Quando il Sud globale porta la crisi climatica in tribunale
Cause climatiche in forte crescita anche nel Sud del mondo. Governi, cittadini e tribunali protagonisti di un nuovo fronte legale contro la crisi climatica
La crisi climatica non è più solo una questione scientifica o politica: oggi si discute anche nelle aule di tribunale. Le cause climatiche – le cosiddette climate litigation – stanno diventando uno strumento sempre più usato per chiamare governi, imprese e attori finanziari a rispondere delle proprie responsabilità.
Questo dossier racconta come si sta evolvendo questo fronte: dalle azioni legali contro la finanza globale, alle sentenze delle corti supreme, fino alla crescita dei contenziosi climatici promossi dai Paesi del Sud globale.
Gli articoli che compongono il dossier:
- Quando la finanza è chiamata a rispondere del clima
Le banche e i grandi fondi sotto accusa per gli investimenti in attività inquinanti. - Quando la crisi climatica arriva alle corti supreme
Le cause che portano la crisi ambientale davanti ai più alti tribunali del mondo. - Quando il Sud globale porta la crisi climatica in tribunale
I Paesi più colpiti dalla crisi guidano un nuovo fronte legale per ottenere risarcimenti.
Gli Stati Uniti sono il Paese in cui le climate litigation sono nate e in cui restano più diffuse. Ma altri Paesi e regioni del pianeta stanno recuperando terreno rapidamente. In particolare il cosiddetto Sud del mondo.
Climate litigation: l’ascesa del Sud globale
L’ascesa del Sud globale è descritta nel rapporto “Global trends in climate change litigation: 2025 snapshot” del Grantham Research Institute on Climate change and the Environment della London School of Economics. Premettendo che sotto la dizione “Global South” è compresa una fetta di mondo vastissima: Africa, America Latina e Caraibi, Asia e Pacifico.
In termini assoluti, nelle giurisdizioni del Sud del mondo sono state a oggi registrate circa 260 climate litigation. Il 9% del totale globale (poco meno di 3mila). Il Nord è largamente dominante (86%). Il resto sono contenziosi davanti a tribunali internazionali e regionali. Ma ad essere spettacolare è l’accelerazione registrata nel Global South, dove il 60% dei casi è stato avviato dal 2020 in poi.
Nelle classifiche per Paesi, molto dietro agli Stati Uniti (con circa 2mila cause climatiche), al quarto posto dopo Australia (164) e Regno Unito (133) ecco il Brasile (131). Con una differenza non certo marginale. Negli Stati Uniti le climate litigation sono partite negli anni Ottanta del secolo scorso e in Australia e Uk a metà anni Novanta. Mentre in Brasile hanno debuttato oltre un decennio dopo e più di 100 sono state avviate solo negli ultimi cinque anni.
Altre due note attestano la vivacità del fenomeno nel Sud del mondo. L’ultimo Paese ad aggiungersi ai sessanta in cui sono state avviate climate litigation è il Costarica. Mentre la Colombia, quanto alle cause climatiche davanti ai tribunali apicali (corti supreme e costituzionali), ha il primato per la percentuale più elevata di esiti favorevoli all’azione sul clima (69%, 9 casi su 13). Davanti di nuovo al Brasile (53%).
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Istituzioni pubbliche protagoniste delle cause climatiche
C’è poi un ambito in cui addirittura il Sud surclassa il Nord ed è quello dei contenziosi avviati da enti governativi nel corso dell’ultimo anno. Nel Sud del mondo sono stati il 56% del totale, cioè dieci volte tanto rispetto al Nord (fermo al 5%). Inoltre, questo tipo di azioni legali è stato responsabile di sviluppi innovativi che potrebbero avere in futuro un’eco mondiale, contribuendo a definire nuove frontiere e scenari.
Nelle climate litigation del Sud del mondo, infatti, si sta riscontrando in particolare l’utilizzo dei diritti costituzionali e delle leggi sull’ambiente come strumenti giuridici centrali. E in questo senso gli enti governativi, le agenzie di regolamentazione e i pubblici ministeri, stanno svolgendo un ruolo sempre più da protagonisti, proattivo, sperimentando strade e innescando dinamiche capaci di produrre innovazione. Cosa ancora più rilevante in un ambito, quale quello giudiziario, tradizionalmente vischioso rispetto a ciò che è diverso da quanto si è sempre fatto.
Brasile in prima linea sul fronte legale del clima
Il rapporto definisce il Brasile una delle giurisdizioni all’avanguardia (con India e Sudafrica) nel plasmare lo scenario globale delle cause climatiche.
Nel Paese che ospiterà la Cop30, sono particolarmente attive nei contenziosi climatici la Procura federale e l’Agenzia per l’Ambiente, con oltre 30 cause per danni climatici collegati alla deforestazione. In particolare si sono registrate sentenze storiche (casi di “polluter pays”, chi inquina paga) che hanno imposto ai soggetti responsabili della deforestazione illegale il pagamento di risarcimenti appunto per danni climatici, con calcoli basati sulle emissioni di CO₂ collegate alla deforestazione. Al riguardo, grazie a un’iniziativa che ha coinvolto l’Amazon Research Institute, è stata sviluppata una metodologia per quantificare in termini monetari i danni climatici derivanti dalla deforestazione, poi adottata dalla magistratura a livello nazionale.
Alla deforestazione e all’uso del suolo sono legati la maggior parte dei casi che sono stati presentati davanti alla Corte Suprema Federale brasiliana, che è stato un attore chiave nell’ambito del contenzioso climatico soprattutto a partire dagli anni dell’amministrazione Bolsonaro. Anche perché molti casi sono stati basati sull’applicazione dell’articolo della Costituzione brasiliana che concerne il diritto a un ambiente sano.
La Cina e il suo approccio unico alle cause climatiche
Testa a testa con gli Stati Uniti per il primato di maggiore economia pianeta, è difficile considerare la Cina un rappresentante del Sud del mondo. Ma per tanti moviti è forse ancora più difficile considerarla un esponente del Nord. Per cui, rifacendosi a raggruppamenti utilizzati a livello internazionale (il “G77 + Cina”), il rapporto ha approfondito il fenomeno climate litigation in Cina. Che, come in molti altri ambiti, fa storia a sé.
In Cina negli ultimi anni si contano oltre 500 casi finiti davanti ai tribunali con riferimento a questioni quali la regolamentazione del mercato del carbonio o i contratti relativi alla transizione energetica. Ma i database globali sulle cause climatiche non li registrano. Il contenzioso climatico è stato riconosciuto dalla Corte suprema solo nel 2019. La stessa Corte nel 2023 ha emesso un’opinione per spiegare ai tribunali come regolarsi su casi che tirino in ballo gli obiettivi di transizione verde del governo cinese. In ogni caso, tra 2014 e 2023 il numero di tribunali ambientali in Cina è salito da 134 a 2.813. E ha gestito quasi 2 milioni di casi di primo grado. Numeri alla cinese. Che, se un giorno trovassero il modo d’integrarsi col resto del mondo, forse stravolgerebbero la mappa mondiale delle climate litigation.
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