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Cibo “anticrimine”, il valore nascosto della filiera corta

Il volume d'affari delle agromafie sfiora i 22 miliardi. Avvicinare consumatori e produttori può aiutare a ridurre i rischi di infiltrazione

«Più la filiera di produzione del cibo è corta, più abbiamo il contatto con il produttore, minori sono i rischi di infiltrazione della criminalità organizzata». Sembra lo spot ideale per il Salone del Gusto che Slow Food inaugurerà fra poche ore a Torino (e che avrà come filo conduttore proprio la capacità del cibo di essere vettore di cambiamento sociale). L’analisi arriva invece da Antonio Pergolizzi, curatore del denso capitolo sulle filiere illecite dell’agroalimentare contenuto nell’ultimo rapporto Ecomafia di Legambiente.

Le infiltrazioni arrivano al supermercato

Una prova in più che diffondere il cibo “buono, pulito e giusto”, figlio di un ripensamento delle filiere agroalimentari è anche un modo rendere più magro il piatto delle mafie. Secondo il rapporto Agromafie 2017 dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare di Fondazione Coldiretti e Eurispes, il volume d’affari delle agromafie è salito, infatti, a 21,8 miliardi.

«30mila terreni agricoli sono in mano alla criminalità organizzata» ricorda Pergolizzi. «Le infiltrazioni arrivano tranquillamente all’interno dei supermercati della grande distribuzione, grazie al controllo della lavorazione di ortofrutta, carne, pesce, al loro inscatolamento, imballaggio e trasporto». Un fenomeno che riguarda il Sud, nelle regioni ad alta presenza mafiosa, ma anche il nord. Su tutti, la Liguria, il Lazio, il Veneto.

BUSINESS nella filiera illecita nel settore agroalimentare in italia nel 2017
BUSINESS nella filiera illecita nel settore agroalimentare in italia nel 2017. Fonte: elaborazione Legambiente su dati del Comando unità forestali, ambientali e agroalimentari cara- binieri (Cufa), Comando carabinieri per la tutela della salute, Comando carabinieri politiche agricole, Comando carabinieri tutela del lavoro, Guardia di finanza, Capitanerie di porto, Corpi forestali delle regioni a statuto speciale, Polizia dello stato e Icqrf – Ispettorato centrale della tutela e della qualità e repressione dei prodotti agroalimentari del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (2017).

Certo, non è automatico che il chilometro zero salvi, di per sé, dall’illegalità. «Pensiamo alle infiltrazioni nei consorzi di tutela» rammenta Pergolizzi. «Nel momento in cui la produzione è aumentata, le imprese di servizi mafiose hanno inquinato il mercato». E la memoria va alle recenti indagini giudiziarie che hanno coinvolto la zona di Vittoria e Pachino. Così come quelle dettagliate nel rapporto Ecomafia, che vanno dai “movimenti” dell’olio extravergine d’oliva, ai falsi vini Dop e Igp, alle mozzarelle di bufala, fino ai falsi San Daniele Dop.

Dagli ispettori del ministero 100 milioni di sequestri

«L’attenzione e il controllo della filiera di qualità non devono calare. Proprio perché prodotti ad alto valore aggiunto, biologico, Dop, Igp rischiano di essere molto “appetibili” per imprenditori senza scrupoli» ribadisce il curatore del rapporto Ecomafia 2018.

In appena 12 mesi – ricorda il rapporto dell’ICQRF (Ispettorato centrale Qualità e Repressione frodi agroalimentari) del ministero delle Politiche agricole – sono stati eseguiti 40.857 controlli ispettivi e analizzati in laboratorio 12.876 campioni per un totale di 53.733 controlli. Sono stati verificati 25.168 operatori e controllati 57.059 prodotti.

Controlli prodotti ambientali Ministero Politiche Agricole
FONTE: Report Attività 2017 ICQRF Ministero Politiche Agricole

Il risultato? 22.228 tonnellate di prodotti agroalimentari sequestrate per un valore di 93,3 milioni di euro, a cui vanno ad aggiungersi oltre 10 milioni di euro di beni mobili e immobili per un totale di 103,55 milioni di euro.

Il bio si salva, i prodotti Dop e Igp no

Di questi controlli, ben 17.646 hanno riguardato 8.840 aziende bio e i produttori di alimenti e vino a denominazione d’origine protetta (Dop), la produzione a indicazione geografica (Igp) e le specialità tradizionali garantite (Stg). Se nel caso dei prodotti da agricoltura biologica la percentuale di irregolarità è alquanto bassa (5,6% dei campioni controllati), gli ispettori ICQRT hanno invece riscontrato tassi decisamente più alti nel caso di prodotti Dop, Igp e Sgf, inclusi i vini: quasi 1 produttore su 3 che non ha rispettato le norme e tra il 17 e il 22% di prodotti non conformi.

