Tre lezioni dall’Emilia-Romagna

15 morti, decine di migliaia di sfollati, miliardi di danni. Davvero nessuno ha colpe per il disastro in Emilia-Romagna?

Molti centri dell'Emilia-Romagna sono ancora occupati da acqua e fango © Christian Feldhaar/iStockPhoto

Dopo una settimana di diluvio a intermittenza, sull’Emilia-Romagna è tornato a splendere il sole. L’inverno ha ceduto il passo alla primavera in meno di ventiquattro ore, e chi girava coi giacconi per difendersi dalla pioggia ora rispolvera le maniche corte.

Ma il nubifragio è ancora visibile nei suoi effetti. A Sant’Agata sul Santerno, in provincia di Ravenna, non c’è via del centro che non sia invasa dal fango. Arrivarci è un’immersione in uno scenario cui non siamo abituati. Masserizie ai lati di ogni strada, fango umido su cui le persone sprofondano e fango secco che solleva nubi di polvere. Il paese è percorso da centinaia di volontari, in larga parte giovani e giovanissimi, che spalano da un lato all’altro della cittadina spostandosi sul retro dei pick-up. È la ricca Romagna del 2023, sembra l’Italia del dopoguerra.

Molti tra i politici di ogni colore hanno invitato i cittadini a «rimboccarsi le maniche ed evitare le polemiche». Niente di più sbagliato. Di fronte ad un evento di questo calibro – 15 morti, decine di migliaia di sfollati, miliardi di danni – è doveroso chiedersi cosa sia andato storto. Per evitare che in futuro altre comunità subiscano ciò che ha subito Sant’Agata sul Santerno.

L’alluvione non è un terremoto

Ora che la paura per le nuove esondazioni si è finalmente placata, possiamo iniziare ad articolare qualche riflessione sui fatti dell’ultima settimana.

La prima lezione riguarda le cause di quanto successo. Il presidente della regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, ha paragonato il nubifragio al terremoto che sconvolse il Centro Italia nel 2012. Una metafora efficace nel descrivere la gravità del fenomeno, ma fallace nell’indicarne le conseguenze politiche. Entrambi sono eventi per i quali è possibile fare prevenzione – in un caso con l’edilizia antisismica, nell’altro con la lotta al dissesto idrogeologico, in entrambi con efficaci sistemi di allerta. Ma solo il terremoto è un fenomeno completamente naturale, sulle cui origini non c’è traccia di influenza antropica. I fenomeni meteorologici estremi, invece, hanno sempre più spesso tra le concause il riscaldamento globale.

Capire se un nubifragio – o un’ondata di calore, o la siccità – sia frutto della crisi climatica è una questione non banale. La scienza dell’attribuzione è lenta, complessa e spesso ragiona per intervalli di probabilità piuttosto che per assoluti. Ci sono però delle certezze che già da ora abbiamo, e su cui possiamo ragionare. Innanzitutto, sappiamo che eventi di questo genere sono intensificati per gravità e frequenza dall’aumento delle temperature. Lo abbiamo scritto di recente anche su queste pagine: la successione di siccità e violenti nubifragi è perfettamente coerente con i modelli climatici. Non solo. Come hanno sottolineato i climatologi, le scarse precipitazioni di questo inverno hanno ridotto la capacità di assorbimento dei terreni, favorendo gli allagamenti. Una siccità, quella del nord Italia, già correlata al riscaldamento globale da alcuni studi.

Non sappiamo ancora con certezza quanto dell’alluvione in Emilia-Romagna sia da attribuire alla crisi climatica. Ma sappiamo per certo che questo genere di eventi è reso più probabile dall’aumento delle temperature. E questo aumento ha una causa precisa: l’uso di combustibili fossili e tutte le attività umane che prevedano l’emissione di gas serra.

