Campagna “banche armate”: a che punto siamo?
Quindici anni della Campagna “banche armate”
Lanciata nel 2000 in occasione del Grande Giubileo da tre riviste (Missione Oggi, Mosaico di pace e Nigrizia), la Campagna di pressione alle “banche armate” compie quindici anni. E’ tempo di fare un bilancio, ma anche di rinnovare alcune proposte oggi ancor più necessarie ed urgenti.
Gli obiettivi della campagna
Sono due gli obiettivi che la campagna si è posta fin dall’inizio. Innanzitutto cercare di portare gli istituti di credito ad emanare direttive restrittive, rigorose e trasparenti sulle operazioni in appoggio alle esportazioni di armi e, più in generale, riguardo a tutte le attività di finanziamento alle industrie militari. In secondo luogo, mantenere alta l’attenzione del mondo politico e delle associazioni, laiche e cattoliche, sulle autorizzazioni rilasciate dall’esecutivo per le esportazioni di armamenti.
Se il primo obiettivo si può dire sufficientemente raggiunto almeno da parte dei principali gruppi bancari italiani, per quanto riguarda il secondo va invece segnalato il recente forte incremento di esportazioni di sistemi militari dall’Italia soprattutto verso i paesi in zone di conflitto, a regimi autoritari, a nazioni altamente indebitate che spendono rilevanti risorse in armamenti e alle forze armate di governi noti per le gravi e reiterate violazioni dei diritti umani.
Nel contempo – e anche questo è un fatto quanto mai preoccupante – è venuto meno il controllo parlamentare ed è stata erosa l’informazione ufficiale tanto che oggi è impossibile conoscere con precisione dalla Relazione governativa le operazioni autorizzate e svolte dagli istituti di credito per esportazioni di armamenti. Il mese scorso la Campagna ha perciò promosso con la Rete italiana per il Disarmo una lettera a tutti i gruppi parlamentari chiedendo di riprendere il controllo delle esportazioni di armamenti e di attivarsi affinché nella Relazione governativa venga ripristinata la completa informazione richiesta dalla legge che regolamenta questa materia (la legge n.185 del 1990).
Le risposte delle banche
Le risposte da parte dei gruppi bancari alle richieste della campagna riguardo alle attività a sostegno della produzione e commercio di armamenti possono essere suddivise in quattro categorie. (Per un’analisi più dettagliata si vedano i dossier delle tre riviste, gli articoli e i volumi segnalati sul sito: www.banchearmate.it)
Alla prima categoria appartengono i gruppi bancari che hanno emesso direttive che escludono tutte o buona parte delle operazioni di esportazione di armamenti e che hanno dato una precisa comunicazione e dettagliato reporting in merito a tali operazioni. Oltre a Banca Popolare Etica che fin dalla sua fondazione ha escluso dalla propria attività queste operazioni, in questa categoria vanno inserite tutte le banche appartenenti ai gruppi Monte dei Paschi (MPS), IntesaSanpaolo, Banca Popolare di Milano (BPM), Banco Popolare e Credito Valtellinese. Nei confronti di queste banche è comunque necessario continuare a mantenere alta l’attenzione perché le direttive per il settore degli armamenti sono in costante revisione e soggette a modifiche.