Prodotti biologici controllati e irregolari nei principali settori merceologici
FONTE: Report Attività 2017 ICQRF Ministero Politiche Agricole.
ICQRF - Prodotti a DOP, IGP e STG controllati e irregolari
FONTE: Report Attività 2017 ICQRF Ministero Politiche Agricole.

Da Legambiente, numeri ancora più elevati

E i numeri elaborati da Legambiente, che considerano un bacino di controlli più ampio, lo confermano: su 219.159 accertamenti effettuati nel 2017 dalle varie forze ispettive, quasi 10mila (9254) hanno riguardato l’agricoltura biologica, la produzione a indicazione geografica (Igp), le denominazioni d’origine (Dop), le specialità tradizionali garantite (Stg) e la tutela del made in Italy.

Dai controlli emerge che il 24,6% del campione ha violato leggi e norme. Nel dettaglio: 884 gli illeciti amministrativi e non conformi con infrazioni penali; 522 le denunce penali e le diffide; 12 gli arresti e 842 sequestri. Per un totale di 2280 illegalità su 9254 controlli effettuati.

i sequestri nella filiera illecita nel settore agroalimentare in italia nel 2017
Fonte: elaborazione Legambiente su dati del Comando unità forestali, ambientali e agroalimentari cara- binieri (Cufa), Comando carabinieri per la tutela della salute, Comando carabinieri politiche agricole, Comando carabinieri tutela del lavoro, Guardia di finanza, Capitanerie di porto, Corpi forestali delle regioni a statuto speciale, Polizia dello stato e Icqrf – Ispettorato centrale della tutela e della qualità e repressione dei prodotti agroalimentari del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (2017).

Numeri e casi raccolti e documentati che confermano quanto ci sia molto da fare per rompere il gioco criminale sull’agroalimentare italiano, settore fondamentale per il nostro PIL (con il suo 11,3% è secondo solo alla meccanica).

Piaga contraffazione

Nell’Italia record per eccellenze agroalimentari – ben 818 prodotti DOP. IGP e Stg, riconosciuti dalla Ue al 31 dicembre 2017 – la contraffazione rimane una vera e propria calamità. Lo sottolinea la Direzione Nazionale Antimafia nella sua relazione annuale del 2017: «se in generale il fenomeno contraffattivo consiste nella copia illegale di un marchio industriale, nell’agroalimentare la falsificazione attiene generalmente all’origine geografica del prodotto e alla denominazione d’origine».

E prosegue la DNA: «sono essenzialmente tre le fattispecie di reato contestate nei casi di contraffazione:

  • l’importazione o la falsa indicazione “Made in Italy”;
  • le contraffazioni di marchi e segni distintivi dei prodotti;
  • la commercializzazione di prodotti che riportano ingannevolmente una denominazione di origine o un’indicazione geografica protetta». In pratica l’indebito utilizzo dei marchi Dop, Igp e Stg.

Proprio per questo l’Italia si è dotata di una normativa di tracciabilità dell’olio extravergine di oliva e per il settore vitivinicolo, unico paese al mondo, ha l’obbligo di tenuta telematica dei registri. Misure necessarie se si pensa che il 39% degli operatori del settore vitivinicolo controllati dall’Icqrf e il 20% di quelli del settore oleario è risultato irregolare.

Così come, oltre il pomodoro, leggendo le varie inchieste e le tipologie di sequestri nel rapporto Ecomafia, si arriva anche alla messa sul mercato di prodotti adulterati e pericolosi per la salute. È successo con l’uso illecito del marchio di tutela del Consorzio di tutela della mozzarella di bufala, al centro di un’inchiesta internazionale tra Italia e Stati Uniti della Guardia di Finanza.

«Ma attenzione, non dobbiamo criminalizzare i prodotti» sottolinea Pergolizzi. «Dobbiamo però fare in modo che la legalità sia una pratica comune, a tutela della salute dei cittadini e delle imprese, degli agricoltori e dei produttori onesti» sottolinea Antonio Pergolizzi.

Reti territoriali di legalità

Che fare quindi? Verificare il pieno rispetto delle normative sulla tracciabilità dei prodotti, sulla tutela dei marchi, sul rispetto del disciplinare di riferimento e dell’effettiva origine dei prodotti, è davvero un compito immane. «Per questo abbiamo bisogno di un forte autocontrollo da parte degli stessi operatori, delle associazioni di categoria e dei consorzi di tutela per formare gli anticorpi all’illegalità: chi lavora in un certo settore sa bene chi viola le regole».

L’invito è quindi quello «di organizzare una rete di legalità in ogni territorio, per supportare il lavoro repressivo delle forze dell’ordine e degli enti di controllo».