Perché Carlo III non sarà «il re del clima»

La stampa internazionale celebra Re Carlo III come il prima monarca ecologista. Ma la sua vita e il suo ruolo raccontano una storia diversa

Re Carlo III è il nuovo monarca britannico

«God Save the King». Per la prima volta da settant’anni un uomo siede sul trono di Westminster. Re Carlo III ha sostituito la regina Elisabetta II, sua madre, in carica dal 1952. E ora in molti si chiedono se e come cambierà la postura della monarchia britannica.

Tante sono le differenze tra Elisabetta e suo figlio, in termini di stile, popolarità, storia. Una però potrebbe risultare particolarmente rilevante nei prossimi anni. La regina si è distinta per l’assoluta terzietà rispetto a quasi ogni scelta politica assunta dai governi di Londra – con pochissime eccezioni. Di fatto, anche dopo la sua morte, sappiamo pochissimo delle idee politiche di Elisabetta. Ma di Carlo, che arriva al trono all’età di 73 anni, possiamo dire molto di più.

Politico ha definito Carlo III come «the climate king», il re del clima. Lo stesso hanno fatto Abc e VOX. Wired lo chiama «il re attivista». Tony Jupiter, ex-presidente di Friends of the Earth, ha detto al Guardian che il nuovo monarca potrebbe rivelarsi «la più importante figura ambientalista di tutti i tempi».

L’uomo che sussurrava alle piante: il curriculum verde di Carlo

Questi giudizi non devono stupire. Chi segue le vicende della casa reale britannica sa che Carlo ha manifestato attenzione per le tematiche ambientali fin da tempi non sospetti. 

Nel 1970 il principe Filippo, suo padre, tenne un discorso alla Conferenza sul Clima di Strasburgo: «Il tempo per le azioni contro l’inquinamento è ora». Anni dopo, Carlo, che era nel pubblico, riconobbe nelle parole di suo padre l’inizio del suo interesse per l’ecologia

Nei decenni il futuro re si è speso per l’istituzione di nuove aree naturali, la protezione di specie in via d’estinzione, la lotta all’inquinamento atmosferico. Ha appoggiato nei suoi (numerosi) discorsi l’adozione di piani per le emissioni nette zero, il mercato delle emissioni, le tecnologie di cattura della CO2 in atmosfera. Nel 2005, quindici anni prima della nascita degli scioperi per il clima, l’allora principe inviò una nota a Tony Blair, ai tempi inquilino di Downing Street, per chiedergli di agire in tema di riscaldamento globale.

Anche lo stile di vita è per Carlo un modo di ritrovare «l’armonia con la natura». Del re appena incoronato sappiamo che mangia carne per “soli” quattro giorni a settimana. La sua auto, una vecchia Aston Martin, si muove con un motore a biometano. Nella sua tenuta preferita ha fatto installare un piccolo generatore idroelettrico che produce energia pulita per tutti gli usi domestici.

Non solo: Carlo è famoso tra gli inglesi per la sua abitudine di parlare con le piante. Il perché è spiegato nel suo saggio Armony. Il nuovo re crede in una visione olistica del vivente, in cui anche uomo e vegetale possono, in qualche modo, comunicare.

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Ecologismo senza anticolonialismo

Sulla carta, l’ascesa al trono di un monarca attento alle questioni ambientali dovrebbe essere una buona notizia per i movimenti ecologisti e climatici. Ma la reazione degli attivisti è stata finora fredda. Soprattutto, emerge scetticismo da parte di chi fa militanza ecologista nelle ex colonie di Sua Maestà – cioè un bel pezzo delle terre emerse.

Basav Sen è il direttore dei progetti legati al clima all’Institute for Policy Studies. Il suo giudizio, affidato alla newsletter specializzata Heated, è molto netto: «Al di là di ciò che Carlo può aver fatto per l’ambiente a titolo personale, porta il peso dell’eredità della monarchia e dell’impero britannico». 

Gli attivisti del cosiddetto Sud globale non vedono nel re un alleato, e per più motivi. L’IPCC, la massima autorità scientifica mondiale in campo climatico, parla di colonialismo nel suo ultimo report. Per gli scienziati dell’Onu la colonizzazione del Pianeta è stata ed è uno dei motori della crisi climatica. I movimenti per il clima fanno propria questa analisi: «Il riscaldamento globale è frutto di un sistema razzista, capitalista, colonialista», ha detto l’attivista di origine Otomi Xiye Bastida al Leaders Climate Summit voluto dal presidente americano Joe Biden nel 2021.

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L’impero britannico al culmine del suo potere è arrivato a controllare un quarto delle terre emerse © SCM Jeans/iStockPhoto

Il primo problema di Carlo, insomma, è l’istituzione che rappresenta. Una casa regnante complice, quando non autrice, del più grande processo di colonizzazione della storia umana. Un’insieme di vicende non solo da libro di storia. Elisabetta visitò da principessa i domini britannici in Africa mentre il suo esercito reprimeva nel sangue la ribellione delle popolazioni locali. 

Carlo III sconta i suoi troppi silenzi

Ma assieme alle colpe familiari, il nuovo re sconta i suoi silenzi. Nei suoi tanti discorsi ai meeting internazionali sul clima, Carlo non si è mai espresso sulle responsabilità coloniali dell’occidente, sul Loss&Damage, sull’estinzione del debito dei Paesi più poveri. Come tutta la sua dinastia, non ha mai condannato esplicitamente l’operato dell’Impero Britannico. 

