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Clima, per i successi Ue più utili le rinnovabili del mercato ETS

«Il mercato europeo ETS dei “diritti ad inquinare” è stato meno efficace di quanto immaginato». L'accusa in un rapporto redatto da un gruppo di istituti internazionali

Un rapporto internazionale punta il dito contro il mercato ETS, che consente di comprare “dei diritti ad inquinare”. L'Ue ha deciso di riformarlo: basterà?

Se l’Europa è riuscita, negli ultimi anni, ad ottenere buoni risultati dal punto di vista degli obiettivi climatici, il merito va attribuito solo in minima parte al mercato. Quest’ultimo, infatti, ha inciso molto meno di quanto si possa immaginare. A spiegarlo è la seconda edizione del rapporto “State of the EU ETS”, curato dall’Institute for Climate Economics (I4CE), assieme a Ecoact, Nomisma Energia, Wegener Center dell’università di Grae, l’International center for trade and sustainable development (ICTSD) e la European rountable on climate change and sustainable transition (ERCST).

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L’andamento dei prezzi sul mercato ETS dal 2006 al 2016 via Sandbag.org.uk

Il mercato dei “diritti ad inquinare” ha funzionato poco e male

L’Emission trading system rappresenta la principale risposta finanziaria fornita dall’Unione europea alle sfide climatiche. Istituito nel 2005 per rispondere agli obiettivi contenuti nel protocollo di Kyoto, fu concepito con l’idea di porre un tetto alle emissioni di gas ad effetto serra delle grandi aziende. A queste ultime – circa 10mila siti, in particolare nel settore industriale e dell’energia – è stato consentito di acquistare e scambiarsi dei “diritti ad inquinare”. Diritti rappresentati da titoli in libera vendita sul mercato, chiamati “quote di emissioni” o “carbon-credit”. Il cui prezzo avrebbe dovuto fungere da deterrente, incoraggiando le imprese a limitare le attività inquinanti, pur di risparmiare.

Si tratta, in altre parole, di una sorta di Borsa delle emissioni. Con tutto ciò che essa comporta: trader, speculazioni e intermediari senza scrupoli. Il risultato è che le dinamiche di mercato hanno portato a far crollare, nel corso del tempo, il prezzo dei titoli ETS. Questi ultimi, in alcune fasi, sono arrivati a costare talmente poco da non rappresentare più alcuno stimolo a limitare l’inquinamento prodotto.

È chiaro, dunque, che in futuro occorrerà garantire valori capaci di fungere da deterrente, se si vorranno centrare gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi.  Va ricordato che, nel 2050, secondo la road map stabilita dalla Commissione europea nel 2011, l’Ue dovrà aver ridotto le proprie emissioni inquinanti dell’80-95%, rispetto ai livelli del 1990. La buona notizia è che l’obiettivo intermedio, fissato per il 2020, è stato già raggiunto nel 2016. 

L’importanza di una carbon tax comunitaria

Gli autori del rapporto ritengono inoltre probabile che anche il traguardo del 2030 (-40%) sarà centrato. Nonostante il fatto che, nel 2017, le emissioni siano tornate per la prima volta a crescere: «È difficile però sapere se quello dello scorso anno sia l’inizio di un trend», ha precisato al quotidiano francese Novethic Jean-Yves Caneill, dell’ERCST. Ciò che appare chiaro, invece, è che il sistema ETS è stato lontano dal rivelarsi salvifico.

Secondo l’analisi, infatti, più che gli scambi di carbon-credit, sono altri i fattori che hanno contribuito a porre l’Europa sulla via della transizione ecologica. Innanzitutto, le regole introdotte a livello europeo e nazionale sul carbone. Viene sottolineata in proposito la scelta virtuosa del Regno Unito di imporre un prezzo minimo al combustibile fossile. E, in questo senso, appare chiaro che una carbon tax comunitaria rappresenterebbe un elemento di importanza fondamentale nel quadro della lotta ai cambiamenti climatici. Nonché una possibile risposta – concreta, incisiva ed ecologia – ai dazi imposti dagli Stati Uniti di Donald Trump.

«Carbon-credit, il prezzo non dovrà scendere sotto i 40 euro»

Il rapporto cita quindi, tra i fattori che hanno trainato l’Ue, l’impatto delle energie rinnovabili. Grazie ad esse, i produttori di energia elettrica hanno potuto diminuire del 23% le loro emissioni. Con un risparmio pari a 300 milioni di tonnellate di CO2. Anche in questo caso, secondo gli autori, si tratta di qualcosa di «molto più importante rispetto al mercato ETS».

Anche a Bruxelles è apparso chiaro a che punto una riforma del sistema ETS fosse urgente. L’Europa ha approvato i cambiamenti per il periodo 2021-2030 nello scorso mese di febbraio. La strategia adottata è di diminuire, nel corso del tempo, il numero di carbon-credit concessi. In questo modo, si ritiene che il prezzo possa rimanere sufficientemente alto. Oggi, infatti, i titoli sul mercato sono troppi e ciò fa sì che il loro costo non riesca a decollare.

Va ricordato, però, che Bruxelles ha fissato il fattore annuale di riduzione delle emissioni di CO2 al 2,2%. Ciò dovrebbe portare il calo, nel 2050, all’85%, rispetto al 1990. Un valore che risulta piuttosto “basso” nella forchetta 80-95% indicata nel 2011: «Può sembrare ininfluente, ma in realtà la scelta avrà un impatto importante sul prezzo dei titoli ETS», ha aggiunto Caneill. Oggi per comprare il diritto ad emettere una tonnellata di CO2 bastano infatti 15 euro. Mentre per l’esperto, «se si vorranno centrare gli obiettivi climatici, il valore non dovrà essere inferiore a 40 euro». Il “nuovo” sistema ETS riuscirà a garantirlo?