Questo articolo è stato pubblicato oltre 3 anni fa e potrebbe contenere dati o informazioni relative a fonti/reference dell'epoca, che nel corso degli anni potrebbero essere state riviste/corrette/aggiornate.

Te lo buco quel pallone!

Ogni mercoledì il commento di Luca Pisapia sugli intrecci tra finanza e calcio

Con tutta probabilità il virus non ha devastato la nostra società, ha semplicemente fatto emergere che già da tempo danzavamo su un cumulo di macerie, immersi in un mare di sopraffazioni e ingiustizie che con la pandemia sono solo venute a galla. Allo stesso modo il Covid-19 non ha certo messo in ginocchio il mondo del calcio, ha solo messo in chiaro che il pallone era già sgonfio, da prima. Se uno va a leggere i dati pubblicati prima della pandemia si trova davanti a numeri osceni: uno per tutti, secondo il report della Figc i debiti della Serie A (3,9 miliardi) superavano già il suo valore di produzione (3,5 miliardi). E allora di che stiamo a parlare? Che senso hanno le raffinate analisi sui mancati introiti del botteghino, sulle poche magliette vendute, o sugli spettatori che non si abbonano più alle pay tv, funzionali solo a fare da grancassa alle lamentele dei padroni del pallone? Padroni che chiedono di accedere agli aiuti statali perché, poverini, non hanno più i soldi per pagare gli stipendi. Che poi la raffinata analisi provenga magari da un quotidiano che ha gli stessi proprietari della squadra di calcio il cui presidente fa queste richieste è un dettaglio, ovviamente. Il pallone era già sgonfio prima, bucato: società con sede nei paradisi fiscali di cui non si conoscono i proprietari, debiti in mano alle banche d’affari, asset (dal marchio, ai cartellini dei giocatori fino ai campi d’allenamento) in mano ai banchi dei pegni della finanza, bilanci aggiustati con le famose plusvalenze. Per questo fanno ridere le richieste di aiuto. Così come gli appelli a tenere duro per tornare alla normalità di prima, quando era proprio quella normalità a essere il problema.