Se il clima cambia, cambia governo
Il 2024 segna nuovi record climatici, ma la politica continua a ignorare l’emergenza. I dati ci sono, le azioni ancora no
La politica è l’arte delle soluzioni possibili. O almeno dovrebbe esserlo. È per questo che da governi, parlamenti, enti locali e istituzioni internazionali ci si attendono risposte. C’è una catastrofe? Servono soccorsi, stanziamenti, ricostruzione. C’è una crisi economica? Servono politiche di sostegno, misure anticicliche, strategie per evitare che il problema si ripeta. E così via.
È tornato a girare un video sui social network (o forse è più prudente dire che l’algoritmo lo fa vedere a chi vi scrive…) che risale al 1990. È un intervento dell’astronomo statunitense Carl Sagan, che parlò al quinto Emerging Issues Forum. Lo scienziato si rivolge alla platea: «Quanti soldi hanno speso gli Stati Uniti per la guerra fredda dal 1945? Lo sapete? La cifra è approssimativamente vicina a 10mila miliardi di dollari». Gli indici delle due mani a indicare la “T” di “trillions”. «E lo sapete cosa si può comprare con 10mila miliardi di dollari? Tutto quello che c’è negli Stati Uniti. Tutto: edifici, automobili, camion, aeroplani, pannolini per bambini. Tutto, eccetto il territorio».
Due pesi e due misure: il clima non merita la stessa prudenza della guerra
Perché lo raccontava, 35 anni fa, Sagan? La guerra fredda era quasi un ricordo, all’epoca. Tempo di bilanci. E tempo di riflessioni sulle nuove emergenze. «In tutti questi anni era sicuro al 100% che la Russia ci avrebbe attaccati? No, visto che non l’hanno mai fatto. Ma ci siamo detti che dovevamo essere prudenti, perché se lo scenario peggiore dovesse avverarsi sarebbe estremamente pericoloso. È il classico modo di pensare dei militari: prepararsi allo scenario peggiore».
Di qui la riflessione: «E allora ora vi chiedo: perché non si applica lo stesso approccio al riscaldamento globale? Non credete che sia sicuro al 100%? Benissimo. Ma anche se ci fosse una piccola possibilità, dal momento che le conseguenze sarebbero così serie, non dovremmo investire in modo altrettanto serio per prepararci? Penso che ci siano due pesi e due misure. E noi non dobbiamo permetterlo».
Carl Sagan sui cambiamenti climaticiIl 2024 è l’anno più caldo di sempre in Europa. E non è finita qui
Da allora la scienza non ha smesso di ricordarci che lo “scenario peggiore” non solo è certo, in caso di inazione, ma si avvicina anche più rapidamente del previsto. Partiamo dall’ultimo allarme in ordine di tempo: il Rapporto sullo stato del clima in Europa del servizio di monitoraggio climatico Copernicus. Il documento spiega che nel 2024 (en passant, l’anno più caldo mai registrato sulla superficie delle terre emerse e degli oceani) abbiamo registrato temperature record in diverse regioni centrali, orientali e sud-orientali del continente. Abbiamo fronteggiato tempeste violente e inondazioni generalizzate, che hanno ammazzato 335 persone e ne hanno colpite a vario titolo 413mila.
Il Vecchio Continente si riscalda «due volte più velocemente del resto del Pianeta», ha spiegato Samantha Burgess, dirigente di Copernicus. E ciò si traduce in danni umani e materiali che non faranno che aumentare. Chiedere agli abitanti di Valencia per credere. O, se non volete andare all’estero, fate due chiacchiere con chi vive in Emilia-Romagna.
L’Unione europa arretra sul clima mentre l’emergenza avanza
Torniamo allora alla politica. All’arte delle soluzioni possibili, si è detto. Ebbene praticamente nelle stesse ore in cui Copernicus – il servizio climatologico pagato dall’Unione europea! – presentava il suo rapporto, la presidente della Commissione di Bruxelles Ursula von der Leyen ha fatto sapere che l’organismo esecutivo comunitario è pronto a rivedere (al ribasso, ovviamente) i propri impegni climatici. In particolare, l’obiettivo di ridurre del 90% le emissioni di gas ad effetto serra in Europa, entro il 2040, potrebbe essere sottoposto a un sistema di «flessibilità e pragmatismo». Che, la storia ci insegna, significa smantellamento.
D’altra parte, la politica non è, come spesso semplicisticamente pensiamo, né raffigurabile né riconducibile soltanto a ristrette cerchie di potenti di vario ordine e grado rinchiuse in Palazzi d’Inverno. La politica, in democrazia, siamo noi, che quelle persone scegliamo e votiamo, pur con tutti i distinguo e le riserve che si possono avere sul processo di selezione. Tradotto: se oggi a Bruxelles e in tanti Paesi membri si sono fatti largo l’antiscientificità e il negazionismo climatico, con chi ce la dobbiamo prendere? Se la risposta al rapporto Copernicus è «indeboliamo le politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici», e noi non ci incateniamo in piazza, con chi ce la dobbiamo prendere?
Trasporti marittimi: accordo sul clima, ma è troppo tardi
Almeno una mezza buona notizia però in queste settimane c’è stata. L’Organizzazione marittima internazionale (IMO) ha annunciato un accordo a Londra sul “prezzo” che occorre imporre alle emissioni di CO2 disperse dalle grandi navi. Obiettivo annunciato: decarbonizzare i trasporti marittimi, che incomprensibilmente, per tanti anni, sono stati esentati dagli sforzi per il clima. Bene, bravi, bis? Solo in parte, perché la delusione è tanta, dal momento che il problema è gigantesco: le 100mila navi che solcano i mari di tutto il mondo, trasportando il 90% delle merci che consumiamo sulla Terra, sono responsabili del 3% delle emissioni globali di gas ad effetto serra.
Cosa hanno deciso gli Stati membri dell’IMO? Che le navi di stazza superiore alle 5mila tonnellate dovranno utilizzare carburanti più puliti a partire dal 2028. Altrimenti dovranno pagare tra 100 e 380 dollari per ciascuna tonnellata di emissioni equivalenti di CO2. «Troppo poco e troppo tardi», secondo il gruppo degli Stati insulari del Pacifico.
Gli Stati Uniti disertano gli impegni: il clima non è una priorità
E a proposito di politica, gli Stati Uniti non hanno partecipato al voto, dopo aver tentato di fare ostruzione proprio sulle misure economiche, giudicate «manifestamente ingiuste» dalla delegazione inviata da Washington. In perfetto stile-Trump hanno anche spedito una pacata lettera alle controparti diplomatiche, intimando loro di non approvare il documento e minacciando rappresaglie. Un portavoce del dipartimento di Stato ha confermato che la Casa Bianca non intende impegnarsi in negoziati presso l’IMO e ha ribadito che la politica dell’amministrazione americana è di porre gli interessi degli Stati Uniti al primo posto negli accordi internazionali.
America first, sicuro. Great again, molto meno probabile. Ma, anche lì, Trump è stato eletto democraticamente. E non gli si può di certo rimproverare di non aver spiegato da subito che il suo orientamento sul clima sarebbe stato questo.