Prima lezione: sapevamo sarebbe successo, abbiamo creato noi le condizioni perché accadesse.

alluvioni in Emilia-Romagna
Il ponte della Motta crollato per le alluvioni in Emilia-Romagna © Nick.mon/Wikimedia Commons

Crisi climatica non è sinonimo di sfiga

Il collettivo di scrittori bolognese Wu Ming ha sollevato, in un articolo relativo alle recenti alluvioni, un importante problema comunicativo. Il termine «clima», si sostiene nel testo, è usato da politici e amministratori «come generico sinonimo di sfiga». Qualcosa di grande e lontano per il quale non è possibile rintracciare responsabilità.

È un tranello nel quale non cascare. Proprio perché la crisi climatica è di origine indiscutibilmente antropica, è possibile individuare le policy che la hanno causata e i policy maker che le hanno rese possibili. L’Unione europea è il terzo emettitore mondiale di gas serra. Con una popolazione inferiore al 10% di quella globale, è responsabile del 17% delle emissioni globali cumulate. Numeri sottostimati, perché non tengono conto delle emissioni provocate dalle aziende europee all’estero.

L’Italia gioca in questo un ruolo chiave. Legambiente stima in 34,6 miliardi di euro i sussidi ambientalmente dannosi spesi nel 2020 dal nostro Paese. Soldi pubblici che finanziano la crisi climatica. La tricolore Eni, che ha lo Stato come principale azionista, figura nella lista delle trenta aziende a più alte emissioni del Pianeta e, secondo gli analisti, non è in linea col rispetto dell’Accordo di Parigi. Due esempi dell’inadeguatezza delle scelte politiche del nostro Paese, confermate da tutti gli inquilini di Palazzo Chigi in una linea di sostanziale continuità.

Esiste una catena che parte dai nubifragi, passa dalla crisi climatica e porta ai combustibili fossili – e quindi a chi negli anni li ha finanziati, incentivati, protetti.

Seconda lezione: la crisi climatica ha responsabili con nomi e cognomi.

Il suolo e l’atmosfera non sono separati

«Una delle peggiori letture che si possano fare con eventi estremi di questo tipo è contrapporre il suolo e l’atmosfera, dire che: o è colpa del consumo di suolo o è colpa della crisi climatica, come se fossero sistemi diversi che richiedono approcci alternativi, uno conservatore e uno progressista, uno di destra e uno di sinistra, quando sono invece due lati della stessa crisi».

Le righe di cui sopra sono tratte da un articolo del quotidiano Domani firmato dal giornalista Ferdinando Cotugno. Considerazioni che colgono il punto. Il dibattito tra territorio e globo, cemento e CO2, è fallace.

La cementificazione selvaggia – il 9% dell’Emilia Romagna è impermeabilizzato, due punti sopra la media nazionale – rende i territori più fragili. La crisi climatica aumenta le probabilità che quei territori siano interessati da eventi estremi. È il meccanismo descritto dal climatologo Antonello Pasini nel suo L’equazione dei disastri (Codice, 2020). Diversi elementi concorrono allo stesso, drammatico risultato. Vale oggi per l’alluvione in Emilia-Romagna. Varrà domani per l’acqua alta a Venezia o per gli incendi in Sardegna.

Terza lezione: le diverse cause dell’alluvione non sono in competizione. Al contrario, si completano.

Dopo l’alluvione in Emilia-Romagna

A Sant’Agata sul Santerno, come in altre decine di paesi, si continuerà a spalare per settimane. Togliere il fango è solo una parte del lavoro. Dopo verranno i risarcimenti, le case da riarredare, le aziende da far ripartire.

L’Emilia-Romagna continuerà a convivere con gli effetti dell’alluvione ancora a lungo. Ma la fine della fase emergenziale e delle cronache minuto per minuto non deve significare lo stop al dibattito. Al contrario, è ora il momento in cui riflettere sulle scelte politiche del passato per cambiare quelle future. Prima che i disastri climatici diventino la nuova normalità.