Quando la crisi climatica arriva alle corti supreme
Crescono nel mondo le cause climatiche discusse davanti a corti supreme e tribunali internazionali. E i giudici iniziano a fare la differenza
La crisi climatica non è più solo una questione scientifica o politica: oggi si discute anche nelle aule di tribunale. Le cause climatiche – le cosiddette climate litigation – stanno diventando uno strumento sempre più usato per chiamare governi, imprese e attori finanziari a rispondere delle proprie responsabilità.
Questo dossier racconta come si sta evolvendo questo fronte: dalle azioni legali contro la finanza globale, alle sentenze delle corti supreme, fino alla crescita dei contenziosi climatici promossi dai Paesi del Sud globale.
Gli articoli che compongono il dossier:
- Quando la finanza è chiamata a rispondere del clima
Le banche e i grandi fondi sotto accusa per gli investimenti in attività inquinanti. - Quando la crisi climatica arriva alle corti supreme
Le cause che portano la crisi ambientale davanti ai più alti tribunali del mondo. - Quando il Sud globale porta la crisi climatica in tribunale
I Paesi più colpiti dalla crisi guidano un nuovo fronte legale per ottenere risarcimenti.
Quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare. Traslando il discorso in ambito giudiziario, i più duri sono le “apex courts”, i tribunali di più alto grado. E il gioco che si fa duro è quello delle climate litigation, le cause climatiche. Che in tutto il mondo sempre più spesso coinvolgono Corti supreme e Corti costituzionali, lanciando un chiaro segnale di raggiunta maturità dal fenomeno.
Corti supreme e clima: una mappa delle cause in corso
A parlare sono i dati del rapporto “Global trends in climate change litigation: 2025 snapshot”, pubblicato a fine giugno dal Grantham Research Institute on Climate change and the Environment della London School of Economics. Per la prima volta ha messo sotto la lente i casi che hanno raggiunto i tribunali apicali. Ciò per sottolineare il ruolo fondamentale che essi giocano nel plasmare la governance globale sul clima.
Negli ultimi trent’anni (dal 1995 a oggi) sono state più di 360 le climate litigation che hanno interessato i tribunali superiori, tramite ricorso o direttamente. Con un crescendo prepotente. Ben 276 di questi casi (oltre i tre quarti) sono stati infatti avviati dal 2015 in poi, oltre 100 per via diretta. Il picco nel 2021, con una cinquantina di casi. Nel 2024 i casi sono stati circa una decina. Ma è un calo solo apparente, poiché molti stanno ancora procedendo attraverso i tribunali di grado inferiore e con ogni probabilità prima o poi arriveranno.
A staccare di molte lunghezze il resto del mondo in quest’ambito sono gli Stati Uniti, che hanno ospitato 180 casi in assoluto. 117 (contro i 159 fuori dagli Usa) quelli dal 2015 in poi. dei quali 43 di fronte alla Corte Suprema statunitense e 74 di fronte alle Corti Supreme dei singoli Stati federati. Nel resto del mondo, i più attivi sono il Brasile (19 casi), la Germania (15) e la Colombia (13). L’Austria si distingue per il fatto che tutti i casi noti (6) sono stati presentati direttamente alla Corte suprema. Il Sud-est asiatico (India, Pakistan e Nepal) spicca invece perché ben la metà delle climate litigation avviate (10 su 20) hanno raggiunto le apex courts. In Italia è stato richiesto il pronunciamento della Corte di Cassazione nella causa civile di Greenpeace Italia, ReCommon e un gruppo di cittadini contro Eni.
Cause climatiche: Europa e Stati Uniti frenano sull’azione legale per il clima
Dei 276 casi approdati ai tribunali superiori dal 2015 a oggi, circa 250 sono arrivati a giudizio. Gli esiti hanno rafforzato l’azione per il clima in quasi la metà dei casi (49%). Nel 40% l’hanno invece ostacolata. Il restante 11% è considerato neutro. Nell’82% dei casi (224) ad essere chiamati a difendersi sono stati governi ed enti governativi. Ma è quando c’erano le corporation sul banco degli imputati (14% dei casi) che gli esiti sono stati più favorevoli (nel 54% dei casi, contro il 50% di quelli riguardanti i governi). Sintomo di un’accresciuta attenzione dei tribunali superiori nel vagliare le pratiche fuorvianti (climate washing) delle imprese e valutare gli specifici danni ambientali collegati, al fine ad esempio di imporre risarcimenti o richiedere contributi ai costi di adattamento.
America Latina e Caraibi, Asia orientale e Pacifico, Asia meridionale, sono le aree in cui i casi hanno avuto esiti positivi in percentuali significative. A spiccare sono la Colombia (dove il 69% degli esiti ha rafforzato l’azione sul clima) e il Brasile (53%). In Nord America ed Europa, invece, gli esiti positivi sono stati relativamente minori. Qui a distinguersi negativamente è la Germania, dove la Corte costituzionale federale ha respinto una sfilza di casi che erano stati presentati sull’onda del successo registrato nello storico caso Neubauer, che aveva visto la Corte obbligare il governo tedesco a rivedere la legge sul clima, ritenuta insufficiente. L’Europa ha comunque registrato anche grandi successi: la Corte suprema norvegese, in particolare, ha sospeso le autorizzazioni per nuove esplorazioni petrolifere nel Mare del Nord.
I tribunali internazionali intervengono sui cambiamenti climatici
In virtù dell’enorme prestigio di cui godono, e dell’eco che i loro pronunciamenti hanno, anche i Tribunali Internazionali giocano un ruolo importante nell’indirizzare l’azione sul clima. Tirando linee e fissando principi al di fuori dei quali è molto difficile, poi, che altri si muovano.
A inizio luglio la Corte interamericana sui diritti umani ha emesso un Advisory opinion in cui ha affermato che, con riferimento alle norme internazionali sui diritti umani, gli Stati hanno l’obbligo di prevenzione, mitigazione e adattamento agli impatti della crisi climatica. Forti le implicazioni anche per le aziende. Specie quelle (industria fossile in primis) la cui attività alimenta maggiormente la crisi climatica. Gli Stati, infatti, sono legalmente obbligati a proteggere i cittadini da condotte imprenditoriali che possono esacerbare gli impatti della crisi climatica.
A maggio 2024, era stato il Tribunale internazionale per il diritto del mare ad affermare gli obblighi legali degli Stati in materia di protezione dell’ambiente marino dagli impatti dei cambiamenti climatici. Quest’anno anche la Corte africana dei diritti dell’uomo e dei popoli è stata richiesta di un pronunciamento sugli obblighi degli Stati in materia di diritti umani e cambiamenti climatici.
Il 23 luglio, infine, tutti gli occhi saranno puntati sulla Corte internazionale di giustizia, che ha annunciato l’emissione dell’attesissimo Advisory Opinion sugli obblighi giuridici degli Stati in materia di cambiamenti climatici. Potrebbe essere un ulteriore, decisivo punto di svolta.
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