Bretton Woods, la guerra e il braccio di ferro tra Stati Uniti e Keynes
Sono passati 50 anni dalla fine degli accordi di Bretton Woods, che per un quarto di secolo disciplinarono il sistema finanziario mondiale
Era il 1 luglio 1944. In una sconosciuta cittadina a 150 chilometri da Boston, negli Stati Uniti, edificata a fianco di un piccolo affluente del fiume Connecticut, affluivano 730 delegati provenienti da 44 nazioni. Riuniti per tentare di porre le basi di una futura cooperazione monetaria internazionale. Quella cittadina si chiamava Bretton Woods. E, da allora, il suo nome è universalmente associato agli accordi che vi furono stipulati.
Bretton Woods, un successo soprattutto per gli Stati Uniti
«Un successo straordinario di unità e di sostegno reciproco», si disse all’epoca. Ma la realtà fu meno idilliaca. A Bretton Woods, mentre ancora l’Europa era dilaniata dalla Seconda Guerra Mondiale, due superpotenze tentavano di dettare le regole che avrebbero disciplinato la finanza internazionale. Con due visioni profondamente diverse. Da una parte quella di Harry Dexter White, sottosegretario al Tesoro degli Stati Uniti. Dall’altra quella della delegazione inglese, diretta dall’economista John Maynard Keynes.
Partiamo dai risultati: il sistema monetario che scaturì al termine della conferenza, il 22 luglio, rappresentò un compromesso tra memoria e rapporti di forza. Memoria, poiché tutti erano convinti delle responsabilità di un mondo finanziario ed economico sregolato nella crisi del ’29 e anche nello scatenarsi del conflitto mondiale. Ciò a causa della non convertibilità delle monete, delle ripetute svalutazioni, del protezionismo commerciale. Ma a Bretton Woods ad emergere fu anche il predominio americano.
Nonostante il carisma e la competenza di Keynes, ad esempio, una delle idee principali dell’economista britannico fu scartata: la creazione del “bancor”. L’idea era di dar vita ad una valuta non ancorata all’oro e che consentisse di pacificare le relazioni economiche tra le nazioni. Ciò evitando squilibri eccessivi nelle bilance commerciali, combattendo al contempo l’evasione effettuata attraverso i paradisi fiscali. La parità fissa delle monete nazionali rispetto al bancor, rivista di anno in anno, avrebbe regolato gli scambi internazionali, grazie ad un sistema di compensazione.
Le visioni contrapposte del britannico Keynes e dell’americano White
Impensabile per gli Stati Uniti. Per White il dollaro avrebbe dovuto essere forzatamente al centro del futuro sistema. La linea americana prevalse, assieme ad un ritorno alla parità aurea dello stesso dollaro. Che divenne appunto “as good as gold” (“tanto buono quanto l’oro”). A gestire il tutto, e a vigilare sul rispetto dell’accordo, sarà quindi il Fondo monetario internazionale, sorto proprio a Bretton Woods assieme alla Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo, in seguito confluita nella Banca mondiale.
Il sistema ideato a Bretton Woods resse fino al 1971. Quando l’allora presidente degli Stati Uniti Richard Nixon annunciò la sospensione della convertibilità del dollaro in oro ad un prezzo fisso. Ma torniamo al 1944 e alle tre settimane di negoziati. Ciò che fu presentato come un grande esercizio di cooperazione internazionale fu in realtà una battaglia accanita. Condotta già nei mesi precedenti.
Per la Gran Bretagna era necessario trovare un modo per finanziare la guerra. Una sola nazione era in grado di prestarle denaro: gli Stati Uniti. Di contro, già dagli anni Trenta le imprese americane premevano per incrementare le loro esportazioni, frenate dal protezionismo inglese. Così, gli americani accettarono di aiutare i britannici, ma a condizione di sostituire la sterlina con il dollaro come prima moneta di scambio mondiale.
