Clima, la Corte internazionale di giustizia indicherà gli obblighi degli Stati
La Corte internazionale di giustizia fornirà un parere consultivo in merito agli obblighi in capo agli Stati in termini di azione sul clima
Si è aperto lunedì 2 dicembre un procedimento storico presso la Corte internazionale di giustizia. I giudici ascolteranno quasi cento nazioni e dodici organismi internazionali con l’obiettivo di comprendere quali siano gli obblighi da parte dei poteri pubblici in materia di lotta contro i cambiamenti climatici. Ciò al fine di permettere di rafforzare il diritto internazionale sul tema e stabilire una serie di principi di giustizia climatica.
Il parere sugli obblighi in capo ai governo arriverà nel 2025
Per due settimane, fino al 13 dicembre, la Corte ascolterai i rappresentanti degli Stati provenienti da tutto il mondo. Successivamente, nel corso del 2025, pubblicherà un parere consultivo, non vincolante, che potrà essere però utilizzato come base sia da parte dei legislatori sia da parte dei tribunali nazionali. Tanto che, secondo Ralph Regenvanu, inviato speciale per il clima dello Stato insulare di Vanuatu, «le decisioni che verranno assunte nel corso di questo procedimento avranno delle ripercussioni lungo più generazioni. E determineranno in particolare l’avvenire di nazioni come la mia, così come dell’intero Pianeta».
Benché infatti si tratti di un semplice parere, il fatto che ha pronunciarlo sia la più alta giurisdizione internazionale del mondo, gli conferisce un peso politico particolarmente importante. “Potrebbe rappresentare una bussola essenziale”, ha commentato Joie Chowdhury, legale del Centro per il diritto internazionale dell’ambiente, che cura il procedimento.
All’origine dell’azione trenta studenti universitari
È proprio la piccola repubblica situata nell’oceano Pacifico all’origine dall’azione legale. Il governo ha chiesto l’intervento della Corte internazionale di giustizia poiché, per loro, si tratta di una questione di vita o di morte: se dovessero avverarsi gli scenari peggiori in termini di riscaldamento climatico, e dunque di innalzamento del livello dei mari, gran parte del loro territorio verrà sommersa.
Vanuatu si è associata a una trentina di studenti universitari che avevano formato nel 2019 la coalizione World’s Youth for Climate Justice e avevano caldeggiato, appunto, un pronunciamento da parte della Corte. Il governo dell’arcipelago ha poi avanzato in modo ufficiale la richiesta due anni più tardi, portando la questione all’ordine del giorno dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Risale quindi al 29 marzo del 2023 la decisione, da parte della stessa Assemblea, di adire i giudici della Corte internazionale.
Le due domande a cui dovrà rispondere la Corte internazionale di giustizia
Sono in particolare due le domande poste al tribunale: in primo luogo, quali siano gli obblighi da parte dei governi di tutto il mondo sulla base dell’attuale diritto internazionale, in materia di mitigazione dei cambiamenti climatici e abbattimento delle emissioni di gas ad effetto serra. Ciò nell’ottica di garantire un futuro sereno alle prossime generazioni. Il secondo quesito riguarda poi quali siano le conseguenze giuridiche di tali obblighi. Partendo dal presupposto che sono gli stessi governi, «attraverso le loro azioni e le loro omissioni, ad aver causato danni importanti al sistema climatico».
Le audizioni saranno effettuate sulla base di un sistema totalmente paritario: tutti i Paesi, a prescindere dal loro peso politico, dalla loro popolazione e dalle loro economie, avranno a disposizione lo stesso tempo per far valere le proprie ragioni: 30 minuti. “Speriamo che in questo modo si possa uscire dall’attuale situazione di inerzia politica e conferire un reale potere giuridico all’Accordo di Parigi.
Di fronte all’incapacità dei governi di agire in maniera sufficiente contro il riscaldamento globale, come risultato evidente anche all’ultima conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite (la Cop29 che si è conclusa due settimane fa a Baku, in Azerbaigian), si tenta la strada della giustizia. Sulla quale, però, alcune nazioni manterranno le loro posizioni. Nel corso della prima udienza, i rappresentanti dell’Arabia Saudita hanno spiegato a chiare lettere che, dal loro punto di vista, «l’Accordo di Parigi non può essere interpretato come vincolante nei risultati». Mentre l’Australia ha chiesto di «limitare l’applicazione delle norme giuridiche esistenti legate alla responsabilità degli Stati».