Come produrre più cibo con meno acqua? La scoperta è italiana
Ottimizzare il sistema agricolo per sfamare 825 milioni di persone: la soluzione è del Politecnico di Milano. Il segreto? Agire sulle principali 14 colture mondiali
È possibile ottimizzare l’attuale sistema agricolo globale in modo tale che consumi meno acqua e dia un apporto calorico-nutrizionale sufficiente a sfamare altri 825 milioni di persone. Ad affermarlo è uno studio (Increased food production and reduced water use through optimized crop distribution) pubblicato a novembre da un team di ricercatori del Politecnico di Milano in collaborazione con colleghi della Columbia University di New York e della californiana Università di Berkeley.
14 colture nel mirino
«Abbiamo provato a ipotizzare un cambiamento delle colture presenti nelle varie regioni del mondo – spiega Maria Cristina Rulli, docente del dipartimento di Ingegneria civile e ambientale al Politecnico di Milano e firmataria della ricerca – ottimizzandone la distribuzione, per arrivare sia a produrre di più sia a consumare minori quantità di risorse idriche, con la possibilità di impiegare questo risparmio per aumentare la produzione».
I ricercatori hanno selezionato le 14 principali colture, dalle quali deriva il 72% della produzione di alimenti, l’83% di calorie e il 78% delle proteine di origine vegetale nella dieta mondiale: grano, mais, miglio, sorgo, soia, girasole, palma da olio, canna da zucchero, arachidi, tuberi, radici, barbabietola da zucchero, riso, colza.
Di ciascuna è stata analizzata la distribuzione spaziale, attraverso un modello creato ex novo a partire dai dati Fao e applicato su scala globale tramite celle da 10 chilometri di lato.
I risultati ottenuti dai ricercatori sono stati decisamente incoraggianti: in media un risparmio del 13,6% nel consumo di “acqua verde” o piovana e del 12,1% di “acqua blu”, cioè quella d’irrigazione (particolarmente preziosa), e una maggior produzione di cibo quantificabile in un aumento di calorie (+10%), proteine (+19%), colture per nutrire gli animali (+51%) e ulteriori 18 sostanze nutrienti rispetto a quanto garantito dall’attuale scenario.
Uno schiaffo alla dipendenza alimentare
In particolare «abbiamo rilevato – conclude Rulli – un risparmio idrico addirittura del 20% in 42 Paesi del mondo; mentre in altri 63, molti dei quali importatori di cibo (Etiopia, Iran, Kenya, Spagna), grazie al solo cambiamento colturale, si otterrebbe un incremento della produzione domestica di cibo di oltre il 20%, permettendo quindi una riduzione delle importazioni e della dipendenza alimentare dal mercato internazionale».
2,5 miliardi di persone a rischio fame
La ricerca offre una speranza di fronte a prospettive preoccupanti come quella delineata ad una recente giornata di studio dal Riccardo Valentini, climatologo del Centro Euromediterraneo per i cambiamenti climatici, considerato uno degli scienziati più influenti del pianeta dal’annuale classifica Thomson Reuters: «Gli scenari futuri, basati sull’attuale tendenza di crescita delle emissioni di gas serra, indicano una riduzione al 2050 della produzione agricola mondiale di circa l’8%, a fronte di una richiesta di cibo che aumenterà del 56%» ha spiegato intervenendo a un seminario organizzato dall’associazione di giornalismo ambientale Greenaccord. «La combinazione dei cambiamenti climatici e dell’incremento di popolazione renderà circa 2.5 miliardi di persone, sui 9.3 miliardi complessivi stimati, senza sufficiente nutrizione alimentare».
Problemi da far tremare le vene ai polsi. E la cui soluzione, invece che attraverso drastiche e immediate trasformazioni nei processi di sviluppo e consumo, è spesso affidata alle due vie più battute: l’estensificazione e l’intensificazione dell’agricoltura. Nel primo caso, aumentando quindi la quantità di terre coltivate, con conseguenze sociali e ambientali negative dirette – già sperimentate – in termini di deforestazione e land grabbing da parte di grandi multinazionali a danno dei piccoli coltivatori; nel secondo caso mirando ad accrescere le rese colturali, laddove c’è ancora un margine di miglioramento: il che è oneroso sul piano economico, e comporta un incremento d’uso di fitofarmaci e la costruzione di nuove infrastrutture idrauliche.