La necessità di Londra di finanziare la guerra contro la Germania nazista
Washington pretese inoltre da Londra le vendita degli asset posseduti a Wall Street (che varranno il 10% dello sforzo bellico inglese). A quel punto fu concesso un land-lease: una linea di credito che permetteva di prendere in prestito merci e materiali e, alla fine, di comprarli o di restituirli. Un sistema nettamente a vantaggio degli Stati Uniti. Ciò in quanto gli strumenti bellici, dopo una guerra, non potevano che essere in gran parte deteriorati o distrutti.
Ma perché si scelse un sistema del genere? Perché la legge Johnson vietava di prestare direttamente denaro a nazioni che non avevano rimborsato vecchi debiti. E l’impero britannico doveva ancora denaro agli americani preso in prestito durante la Prima Guerra mondiale. Le necessità finanziarie inglesi prevarranno: Londra deciderà di firmare, e accetterà anche di porre fine al protezionismo commerciale, pur di ottenere gli aiuti di cui aveva bisogno per contrastare la Germania nazista.
Anche da qui scaturiscono le differenti posizioni in merito a Bretton Woods. L’Inghilterra sapeva che ne sarebbe uscita indebitata, ma voleva conservare la propria indipendenza economica. Keynes cercò perciò di spingere per la creazione di un’istituzione finanziaria multilaterale, che permettesse di prendere denaro in prestito facilmente e lasciasse margini di manovra alle politiche monetarie e commerciali nazionali. Al contrario, gli Stati Uniti erano un Paese creditore. White puntò quindi a costruire istituti nei quali il peso di Washington fosse determinante. E che prestassero denaro solo a precise condizioni, potendo a quel punto vigilare sulle politiche nazionali.
La proposta del bancor e di una camera di compensazione internazionale
La domanda era: come regolare la situazione dei Paesi che presentano deficit nelle loro bilance commerciali? Ovvero che comprano più di ciò che vendono? Keynes propose di creare, appunto, il bancor, gestito dall’International Clearing Union. Gli scambi sarebbero stati dunque gestiti dalle banche centrali nel quadro di tale camera di compensazione mondiale. Si sarebbe trattato, di fatto, della fine del mercato valutario, sostituito da un sistema gestito in modo coordinato dagli stessi istituti centrali.
A tale ipotesi White contrappose l’idea di limitare la possibilità di chiedere prestiti da parte delle nazioni. E propose un sistema monetario internazionale – centrato, appunto, sul dollaro – che consentisse agli Stati Uniti di concedere aiuti solo in cambio di contropartite. In caso di indebitamento prolungato, il peso sarebbe rimasto sulle spalle delle nazioni debitrici. Quanto alla ricostruzione post-bellica, White puntava sulla creazione di una banca per gli investimenti.
Tra il 1942 e il 1944 le discussioni furono per questo lunghe e faticose. Alla fine, il piano di Keynes fu sostanzialmente abbandonato. Si preferì la creazione del Fondo monetario internazionale, con possibilità limitate di concessioni di prestiti e diritto di subordinarli, come detto, al mantenimento di determinate politiche nazionali. Henry Monrgenthau, allora ministro delle Finanze americano, presentò con queste parole il documento finale, di 96 pagine: «È nato il Fondo monetario internazionale. È la perfetta dimostrazione del fatto che 44 nazioni possono riunirsi, superare le loro divergenze e concordare il modo in cui lavoreranno insieme dopo la guerra».
Il 15 agosto 1971 la svolta: Nixon sospende Bretton Woods
Fino, appunto, al 15 agosto 1971, quando arrivò la svolta. Senza forse esserne neppure del tutto cosciente, Nixon faceva crollare il perno degli equilibri finanziari internazionali. Nel dicembre dello stesso anno, Stati Uniti, Comunità Economica Europea, Svezia, Canada e Giappone tentarono un nuovo accordo. Obiettivi: riallineare le parità, svalutare il dollaro dell’8% e allargare i margini di fluttuazione. Le speculazioni sul dollaro, però, erano sempre più forti. Nel marzo del 1973 arrivò quindi la “resa” totale: la parità fu abbandonata. E le monete cominciarono a circolare liberamente.
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