Alla seconda categoria appartengono le banche che hanno emesso direttive che limitano con chiarezza e rigore le operazioni di esportazione di armamenti e che hanno dato una costante e dettagliata comunicazione in merito a tali operazioni. Tra queste vanno innanzitutto annoverate le banche del gruppo UBI Banca (Banco di Brescia, Banca Popolare di Bergamo, ecc.) che già nel 2007 ha definito una direttiva molto restrittiva che applica anche alle armi di tipo non militare pubblicando annualmente un accurato resoconto sulle operazioni svolte. Anche il gruppo BPER (Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Banco di Sardegna, ecc.) nel 2012 ha emanato una direttiva abbastanza rigorosa e ha cominciato a fornire un puntuale resoconto delle operazioni in questo settore che, comunque, sono sempre state molto limitate. Da segnalare positivamente anche le recenti direttive emanate a livello internazionale dal gruppo bancario francese Crédit Agricole che in Italia controlla il gruppo Cariparma (Cariparma, Carispezia, FriulAdria, ecc.): sebbene sia ancora presto per darne una valutazione adeguata è importante notare che il “Bilancio Sociale 2013” presenta già diverse informazioni importanti. Anche nei confronti di queste banche è necessario continuare il monitoraggio e soprattutto chiedere ai gruppi Cariparma-Crédit Agricole ed anche a BPER di migliorare le proprie direttive e la rendicontazione.
Alla terza categoria appartengono le banche che pur avendo emanato direttive interne non le hanno rese pubbliche e/o non comunicano adeguatamente le operazioni che svolgono in appoggio al commercio di armi. Di questo gruppo fanno parte le banche del gruppo UniCredit che nel corso degli anni ha modificato ampiamente la propria direttiva e presenta un reporting insufficiente sulle operazioni che svolge in Italia e all’estero attraverso le sue controllate. Ancor più carenti e fortemente contraddittorie risultano le direttive emesse dal gruppo francese BNP Paribas: nonostante la Banca Nazionale del Lavoro (BNL) abbia limitato le proprie operazioni alle esportazioni di sistemi militari dirette a paesi dell’Ue e della Nato persiste un’ampia operatività nel settore da parte della filiale italiana di BNP Paribas tanto che nell’ultimo quinquennio questo gruppo bancario risulta, nel suo insieme, il principale referente per le esportazioni di sistemi militari italiani. A tutte queste banche va quindi chiesto di rendere pubbliche e più restrittive le proprie direttive e di rendicontare con maggior accuratezza le operazioni che svolgono a favore delle esportazioni di armamenti attraverso le loro controllate italiane ed estere.
Alla quarta categoria appartengono le banche che non hanno emanato direttive o che, pur avendolo fatto, risultano gravemente insufficienti ed inadeguate per esercitare un efficace controllo sul commercio di armamenti nei paesi in cui operano. L’elenco è lungo e riguarda anche numerose banche estere presenti in Italia. Innanzitutto va segnalata Deutsche Bank che, pur essendo uno dei gruppi bancari più operativi nel settore degli armamenti convenzionali, non ha mai emanato una direttiva. Tra le banche estere figurano in questa categoria anche la britannica Barclays Bank, le francesi Natixis e Société Générale, la tedesca Commerzbank, la statunitense Citibank e altre banche. Tra gli istituti di credito italiani segnaliamo Banca Cooperativa Valsabbina e Banca Carige che negli ultimi anni hanno aumentato la loro operatività in questo settore. E’ su queste banche che va concentrata la pressione più forte da parte delle associazioni e dei correntisti chiedendo loro di dotarsi di specifiche direttive sulle attività di finanziamento all’industria militare e al commercio di armamenti.
Proposte – Per attivarsi – Per continuare la campagna
1. Promuovi nella tua associazione, nella tua parrocchia, nei gruppi culturali di cui fai parte un momento di approfondimento e di sensibilizzazione sul tema delle spese militari e del ruolo delle banche nel commercio di armamenti.
2. Chiedi di verificare se la banca della tua associazione, parrocchia ecc. ha emanato delle direttive sufficienti per un’effettiva limitazione delle operazioni di finanziamento e d’appoggio alle esportazioni di armi e, se no, chiedi di rivedere i criteri e le priorità nella scelta della banca.
3. Attivati presso il tuo comune chiedendo che nella scelta della tesoreria vengano introdotti criteri di responsabilità sociale per appurare il coinvolgimento delle banche in settori non sostenibili e in attività esportazioni di armamenti.
Fonte: Per gentile concessione delle riviste Missione Oggi, Mosaico di pace e Nigrizia.