. Giovedì dai Paesi in via di sviluppo è giunta (nuovamente) la richiesta di semplificare le procedure per accedere al Fondo mondiale per l’ambiente (Global environment facility).
Si è parlato poi dei Biennial transparency reports (Btr). Si tratta di documenti che i Paesi devono fornire ogni due anni, al fine di monitorare i progressi concreti effettuati su ciascuna Ndc, gli sviluppi e i trasferimenti di tecnologie, le necessità di supporto per raggiungere i risultati attesi. Insomma, dei quadri completi sull’azione climatica per ciascuna nazione.
Si continua a discutere, e sembra in modo piuttosto fruttuoso, sull’Obiettivo mondiale in materia di adattamento (Global goal on adaptation, Gga) sancito dall’Accordo di Parigi. Occorre in particolare decidere in che modo garantire che il Fondo per l’adattamento. Durante alcune consultazioni informali le parti sono apparse piuttosto d’accordo sulla necessità di nuove disposizioni sull’amministrazione del Fondo stesso, mentre il Gruppo africano ha insistito sulla necessità di interrompere gli accordi attuali con la Banca mondiale, che lo gestisce, e scriverne di nuovi.
Per quanto riguarda infine le promesse di riduzione delle emissioni (Nationally determined contributions) la presidenza della Cop30 di Belém ha esortato tutti i governi a consegnare i nuovi documenti entro il 1 settembre.
Giorno 3, 18 giugno – Entrano nel vivo i lavori, in un clima costruttivo ma con ampie divergenze
Dopo le difficoltà dei primi due giorni, i lavori alla SB62 di Bonn sono apparsi più costruttivi nella giornata di mercoledì 18 giugno. Numerose le questioni delle quali si è discusso: sono stati avviati colloqui informali sull’Obiettivo mondiale in materia di adattamento (Global goal on adaptation, Gga) stabilito dall’Accordo di Parigi. I delegati si sono detti d’accordo sulla necessità di affinare la lista di circa cento indicatori necessari per monitorare i passi avanti concreti effettuati sul tema, ma sono state numerose le prese di posizione anche diametralmente opposte da parte dei vari gruppi. Ciò nonostante, sembra si sia riusciti a convergere su un elenco condiviso. Colloqui informali sono stati effettuati poi sui Piani nazionali di adattamento e su questioni relative ai Paesi meno sviluppati.
Per quanto riguarda la mitigazione dei cambiamenti climatici, il Gruppo Aosis delle piccole nazioni insulari ha sottolineato come il Programma di lavoro non rifletta ancora la necessaria ambizione e ha ribadito che occorre agire con estrema urgenza. In merito alle promesse di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra (Nationally determined contributions, Ndc), il segretariato generale dell’Unfccc ha sottolineato alcuni passi avanti sui cosiddetti “approcci cooperativi” che dovrebbero facilitare il miglioramento degli obiettivi.
Si è parlato poi della questione del loss and damage, ovvero le perdite e i danni subiti dai paesi colpiti da eventi dipesi dai cambiamenti climatici, ed è stato ripreso il punto relativo ai trasferimenti di denaro dal Nord al Sud del mondo, con il presidente della Cop29 di Baku che ha citato la necessità di mobilitare 1.300 miliardi di dollari. Le dichiarazioni dei gruppi G77+Cina, Aosis, Paesi arabi, africani e dell’Ue sembrano però riflettere le stesse difficoltà che hanno portato in Azerbaigian a un accordo al ribasso, deludente per i Paesi più vulnerabili di fronte agli impatti del riscaldamento globale.
Infine, si è parlato di implementazione dei risultati del Global Stocktake approvato alla Cop28 di Dubai. Anche in questo caso si sono palesate distinzioni tra i vari gruppi, in particolare sul “dialogo UAE” che dovrebbe dare corpo al famoso “transitioning away from fossil fuels” deciso negli Emirati Arabi Uniti nel 2023. Una formula contestata poiché giudicata da molti troppo vaga, generica e poco vincolante nell’ottica di un’uscita dallo sfruttamento delle fonti fossili.
Giorno 2, 17 giugno – Approvati con 30 ore di ritardo gli ordini del giorno
I contrastatissimi ordini del giorno dei lavori della SB62 sono stati alla fine approvati alla fine del pomeriggio di martedì, consentendo l’apertura dei lavori dell’Organismo sussidiario per l’implementazione (SBI) e dell’Organismo di consulenza scientifica e tecnologica (SBSTA). È stato trovato un accordo provvisorio su queste basi: si terranno consultazioni specifiche sull’articolo 9.1 dell’Accordo di Parigi impegno dei Paesi sviluppati a fornire un finanziamento) e ci si è impegnati a stendere un rapporto su questi colloqui alla SB63 del prossimo anno. Come chiesto dai Paesi in via di sviluppo, verrà discusso il programma di lavoro per una transizione giusta.