Tamara Toles O’Laughlin è un’attivista afroamericana statunitense, presidente dell’Environmental Grantmakers Association. Anche per lei le parole di Carlo non sono abbastanza: «L’azione più d’impatto che (il re, ndr) potrebbe intraprendere ora sarebbe quella di chiedere il condono del debito delle colonie, assicurare il diritto all’accoglienza per gli abitanti delle ex colonie che fuggono dalla crisi climatica verso il Regno Unito, dichiarare la fine dell’asservimento territoriale e la dissoluzione dell’impero».

Il colonialismo ha un’altra grande colpa per i movimenti ecologisti. Sta all’origine della difficoltà da parte dei Paesi più poveri nel ricorrere a misure di adattamento e mitigazione.

«Quello che l’imperialismo britannico ha portato nel subcontinente indiano è una guerra quasi costante per più generazioni. E questo ha destabilizzato l’intera regione al punto che ora, quando la gente soffre, non ci sono elicotteri per andare a salvare le persone. Non ci sono strade per guidare le ambulanze. Mancano le infrastrutture di base». La frase, riportata sempre da Heated, è di Keya Chatterjee, direttrice esecutiva dell’US Climate Action Network. Il riferimento è alla terribile alluvione che ha colpito il Pakistan poche settimane fa.

Che ambientalismo è quello di Carlo?

Ma le critiche al «re ecologista» non vengono solo dalle ex colonie, e non riguardano solo la storia imperiale del Regno Unito. 

Il Washington Post, in un pezzo significativamente intitolato “I tanti paradossi di Carlo III come «re del clima»”, ha messo in fila le problematicità del profilo ecologista di Carlo. Ancora principe, il futuro inquilino di Buckingam Palace ha combattuto una dura battaglia contro un parco eolico che avrebbe rovinato la vista di una delle sue tenute. E da sempre viaggia per il mondo a bordo del suo jet privato – il più climalterante in assoluto dei mezzi di trasporto.

Per il quotidiano statunitense, Carlo riassume alcuni dei paradossi della nostra società: «Un uomo estremamente ricco e con un’impronta di CO2 enorme che parla di fermare il riscaldamento globale».

Anche le prese di posizione politiche di Carlo, se viste da vicino, sono lontane da quelle dei movimenti ecologisti. La sua visione della lotta contro la crisi climatica è market-led, ovvero guidata prima di tutto dalle aziende e dal mercato. Nei suoi discorsi si rifà volentieri ai pareri «dei CEO e degli investitori più importanti al mondo». Le policy che cita più spesso sono cattura e stoccaggio della CO2 e mercato delle emissioni. Settori importanti della transizione, menzionati anche nei report IPCC. Ma anche tra le soluzioni meno temute dalle corporation del fossile e più criticate dagli attivisti.

Viceversa, molti dei temi più cari ad Ong e movimenti sono assenti negli speech del nuovo monarca: regolamentazione e pianificazione statale, anticolonialismo, redistribuzione, principio del «chi inquina paga». L’ecologismo di Carlo, insomma, ricorda più Bill Gates che Greta Thunberg.

Il nuovo re del Regno Unito e del Commonwealth si preannuncia come il capo di Stato più loquace in assoluto sul tema del riscaldamento globale. Ma quando si arriva alle soluzioni – e all’analisi politica che gli sta dietro – la distanza con il variegato mondo dell’ecologismo aumenta visibilmente.

Nessun ruolo per il trono?

Proprio sulla differenza tra riconoscimento del problema e applicazione delle soluzioni ha scritto in Italia il giornalista Ferdinando Cotugno

«Se per arrivare alla neutralità climatica e all’azzeramento delle emissioni serviranno anche un nuovo modello di produzione e consumo, chiaramente non arriveranno da Buckingham Palace. Carlo però può essere la voce rassicurante, quella in grado di convincere gli scettici che il problema, a differenza delle soluzioni, non ha colore politico o affiliazione partigiana, se ne può fare una priorità anche senza essere un sabotatore di Just Stop Oil o un membro di Extinction Rebellion», ha osservato sulle pagine di Domani.

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Nel Regno Unito parte della destra è ancora su posizioni negazioniste © mikeinlondon/iStockPhoto

Se l’operato di Re Carlo avrà un ruolo, insomma, sarà quello di dare una spallata al sempre più residuale negazionismo. Ricordare alle élites che nessuno può più fare politica senza almeno porsi il problema della CO2 che aumenta e della biodiversità che sparisce. Meno del minimo sindacale. Eppure concetti non scontati in un Paese, il Regno Unito, che ha appena nominato a capo del dipartimento dell’Energia un climatoscettico e si prepara a far tornare legale il fracking, la più dannosa delle modalità estrattive di gas.

Ma anche ragionando in quest’ottica esiste un rovescio della medaglia. L’esposizione di re Carlo III rischia di rinforzare lo stereotipo dell’ecologista come personaggio radical-chic. Un privilegiato membro delle élites che catechizza gli altri al risparmio e alla rinuncia. Le sue stravaganze e alcune prese di posizione controverse, come quelle a favore della medicina omeopatica, possono contribuire a relegare gli attivisti ecologisti nel prototipo dell’hippie senza contatto con la realtà.

Soprattutto, chi si occupa di clima non sembra disposto ad accogliere un ricco monarca tra le sue fila solo perché riconosce la gravità della crisi climatica. Nel momento in cui molti movimenti ecologisti si definiscono apertamente anticapitalisti, quando persino il Papa non può non parlare del ruolo distorsivo del mercato, le prese di posizione del re sembrano venire da un’altra epoca storica. 

La svolta ecologista della Casa Reale britannica, insomma, rischia di essere too little and too late. Troppo poco e troppo tardi.