Brexit, vincono i paradisi fiscali: il governo May rinvia l’obbligo trasparenza
Il governo di Londra rinvia le norme che imporrebbero registri pubblici con i beneficiari di società domiciliate nei tax haven britanniche. La battaglia politica continua
I principali paradisi fiscali del Regno Unito potrebbero uscire indenni dal giro di vite regolamentare ante Brexit. È il timore che emerge con forza dopo l’inatteso stop al voto parlamentare sul Financial Services Bill. La vicenda risale a lunedì, quando i ministri del governo May hanno ritirato – almeno per ora – la proposta di legge pro trasparenza temendo una probabile sconfitta nel voto alla Camera dei Comuni. Punto dolente della legislazione – considerata essenziale per impedire il caos post 29 marzo, data del definitivo addio di Londra alla UE – l’emendamento sulla cosiddetta beneficial ownership. L’obiettivo è quello di far luce sul sistema di scatole societarie che caratterizzano le holding domiciliate nei tax haven.
Operazione trasparenza
La regola proposta imporrebbe a tre giurisdizioni indipendenti – le isole del Canale Jersey e Guernsey e l’isola di Man – di creare entro il 2020 registri pubblici con i nomi dei proprietari effettivi (beneficial owners, appunto) delle società domiciliate nei loro territori. Londra si occupa da tempo della questione. L’operazione trasparenza, pensata prima della Brexit, segue una direttiva UE che punta a contrastare l’evasione fiscale, le attività di riciclaggio e il terrorismo.
L’ultimo emendamento – presentato dal deputato conservatore Andrew Mitchell e dalla collega laburista Margaret Hodge – annulla di fatto la proroga concessa a dicembre dal governo britannico che rinviava al 2023 la data ultima per l’introduzione dei registri nei territori overseas. Nel maggio dello scorso anno, i due parlamentari erano riusciti a presentare un emendamento identico destinato a due tax haven: le Isole Vergini e le Cayman. Dopo aver criticato nelle scorse settimane l’attendismo del governo, la filiale britannica di Transparency International è intervenuta con forza per contestare lo stallo parlamentare.
Corruzione offshore: 250 miliardi in 30 anni
Nel dicembre dello scorso anno, uno studio della stessa Ong aveva puntato il dito proprio contro i territori d’oltremare. Nel rapporto si parlava di 237 casi di corruzione internazionale registrati in trent’anni per un valore complessivo di 250 miliardi di sterline. Gli illeciti avrebbero coinvolto circa 1.200 società domiciliate nei paradisi fiscali di Sua Maestà.
La Brexit incombe
Il Financial Services Bill è considerato un elemento chiave nella preparazione alla Brexit. L’obiettivo del provvedimento, infatti, è quello di nazionalizzare buona parte della regolamentazione finanziaria UE prima del 29 marzo. L’idea, in sostanza, è quella di garantire una certa continuità regolamentare al settore finanziario britannico. Ma l’introduzione dei registri pubblici è fortemente osteggiata dalle varie giurisdizioni offshore che temono di subire un danno concorrenziale rispetto ad altri “paradisi” del Pianeta.
Isole in rivolta
La vicenda ha aperto un dibattito di natura costituzionale. Guernsey e Jersey e l’isola di Man sono infatti dipendenze della Corona ma, almeno formalmente, non fanno parte del Regno Unito né del Commonwealth. In una nota congiunta diffusa lunedì, le tre isole ribelli hanno affermato di essere disposte a proseguire con i negoziati. Ma hanno anche ribadito che Londra «non può legiferare su questioni interne relative alle dipendenze della Corona senza il loro consenso».
Pressing sul Governo May
Mitchell, ripreso dal Guardian, ha promesso di ripresentare lo stesso emendamento in occasione del prossimo voto sul Financial Services Bill. Nell’attesa, molte voci critiche si sono levate all’indirizzo dell’esecutivo di Theresa May. Il direttore della policy di Transparency UK, Duncan Hames, da parte sua, ha rincarato la dose. «Per troppo tempo il governo britannico ha protetto i territori d’oltremare della Gran Bretagna e le dipendenze della Corona dalle richieste dei sostenitori della lotta alla corruzione» si legge in una nota della ONG. «Prima che questo progetto di legge ritorni alla Camera dei Comuni – prosegue Hames – è imperativo che il governo smetta di essere ambiguo in merito alla sua determinazione nell’apertura dei registri in questi territori».