Ciò ha permesso di approvare un ordine del giorno, con però il gruppo G77+Cina che ha sottolineato ancora una volta l’obbligo in capo dai Paesi sviluppati di aumentare in modo significativo i finanziamenti pubblici per la mitigazione dei cambiamenti climatici e l’adattamento ai loro impatti, parlando di «priorità essenziale». È stato chiesto anche di riesaminare la questione alla Cop30 a novembre, il che rappresenterà senza dubbio un elemento di contrasto tra Nord e Sud del mondo. D’altra parte, il Gruppo africano ha sottolineato come l’implementazione concreta dell’articolo 9.1 sia essenziale per il continente.
A parlare, in apertura dei lavori, è stato poi il segretario esecutivo dell’Unfccc Simon Stiell, che ha sottolineato come le 30 ore passate a negoziare sugli ordini del giorno «sono state difficili e non riflettono l’urgenza che abbiamo di fronte». Per questo ha invitato i delegati a fare passi avanti rapidi su tutti i fronti: «Dobbiamo dimostrare al mondo intero che la cooperazione climatica può essere fruttuosa, oggi più che mai».
Giorno 1, 16 giugno – I negoziati sul clima cominciano con una battaglia sull’ordine del giorno
Lunedì 16 giugno il primo giorno di lavori che dovranno aprire la via alla trentesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite (Cop30) che si terrà in Brasile, a Belém, nel prossimo mese di novembre, sono stati contraddistinti dal disaccordo. A dividere le delegazioni non sono stati però (o meglio non solo) i contenuti delle questioni, ma già gli stessi ordini del giorno.
In particolare, la discussione si è concentrata su due articoli proposti dal gruppo dei “Like-minded group of Developing countries” (Lmdc), letteralmente i Paesi in via di sviluppo che condividono le stesse idee. Uno dei numerosi “blocchi” negoziali, che comprende, in particolare, Algeria Bangladesh, Bolivia, Cina, Cuba, Ecuador, Egitto, El Salvador, India, Indonesia, Iran, Iraq, Giordania, Kuwait, Malesia, Mali, Nicaragua, Pakistan, Arabia Saudita, Sri Lanka, Sudan, Siria, Venezuela e Vietnam. Il disaccordo è stato tale da aver ritardato fino a sera inoltrata l’apertura ufficiale dei lavori.
Ciò nonostante, durante la giornata si sono tenute numerose riunioni obbligatorie, compresa una sull’Obiettivo mondiale in materia di adattamento (Global goal on adaptation, Gga) stabilito dall’Accordo di Parigi. E su questo i delegati sembrano essere riusciti a ridurre da 9mila a 490 il numero di indicatori in discussione.
La base di partenza non è stata però delle migliori, e dopo lunghe discussioni tra i capi delegazione, la presidente dell’Organismo sussidiario per l’implementazione (SBI, il cui compito è facilitare i lavori) Julia Gardiner ha proposto di adottare un ordine del giorno provvisorio. I governi non si sono però accordati neppure su questo e sono arrivate perciò alcune proposte alternative. Dalle quali è chiaro quale sia il vero oggetto del contendere: i finanziamenti concessi dai Paesi sviluppati.
L’Unione europea ha suggerito la possibilità di modificare l’ordine del giorno provvisorio per includere non solo l’articolo 9.1 dell’Accordo di Parigi ( impegno dei Paesi sviluppati a fornire un finanziamento) ma anche il 9.2 (concessione volontaria di sostegno) e il 9.3 (sulla necessità di un’iniziativa dei Paesi sviluppati per mobilitare i finanziamenti climatici da diverse fonti). Il delegato europeo ha anche proposto di aggiungere una nota a piè di pagina che spieghi la ragione di tale allargamento.
Un tentativo di “rassicurare” i Paesi in via di sviluppo, che però con il gruppo G77+Cina hanno controproposto di ritirare dall’ordine del giorno il punto sulle misure unilaterali restrittive commerciali, ma solo a condizione che le questioni connesse siano esaminate tenendo conto del principio di una transizione giusta. E di mantenere l’articolo 9.1 ma precisando in una nota che i presidenti degli Organi sussidiari terranno colloqui specifici su questo punto al fine di determinare chiaramente come operare.
I gruppi degli Stati arabi e quello dei Paesi meno sviluppati si sono poi opposti alla proposta europea sulle questioni dei finanziamenti, sottolineando come quella del G77+Cina già rappresenti un passo indietro rispetto alla versione iniziale dell’ordine del giorno. Tuvalu, una delle nazioni più esposte agli impatti dei cambiamenti climatici, ha quindi proposto di adottare un altro ordine del giorno provvisorio comprendente una nota a piè di pagina proposta dal G77+Cina sulle misure commerciali.
Alla fine, la presidente dell’SBI ha sospeso la seduta e rinviato a martedì il prosieguo dei lavori della plenaria di apertura.
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